Lo scorso 25 luglio, in occasione del 64esimo anniversario della proclamazione della Repubblica tunisina, diverse centinaia di giovani e attivisti hanno raccolto l’invito, lanciato in rete dal “Mouvement du 25 juillet” e di cui sono ignote le personalità ideatrici, a manifestare davanti al Parlamento di Tunisi per chiederne lo scioglimento.
Lo stesso giorno, sono scoppiate proteste in altre città, quali Sousse Sfax, Kef, Gafsa, Tozeur e Kairouan e numerose sedi locali del partito islamista Ennahda, considerato dai manifestanti l’epicentro del sistema di corruzione politica, sono state assaltate. Quanto accaduto il 25 luglio rappresenta l’apice di una situazione di instabilità politica, economica e sociale che caratterizza da mesi la Tunisia.
Lo scoppio delle proteste e l’invocazione dell’articolo 80
Dopo una giornata di intense manifestazioni in tutto il Paese, il capo di Stato Kais Saied ha deciso di invocare l’articolo 80 della Costituzione, che permette al presidente della Repubblica di adottare le “misure necessarie” nel caso in cui il Paese si trovi in una “situazione eccezionale” di pericolo.
Saied ha quindi rimosso dal suo incarico il premier, Hichem Mechichi, e ha sospeso le attività parlamentari per trenta giorni, conferendosi pieni poteri esecutivi, legislativi e giudiziari. Inoltre, i 217 deputati dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo (Arp) sono stati privati della loro immunità parlamentare.
Da qualche mese nel Paese circolavano voci su un possibile colpo di stato istituzionale di Saied. Il 23 maggio scorso infatti, i giornalisti David Hearst e Areeb Ullah del quotidiano Middle East Eye avevano rivelato l’esistenza di un piano, che prevedeva l’instaurazione di una “dittatura costituzionale”.
A tale riguardo, il presidente della Repubblica è stato accusato di tentato colpo di stato da membri della società civile, figure istituzionali e manifestanti. Saied ha tuttavia rivendicato la costituzionalità delle proprie decisioni, le quali dovrebbero comunque essere sancite da una Corte costituzionale che, ad oggi, ancora non esiste. Sebbene la sua creazione sia stata richiesta dalla Costituzione del 2014, il panorama politico frammentato della Tunisia ha impedito ai partiti di giungere a un accordo sulla sua formazione.
La duplice strategia di Kais Saied
Nei giorni successivi alle disposizioni del 25 luglio, il presidente della Repubblica ha dato all’opinione pubblica segnali contrastanti. Da una parte, una forte stretta securitaria che ha coinvolto giornalisti e funzionari pubblici; dall’altra, la possibilità di un dialogo con la società civile volto a calmare le acque.
Lo scorso 26 luglio, le forze dell’ordine hanno fatto irruzione negli uffici di Tunisi dell’emittente qatariota Al Jazeera, ordinandone la chiusura per volere dello stesso Saied. Ai giornalisti e impiegati è stato intimato di abbandonare l’edificio e di consegnare ai militari i propri telefoni e le apparecchiature elettroniche.
Contestualmente, il capo di Stato ha dichiarato di essere desideroso di sradicare la corruzione che affligge la politica tunisina, cominciando con il licenziare i funzionari da lui considerati un “ostacolo”. Il 28 luglio, la magistratura ha quindi aperto un’inchiesta giudiziaria sui finanziamenti esteri alle campagne elettorali di tre partiti: Qalb Tounes, formazione populista fondata dal magnate Nabil Karoui, Ennahda, maggioritario in Parlamento, e Aich Tounsi, un piccolo partito che conta un solo deputato all’Arp.
Nella stessa giornata, Saied ha rimosso per decreto una ventina di alte cariche tra le quali spiccano i ministri di Giustizia e Difesa, il Procuratore generale Tawfiq al Ayouni, il Segretario generale del governo Walid al Dhahabi, il capo di Gabinetto e numerosi consiglieri dell’ormai ex premier Mechichi.
Al contempo, Saied ha tentato di coinvolgere in un dialogo nazionale i maggiori organismi della società civile protagonisti della thawrat al-karama, la Rivoluzione della Dignità del 2010-2011, quali l’Union générale tunisienne du travail (UGTT), il più importante sindacato dei lavoratori tunisino, l’Ordine nazionale degli avvocati tunisini (ONAT), la Lega tunisina dei diritti dell’uomo (LTDH) e l’Associazione tunisina delle donne democratiche (ATFD).
