Nei primi mesi del 2011, il mondo arabo è stato protagonista di un’ondata di proteste che ha sconvolto profondamente gli equilibri regionali e internazionali. La Tunisia scese in piazza nel dicembre del 2010 e le agitazioni condussero alla caduta del regime dittatoriale dell’allora presidente Ben ‛Alī e all’inizio di un processo di transizione democratica tutt’altro che facile e, per molti aspetti, ancora incompiuto. Tra i suoi protagonisti vi fu anche l’Union générale des travailleurs tunisiens (UGTT), il sindacato dei lavoratori che assunse un ruolo guida nell’organizzazione delle manifestazioni del 2011 prima, e nella negoziazione di un compromesso tra le forze politiche islamiste e quelle laiciste poi. All’UGTT va anche il merito di aver influito positivamente sulla fase di stesura della Costituzione tunisina nel gennaio del 2014, portando avanti le lotte in difesa dei lavoratori e battendosi per la costituzionalizzazione dei loro diritti.
La nascita del movimento sindacale tunisino
Per comprendere il ruolo dell’UGTT nelle agitazioni del 2011 e nel successivo processo di democratizzazione, è necessario ripercorrere la storia del sindacato e il suo complesso rapporto con lo Stato.
Sotto il protettorato francese (1881-1956), furono organizzati i primi sindacati che rispecchiavano le sezioni locali delle organizzazioni socialiste e comuniste già esistenti in Francia. La maggior parte dei membri erano lavoratori francesi, italiani e libici. I tunisini vi aderirono, ma furono generalmente scoraggiati dal dominio della lingua francese e italiana e dall’attenzione esclusiva alle questioni politiche europee, come ad esempio la lotta anti-fascista.
Nel dicembre 1924, Mohamed Ali El Hammi e Tahar Haddad fondarono il primo sindacato arabo tunisino, la Confédération générale des travailleurs tunisiens (CGTT). Opposta dalle autorità coloniali, che intendevano controllare le organizzazioni di difesa dei lavoratori, la CGTT rimase dormiente fino alla fine della Seconda guerra mondiale, per poi riemergere il 20 gennaio del 1946 con la creazione dell’UGTT. Il teologo Fadhel Ben Achour ne assunse la presidenza, mentre Farhat Hached ne divenne il primo segretario generale.
Nel 1952, con la repressione da parte delle autorità coloniali del Partito nazionalista Neo-Destour, guidato dall’avvocato Habib Bourguiba, l’UGTT divenne il principale movimento di opposizione a supporto dell’indipendenza del Paese. Pur dichiarandosi inizialmente apolitico, l’UGTT si pose come duplice obiettivo quello di rappresentare tanto la classe operaia, quanto la causa nazionalista tunisina in opposizione all’occupazione francese.
Le autorità coloniali ritennero che il nesso tra libertà individuali, diritti dei lavoratori e indipendenza dei Paesi della regione che il sindacato – e Hached in primis – difendeva, minacciasse i loro interessi. Nel dicembre del 1952, Hached venne dunque assassinato in circostanze poco chiare, anche se è opinione diffusa che dietro il suo omicidio ci possa essere stata la Main Rouge, organizzazione filo-francese attiva in Nord Africa nota per l’uccisione di diversi arabi indipendentisti.
L’UGTT e il regime di Bourguiba
Il ruolo centrale assunto nella lotta per l’indipendenza, garantì all’UGTT un certo livello di autonomia nel governo del primo presidente Habib Bourguiba, il quale fece affidamento sul sindacato per consolidare la legittimità del regime. Tuttavia, consapevole dell’importanza politica dell’organizzazione, Bourguiba cominciò progressivamente a esercitare forme di controllo sempre più pervasive, nominando alle posizioni apicali del sindacato personalità a lui fedeli.
Gli anni ’60 videro un periodo di relativa stabilità e collaborazione. Il Partito Neo-Destour si appropriò del programma politico discusso e proposto in larga parte dall’UGTT, che aveva come obiettivo la realizzazione di una riforma economica d’ispirazione socialista e affidava al settore pubblico un ruolo preponderante.
