Quando il complotto del grand remplacement sbarca in Tunisia: Kais Saied, il PNT e i migranti subsahariani

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

A partire dalla fine di febbraio, gli stranieri di origine subsahariana in tutta la Tunisia hanno sperimentato un’ondata di razzismo dai toni particolarmente violenti. A incoraggiare la discriminazione nei confronti di queste persone vi sono il presidente della repubblica tunisina, Kais Saied, e il Partito nazionalista tunisino (PNT), che hanno denunciato a più riprese un presunto complotto volto all’africanizzazione del Paese. 

Il discorso del presidente

La molla che ha fatto scattare le ondate di razzismo e violenza ai danni dei migranti subsahariani è stata individuata in un discorso pronunciato lo scorso 21 febbraio da Kais Saied in occasione di una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale. Il presidente ha infatti appoggiato pubblicamente le teorie cospirazioniste e razziste che vedono le “orde” di migranti provenienti dai Paesi sub-sahariani come parte di una non meglio precisata impresa criminale mirata a modificare la composizione etnica della Tunisia. Lo scopo ultimo di questo complotto, a detta del capo di Stato della Tunisia, sarebbe quello di cancellare l’identità arabo-musulmana del Paese per sostituirla con una completamente africana. In realtà, i migranti subsahariani in Tunisia non superano le 21.000 unità (un terzo dei quali vengono dalla Costa d’Avorio, i restanti provengono soprattutto da Repubblica Democratica del Congo, Mali e Guinea) su una popolazione di circa 12 milioni di persone. 

A rincarare la dose, il 25 febbraio, il ministro degli Affari Esteri, delle Migrazioni e dei Tunisini all’Estero, Nabil Ammar, ha sottolineato la necessità di combattere l’immigrazione clandestina, definita come una problematica di portata mondiale, sottolineando che i migranti regolari sarebbero invece i benvenuti in Tunisia. L’accento sugli ingressi irregolari è stato quindi usato come uno scudo contro le accuse di razzismo

Il problema è che la Tunisia non ha mai stabilito i criteri legali e amministrativi per ufficializzare la posizione dei migranti sub-sahariani, condannandoli di fatto a una presenza irregolare perpetua anche in possesso di tutta la documentazione necessaria. La mancanza di un permesso di soggiorno costringe gli stranieri ad accettare lavori in nero sottopagati, relegandoli in una posizione socialmente marginale e vulnerabile. Da notare come questo problema colpisca principalmente gli immigrati sub-sahariani: per coloro che arrivano da altre Regioni, come l’Europa, ottenere un permesso di residenza è molto più semplice. 

Inoltre, molti degli stranieri arrivati clandestinamente non provano nemmeno a regolarizzare il proprio stato in quanto non desiderano rimanere in Tunisia: il loro progetto migratorio prevederebbe, infatti, di riuscire ad attraversare il Mediterraneo e raggiungere l’Europa, con tutti i pericoli che la traversata comporta. A tal proposito, i finanziamenti europei volti a esternalizzare le frontiere e contrastare le partenze dal Nord Africa sono stati integrati nella teoria complottista della presunta africanizzazione della Tunisia. L’Unione europea, durante un’interrogazione parlamentare, ha condannato duramente le parole di Saied, accusando le forze dell’ordine tunisine di violazione dei diritti umani; tuttavia, il testo presentato mostra implicitamente il ruolo che l’Europa ha assegnato al Paese nordafricano: una barriera protettiva a pagamento contro i migranti (naturalmente non vi è alcun interesse a modificare la popolazione tunisina: basta che i subsahariani non lascino il continente). Il ministro degli Esteri e vicepremier italiano, Antonio Tajani, ha ribadito questa posizione sia nel corso della visita a Tunisi effettuata il 18 gennaio insieme al ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, che durante un colloquio telefonico con il suo omologo Nabil Ammar il 27 febbraio. 

