Oggi parliamo di Tunisia, ripercorrendo cosa è accaduto dopo la caduta di Ben Ali, fino ad arrivare a questi ultimi mesi. Il Paese, dopo la primavera araba, è diventato simbolo di democrazia in tutta la regione MENA, sponsorizzato dai governi occidentali. Ma oggi è ancora così?
In Tunisia, nel mese di settembre, il governo ha portato avanti tre scelte che potrebbero essere considerate come un primo passo indietro del processo democratico iniziato al seguito della Primavera araba. Prima di parlare degli ultimi eventi, dobbiamo però andare ad analizzare quali sono gli aspetti importanti del Paese per capire meglio il contesto che stiamo trattando.
Ennahda e Nidaa Toumes: il background politico
Dopo la caduta di Ben Ali, nel panorama tunisino si sono affermati principalmente due partiti: Ennahda e Nidaa Tounes. Ennahda, o Movimento della Rinascita, è un partito islamico moderato, i cui più grandi sostenitori sono principalmente appartenenti alla classe contadina. Nidaa Tounes è un partito di matrice laica fondato nel 2012 dall’allora Primo ministro Beji Caid Essebsi, con lo scopo di risollevare l’economia nazionale e dedicare maggiore attenzione ai giovani.
Nell’ottobre del 2011 si sono tenute le elezioni per l’Assemblea Costituente, vinte dal movimento Ennahda con il 37% dei voti. Il 26 gennaio 2014 è entrata in vigore una nuova Costituzione basata sulla forma di governo semi presidenziale. Nelle elezioni legislative del 26 ottobre 2014, le prime da considerarsi veramente democratiche e multipartitiche, il partito Nidaa Tounes ha ottenuto, inaspettatamente, il 38% dei consensi. Il risultato si è ripetuto nelle elezioni presidenziali nelle quali è risultato vincitore Essebsi.
Il Paese non ha però raggiunto una vera e propria stabilità; in sette anni si sono succeduti sette diversi primi ministri e tutto l’apparato politico si basa su una sorta di compromesso tra Ennahda e Nidaa Tounes, le due più importanti forze del Paese. I due partiti sono insieme, visto il sistema proporzionale vigente, in un governo di coalizione, capace di riuscire a mediare al meglio tra religione e stato, creando così un dialogo all’interno dell’apparato politico tunisino. Nonostante l’instaurazione di un dialogo su alcuni temi, il governo affronta profonde difficoltà poiché i due partiti sono portavoce di idee molto diverse tra loro e quindi inconciliabili.
Dopo la primavera Araba molti membri del partito di regime, fedeli a Ben Ali, non sono stati esclusi dal sistema politico tunisino. Questo è accaduto poiché, prima che il dittatore cadesse, alcuni suoi fedeli, prevedendo quanto sarebbe successo, hanno preferito sostenere i rivoltosi mettendo a disposizione dei partiti laici le loro risorse economiche, garantendosi così una nuova vita politica dopo la caduta di Ben Ali.
Una crisi economica strutturale
Nonostante l’instaurazione di un dialogo e una mediazione all’interno del sistema politico tunisino, il Paese versa in un profonda crisi economica. La Tunisia non è riuscita a riprendersi come si sperava. I fondi per la ripresa economica che arrivano dell’estero sono molti di meno rispetto a quelli previsti e sono stanziati principalmente da organizzazioni internazionali, prime fra tutte l’Unione Europea, e non da privati.
Le politiche economiche del governo invece sono tendenzialmente volte a favorire aree già ricche e figure vicine al potere, ma anche investimenti da parte di soggetti esteri, proprio per cercare di far ripartire il Paese, anche se con scarsi risultati. Il governo mette in pratica politiche volte a favorire il nord del Paese, di base ricco e con un elevato numero di popolazione, dove è possibile dare vita a grandi investimenti. La parte sud del Paese, invece, si regge principalmente su agricoltura di sussistenza e pratiche illegali, come il contrabbando. Al sud inoltre si è sviluppato un forte risentimento nei confronti delle politiche messe in atto dal governo, tant’è che questa sfiducia, la povertà e la miseria spingono molti ad unirsi alla causa jihadista (la Tunisia è il paese con la più alta percentuale di jihadisti sulla popolazione).