Tuttavia, a partire dalla metà degli anni ’70, Bourguiba interruppe il programma di riforma socialista e passò a una politica economica molto più liberale, in linea con le richieste del Fondo monetario internazionale. Questo cambiamento spinse l’UGTT a un’inversione di rotta nei confronti del regime. Il sindacato passò dall’essere un’appendice del Neo-Destour a una roccaforte di opposizione alle politiche economiche del governo e a un rifugio per tutti coloro che chiedevano maggiore democrazia nel Paese.
Tra il 1978 e il 1984 si verificarono gravi crisi sociali e politiche. Bourguiba tentò di riaffermare il proprio controllo sul sindacato, ma ciò non fece che esacerbare le tensioni tra l’UGTT e il governo. Le agitazioni culminarono il 26 gennaio 1978 in uno sciopero generale, noto come il “giovedì nero”, che si trasformò in una vera e propria rivolta popolare. Le forze armate repressero violentemente le proteste per ordine di Zine El-Abidine Ben ‛Alī, all’epoca direttore generale delle forze di sicurezza.
Ben ‛Alī e l’UGTT: tra cooptazione e repressione
Quando Ben ‛Alī salì alla presidenza nel 1987, fece in modo di non trovarsi coinvolto in alcun confronto diretto con l’UGTT, fino agli anni ’90 e 2000. In quel periodo, Ben ‛Alī adottò una nuova strategia nei confronti del sindacato, ossia la cooptazione e l’inclusione formale dei suoi membri all’interno dell’apparato governativo. Ciò conferì al sindacato la responsabilità di molte decisioni economiche che riguardavano direttamente il Paese, rendendo più difficile per l’UGTT avanzare richieste radicali o organizzare delle agitazioni contro il regime.
Al contempo tuttavia, la cooperazione fra regime e sindacato assicurò uno spazio relativamente “sicuro” all’interno del quale i sindacalisti potevano muovere tiepide critiche al regime. Questi avrebbero dovuto lottare con i livelli più alti dell’UGTT e affrontare le intimidazioni delle forze di sicurezza, ma sapevano che fintanto che le loro attività si svolgevano all’interno dell’organizzazione, vi era un limite alla repressione del regime.
Il ruolo dell’UGTT nelle proteste del 2011
In Tunisia, l’inizio della rivolta viene simbolicamente fatto coincidere con il gesto di protesta di Mohamed Tarek Bouazizi, un giovane venditore ambulante che il 17 dicembre 2010 si diede fuoco davanti alla sede del municipio di Sidi Bouzid, per protestare contro il sequestro della propria merce da parte delle autorità governative.
Il gesto di Bouazizi ispirò numerose rivolte nel governatorato di Sidi Bouzid e una serie di manifestazioni di piazza nelle regioni centro-meridionali, tra il 17 dicembre 2010 e il gennaio 2011. Il 27 dicembre, grazie al sostegno dell’UGTT e dell’Ordine nazionale degli avvocati tunisini (ONAT), le proteste raggiunsero anche la capitale Tunisi. Già nel 2008 l’UGTT aveva fortemente sostenuto le rivolte nel bacino minerario di Gafsa. Queste hanno rappresentato l’inizio del processo di agitazioni sociali che ha portato alla caduta del regime di Ben ‛Alī nel 2011.
Le rivolte hanno aperto una nuova fase della dialettica fra l’UGTT e il governo. A livello nazionale i sollevamenti popolari di quel biennio videro i partecipanti in tutto il Paese appoggiarsi alle sedi locali dell’UGTT. I sindacalisti sostennero apertamente le rivolte e, in più di un’occasione, le sedi regionali accolsero i manifestanti, proteggendoli dagli attacchi delle forze dell’ordine. All’epoca la sezione centrale contava 750.000 soci ed era costituita da 24 sedi regionali, 19 organizzazioni di settore e 21 sindacati di base.
Oltre all’UGTT, anche l’ONAT e l’Unione tunisina dell’industria, del commercio e dell’artigianato (UTICA), fecero sì che le manifestazioni raggiungessero la borghesia delle città, trasformando le proteste da sommosse popolari – nate soprattutto in ambito rurale – a movimento nazionale.