Vivere nel terrore

Le affermazioni del presidente e dei suoi colleghi non sono apparse dal nulla, ma sono il risultato di uno sviluppo in corso da tempo. Già da alcuni mesi i social network del Paese erano stati invasi da hate speech e incitazioni a scacciare gli stranieri, il tutto con la benedizione del Partito nazionalista tunisino, una formazione politica riconosciuta solo nel 2018, ma che ha saputo guadagnarsi un grande spazio mediatico a partire dalla fine dello scorso anno, in concomitanza con una penuria di beni alimentari di prima necessità nel Paese. 

Secondo quanto riportato dalla testata tunisina indipendente Inkyfada, già dai primi giorni di febbraio circolavano su Internet ammonimenti per i proprietari di immobili che affittano abitazioni a stranieri: chi avesse ospitato inquilini subsahariani senza documenti sarebbe andato incontro a sanzioni o addirittura incarcerato. Molti affittuari hanno reagito alla notizia scacciando i propri locatari subsahariani con sole due settimane di preavviso. Chi non ha avuto la fortuna di poter essere accolto da amici o parenti si è ritrovato a dover vivere per strada. Nello stesso momento, molti datori di lavoro hanno licenziato i dipendenti stranieri. 

In concomitanza con il discorso di Saied, i social network, inclusa la pagina ufficiale del PNT, si sono riempiti di avvertimenti contro la presunta invasione subsahariana. Nonostante varie organizzazioni della società civile tunisina e la stessa Unione africana abbiano denunciato il discorso di Saied, nel giro di poco tempo la situazione è precipitata, prendendo una piega preoccupante. In poco tempo, razzismo e violenza sono usciti dal Web per approdare nel mondo reale. Gli assalti immotivati sia fisici che verbali contro gli stranieri provenienti dall’area subsahariana si sono moltiplicati. Oltre a ingiurie e insulti, sono stati riportati casi di inseguimenti, pestaggi e persino irruzioni dentro le abitazioni con il tentativo di incendiarle. Dal canto loro, le forze dell’ordine non intervengono per proteggere i residenti stranieri: al contrario, solo nel mese di febbraio, oltre trecento persone sarebbero state arrestate senza un apparente motivo. Di molte non si sa più nulla. 

A seguito di questi sviluppi, molti stranieri residenti in Tunisia hanno iniziato a temere per la propria incolumità, preferendo barricarsi in casa. Fuggire e tentare di rientrare in patria potrebbe essere ancora più pericoloso, dato che l’assenza di documenti impedisce la libera circolazione. Alcuni hanno quindi tentato di chiedere aiuto alle ambasciate dei propri Paesi d’origine, accampandosi al di fuori degli edifici diplomatici. 

Sebbene l’obiettivo dichiarato di questi discorsi d’odio e assalti fisici siano gli stranieri etichettati come irregolari, l’ondata di violenza non è basata sulla cittadinanza, ma semplicemente sul colore della pelle. Anche i tunisini di carnagione scura sono stati presi di mira e attaccati verbalmente o fisicamente, oppure fermati dalla polizia senza apparente motivo: solo l’esibizione dei documenti o l’ostentazione della propria nazionalità sono una garanzia di salvaguardia. 

Una rigida identità nazionalista nel Mediterraneo

È innegabile che attualmente la Tunisia sia un Paese a maggioranza araba e musulmana. Tuttavia, nel corso dei secoli ha visto passare sul suo suolo un gran numero di popoli, etnie e fenotipi. In antichità il territorio era stato conquistato prima dai fenici, fondatori della civiltà cartaginese, e poi dalla Repubblica di Roma a seguito delle tre guerre puniche (tra 264 e 146 a.C.). Alcuni secoli dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente, alla popolazione indigena amazigh (berbera) si sono sovrapposti gli arabi, che inglobarono l’area all’interno del califfato Omayyade (661-749). Dopo un susseguirsi di dinastie sia arabe che amazigh, l’attuale Tunisia è passata sotto l’influenza ottomana nel XVI secolo, per poi diventare una colonia francese nel 1881 e, infine, ottenere l’indipendenza nel 1956.