Non solo gli sgravi fiscali e la manodopera a basso costo, ma anche la svalutazione del dinaro tunisino ha portato al collasso dell’economia del Paese, che non riesce a riprendersi. Gli investitori esteri sfruttano gli incentivi che il governo mette a disposizione, ma, una volta finiti questi incentivi, preferiscono spostarsi altrove. Questi lavori “di fortuna” non consentono quindi alla classe media di ripartire e di risollevarsi, tant’è che le proteste nei confronti delle politiche economiche del governo non fanno che aumentare.
Per cercare di sedare le proteste si è pensato ad un progetto di “riconciliazione economica”. Moltissimi funzionari legati al regime di Ben Ali sono stati accusati di abuso di potere e sottrazione di fondi e molti di questi non sono stati considerati condannabili perché stavano eseguendo ordini di loro superiori. Con questo progetto quindi gli individui implicati vengono costretti a ripagare almeno un parte di quello che avevano sottratto, non ammettendo però in tribunale quanto fatto durante il regime. Questa manovra del governo non è stata ben vista dall’opinione pubblica, che ha considerato la cosa come una sorta di amnistia per i corrotti.
Le strategie economiche tunisine quindi puntano a consolidare i conti pubblici e stabilizzare i dati macroeconomici, lasciando irrisolte le questioni sociali legate a lavoro e servizi pubblici.
La speranza tunisina svanisce?
Concentriamoci adesso sui tre eventi che stanno minando quell’idea di democrazia sulla quale il mondo occidentale aveva puntato molto.
L’11 settembre vi è stato un nuovo rimpasto di governo approvato dal Parlamento. Questa pratica non è nuova nel panorama tunisino, soprattutto a causa della difficile convivenza tra i due maggiori partiti del Paese. Alcuni membri del gabinetto sono stati sostituiti da nuovi ministri che hanno in passato lavorato e collaborato con il regime di Ben Ali, suscitando proteste negli elettori, spaventati per un possibile ritorno alla situazione precedente alla primavera araba.
Tre giorni dopo è stata approvata dal Parlamento la legge di “riconciliazione economica” nonostante i voti favorevoli non fossero in netta maggioranza e moltissimi parlamentari fossero fuori dal parlamento in segno di protesta. La legge, come abbiamo detto, garantisce amnistia a membri del regime accusati di corruzione, senza essere sottoposti ad un processo. Il progetto preoccupa particolarmente perché mina quelle che sono le funzioni della Commissione di Verità e Giustizia, incaricata appunto di arginare la corruzione all’interno dello stato. La ragione per cui il Presidente Essesbi e i membri del suo partito hanno sostenuto la legge, va ricercata nella necessità di rimpinguare le casse dello stato e chiudere velocemente con il passato.
Inoltre, il 18 settembre, il governo ha comunicato la decisione di rimandare le elezioni a marzo 2018. Queste in realtà si sarebbero dovute tenere nell’ottobre 2016, per poi essere rimandate al marzo 2017 e successivamente al dicembre 2017.
Dopo questi tre eventi la tensione nel Paese è palpabile: queste decisioni del governo hanno allontanato ancora di più quella parte di opinione pubblica già fortemente scoraggiata e hanno comportato un ulteriore abbassamento del consenso verso il governo, già molto precario.
In Tunisia, durante questi anni, c’è stato un calo del consenso verso i partiti vertiginoso a partire dal 2014. Sono moltissimi i giovani che non si sentono coinvolti e rappresentati dal panorama partitico attuale, tanto che un ingente numero di questi non ha votato alle elezioni legislative e presidenziali. Il vuoto che c’è tra eletti e elettori è ormai ben profondo, tanto che in moltissimi preferiscono affiliarsi a gruppi estremisti piuttosto che ritrovarsi in un partito politico. I giovani, in particolare, si sentono traditi e percepiscono l’attuale situazione politica come la corruzione della rivoluzione e, di conseguenza, ripudiano anche i principi democratici che ne sono scaturiti.
La Tunisia era considerata come il più grande successo della primavera araba. La sua economia dilaniata, le ferite ancora aperte degli anni della dittatura e il vuoto ormai creato tra politica e giovani stanno facendo precipitare il Paese nel baratro. Solo nei prossimi mesi potremo dire se la transizione tunisina verso la democrazia è davvero fallita.
Fonti e Approfondimenti:
https://www.foreignaffairs.com/articles/tunisia/2017-10-02/democracy-derailed-0
https://www.foreignaffairs.com/articles/tunisia/2017-07-06/tunisia-success-story