Il Quartetto per il “dialogo nazionale” tunisino
A due anni di distanza dalle rivolte, nel 2013 il clima politico rimaneva teso e gli omicidi dell’avvocato Chokri Belaid e del politico Mohamed Brahmi, rischiarono di far deragliare il processo di transizione democratico. La crisi fu evitata grazie al compromesso raggiunto nel settembre 2013 tra i rappresentanti delle principali forze politiche e organizzazioni della società civile, che per questa ragione sono stati insigniti del premio Nobel per la pace nel novembre del 2015.
Quattro grandi organizzazioni della società civile lanciarono l’iniziativa di un “dialogo nazionale”, che costrinse il Partito islamista Ennahda a lasciare il governo, favorire la conclusione dei lavori dell’Assemblea costituente e consentire l’organizzazione delle elezioni legislative e presidenziali previste per il 2014. Il ruolo del cosiddetto “Quartetto Nazionale” – composto dall’UGTT, dall’UTICA, dall’ONAT e dalla Lega tunisina dei diritti dell’uomo (LTDH) –, fu decisivo per evitare che il Paese precipitasse in una guerra civile.
Tuttavia, le elezioni dell’ottobre 2013 e l’inizio dell’esperienza del governo di coalizione – composto da Ennahdha, Congrès pour la République (CPR, centro-sinistra) e Ettakatol (centro-sinistra) – misero l’UGTT in una posizione piuttosto delicata. Il sindacato dovette fare i conti con gli attori entrati nella neonata arena politica tunisina. Le nuove forze politiche non si mostrarono particolarmente inclini a scendere a compromessi con un attore esterno al governo, ma con un peso politico tutt’altro che trascurabile.
Dopo il 2014 infatti, l’UGTT si è vista depositaria non solo delle istanze della popolazione insorta nel 2011, ma anche delle richieste di un’élite che voleva mantenere un ruolo nel ricostituito panorama politico. Nel tempo, sia il Quartetto che l’UGTT nello specifico, sono stati oggetto di aspre critiche visto il palesato impegno politico dei suoi sindacalisti, attivi per lo più nel tentativo di tessere una nuova rete di relazioni politiche, piuttosto che nella promozione di iniziative concrete volte a trovare soluzioni circa le richieste socio-economiche della popolazione. Molti partiti, lamentavano la forte politicizzazione del sindacato che è andato ben oltre il ruolo di mediatore.
La crisi tunisina oggi
Dieci anni dopo i moti rivoluzionari che hanno portato alla caduta del dittatore Ben ‛Alī, la democrazia tunisina mostra ancora tutta la sua fragilità. Lo scorso 14 gennaio, in occasione dell’anniversario delle rivolte del 2011, a Tunisi è stato imposto un lockdown a causa dell’emergenza sanitaria in corso, nonché la sospensione di tutte le manifestazioni fino al 24 gennaio. Ciò ha contribuito a scatenare nuovi focolai di proteste, che hanno interessato i sobborghi più poveri della capitale Tunisi e altri importanti centri cittadini come Sousse, Nabeul e Siliana. Le richieste dei manifestanti sono le stesse di dieci anni fa: diritti e dignità, erosi negli anni da una classe politica disfunzionale e puntualmente accusata di corruzione. Ad oggi, una parte delle speranze è stata riposta in un nuovo “dialogo nazionale”, proposto dall’UGTT e approvato lo scorso 30 dicembre dal presidente della Repubblica Kaïs Saïed, con l’obiettivo di ristabilire “la pace sociale”, per mezzo di una serie di manovre economiche, volte ad arginare la crisi politica e istituzionale che attanaglia la Tunisia.
Fonti e approfondimenti
Di Ricco, M., “The Impeccable Narrative Around Tunisian Workers’ Syndicate”, Jadaliyya, 10/07/17.
Garavoglia, M. & Holgado, Y. H., “Dieci anni dopo, la Tunisia non sta a guardare”, Il Manifesto, 15/12/2020.
Netterstrøm, K., “The Tunisian General Labor Union and the Advent of Democracy”, Middle East Journal, 70(3), 383-398. 2016.
Yerkes, S. & Mbarek, N., “After Ten Years of Progress, How Far Has Tunisia Really Come?”, Carnegie Endowment for International Peace, 14/01/2.
“Special briefing: The Arab Spring a decade on”, Middle East Institute, 14/01/21.
“Tunisia: the Islamic politics of trade unionism”, Open Democracy, 21/05/12.
Editing a cura di Carolina Venco