La storia della Tunisia, come del resto quella dell’intero bacino del Mediterraneo, è quindi basata sui contatti e sull’incontro, e a volte scontro, tra genti diverse. Le origini della sua popolazione sono miste. Alla Tunisia va anche il merito di essere stata una delle prime entità politiche della Regione ad aver abolito la tratta degli schiavi e garantito l’emancipazione a chi ne faceva richiesta per mano del governatore di Tunisi Ahmad Bey (figlio di una schiava sarda) tra 1841 e 1846. La retorica nazionalista e xenofoba individuabile nel discorso di Saied e del Partito nazionalista tende ad appiattire questo passato: tutto ciò che devia dall’etichetta “arabo-musulmana” assume una connotazione negativa. Il fatto che la Tunisia di oggi sia anche il risultato di queste cosiddette devianze non è preso in considerazione.  

Capro espiatorio cercasi

Le affermazioni di Saied non sono altro che il punto più alto (per il momento) di una retorica razzista e nazionalista che prende spunto dalla cosiddetta teoria della grande sostituzione («Grand remplacement»), utilizzata anche dalle destre occidentali. Tale ideologia si è sviluppata in Francia a metà del secolo scorso, durante il processo di decolonizzazione: mentre la “razza bianca” percepiva di stare perdendo la propria posizione dominante assieme ai territori in altri continenti, alcuni esponenti dell’estrema destra francese iniziarono a vedere nel contatto paritario e nella mescolanza etnico-culturale un pericolo per la civiltà europea. Secondo tale visione, l’immigrazione sarebbe quindi una subdola forma di colonialismo che gradualmente sfocerà nell’etnocidio del Paese ospitante

L’ascesa e il supporto di leader e partiti che utilizzano gli stranieri come capro espiatorio o diversivo per i problemi del Paese non è certamente una novità o un’esclusività della Tunisia. Politici, giornalisti, ma anche figure accademiche o comuni cittadini che cercano di avvertire la popolazione di una presunta invasione dall’esterno sono rintracciabili un po’ ovunque. Questi sedicenti profeti dell’etnocidio si autorappresentano spesso come una sorta di Cassandra che i cosiddetti “buonisti” si rifiutano di ascoltare e fanno solitamente leva sulla paura e soprattutto sulla disinformazione, distorcendo la realtà a proprio favore e avendo cura di occultare le vere radici di determinate problematiche preferendo invece evidenziarne solo alcuni sintomi. 

La Tunisia è bloccata all’interno di una crisi economica dal 2021 e attualmente la popolarità di Saied è ai minimi, nonostante il processo di accentramento dei poteri nelle sue mani, culminato con il presidenzialismo instaurato con il referendum del 25 luglio 2022. La creazione di un nemico fantasma e di un presunto complotto volto a distruggere il Paese è un’ottima arma per distogliere le ire dei cittadini, proiettandole verso una parte della popolazione vulnerabile, spesso isolata e, soprattutto, facilmente riconoscibile

 

 

Fonti e approfondimenti

Émilien Bernard, “Racisme en Tunisie. «Le président a éveillé un monstre», AfriqueXXI, 03/03/2023.

Stéphane François, “«Grand remplacement», le nouveau masque du racisme, AfriqueXXI, 21/02/2022.

Inkyfada, “«We’re at the mercy of everyone»: Sub-Saharan Africans facing racist violence in Tunisia, 02/03/2023.

Linda Kaboudi, Nesrine Zribi, “Racisme en Tunisie : le pouvoir de la désinformation, Inkyfada, 03/03/2023.

Arianna Poletti, “Per fermare i migranti paghiamo governi autoritari, razzisti, violenti: cosa succede nella Tunisia del presidente Saied, Valigia Blu, 04/03/2023.

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