Nonostante le aspre critiche di coloro che hanno gridato al colpo di stato, i provvedimenti di Saied sembrano essere stati ampiamente condivisi dalla popolazione. Secondo il sondaggio condotto da Emrhod Consulting, pubblicato lo scorso 28 luglio, l’87% dei tunisini ha affermato infatti di approvare le scelte del presidente.
A tal riguardo, Saied ha dichiarato che le sue decisioni rispondono alle rivendicazioni dei manifestanti, poiché così facendo avrebbe messo fine allo stallo politico del Paese, in modo da poter aprire la strada alle autorità per affrontare la grave crisi socio-economica che ampi strati della società tunisina si trovano ad affrontare.
Il sostegno accordato al presidente della Repubblica sembrerebbe si celi dietro queste ragioni: Saied è estraneo al panorama politico tunisino, è un docente ultraconservatore di diritto costituzionale che ha collaborato alla stesura della Costituzione del 2014 e ha vinto le elezioni presidenziali nel 2019, presentandosi come un agguerrito contestatore della classe politica del Paese. Mostrandosi come un uomo incorruttibile, è infatti riuscito a ottenere il supporto dei più giovani, dei cittadini più conservatori e della classe media.
Sulla Tunisia si è consumato lo scontro tra i tre presidenti
Dal 2019, anno delle ultime elezioni legislative, la Tunisia ha visto succedersi tre governi. In questi due anni, il Paese è stato sospeso tra scontri di potere tra nuovi e vecchi soggetti politici. Gli episodi del 25 e 26 luglio rappresentano l’apice di una crisi politica che ha visto contrapposti i tre presidenti: quello della Repubblica, Kais Saied, quello del Parlamento, Rached Ghannouchi e quello del governo, Hichem Mechichi.
Dopo le dimissioni dell’esecutivo di Elyes Fakhfakh a luglio 2020, la designazione di Mechichi in qualità di premier fu ampiamente caldeggiata dallo stesso Saied, in quanto considerata una figura tecnica ed estranea al panorama partitico del Paese.
Poco tempo dopo la sua designazione, Mechichi ha proposto un rimpasto governativo già approvato dal Parlamento, ma che non è mai stato accettato dal presidente della Repubblica. A gennaio 2021 infatti, quest’ultimo ha rigettato la nomina di quattro nuovi ministri di Ennahdha proposti da Mechichi (perché accusati di corruzione), impedendo al governo di prestare giuramento.
Economia in crisi e lo spettro dell’instabilità sociale
La Tunisia sta affrontando una crisi economica senza precedenti, aggravata dalla pandemia da Coronavirus. Secondo i dati della World Bank, la pandemia ha determinato un calo del PIL dell’8,8% nel 2020. Molte attività hanno risentito delle chiusure e le esportazioni hanno subito una contrazione del 12% tra il 2019 e il 2020. La disoccupazione generale si attesta intorno al 18%, mentre quella giovanile supera il 40%.
Strettamente connesso all’instabilità economica vi è il rischio di una nuova ondata di proteste, dovuta alla continua fase di impasse politica. Ad oggi, la popolazione tunisina continua a rimanere in attesa, dopo che nella notte tra il 23 e il 24 agosto, Saied ha esteso la sospensione delle attività parlamentari e le altre misure «sino a nuovo avviso».
Solamente lo scorso 11 settembre, durante una passeggiata tra la folla in Avenue Bourguiba nel cuore della capitale tunisina, il presidente della Repubblica ha annunciato l’imminente formazione di un nuovo governo, che vedrà un’attenta «selezione delle personalità più oneste» e la revisione della Costituzione del 2014. Tuttavia, il capo di Stato non ha fornito una data precisa riguardo la formazione del nuovo esecutivo. In merito alla Costituzione, Saied ha dichiarato di «rispettarla» ma che vi potrebbe essere la «possibilità di introdurre emendamenti al testo».
Fonti e approfondimenti
Alessandro Balduzzi, “Tutte le crisi della Tunisia”, Limes, 12/07/2021.
Fadil Aliriza, “The Tunisian president’s political capital is finite.”, Middle East Institute, 10/08/2021.
Intissar Fakir, “A coup or not? What happened in Tunisia and what comes next?”, Middle East Institute, 05/08/2021.
Matteo Garavoglia, “Dalla rivoluzione dei gelsomini alla crisi costituzionale dopo le proteste del 25 luglio: il presidente Kais Saied decisore ultimo della democrazia tunisina”, La valigia blu, 24/08/2021.
Piero Messina, “Com’è nata e come può evolvere la crisi in Tunisia”, Limes, 27/07/2021.
Sarah Yerkes, “Tunisia faces a new future”, Opinion, 29/07/2021.
“Tunisia: democrazia sospesa”, Ispi, 26/07/2021.
Editing a cura di Carolina Venco