I primi sei mesi di Kais Saied: la Tunisia divisa tra crisi economica e derive autoritarie – intervista a Matteo Garavoglia (prima parte)

Intervista
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Matteo Garavoglia fa parte del Centro di giornalismo permanente (CGP). Storico di formazione e giornalista freelance, si occupa principalmente di Tunisia con reportage sul campo, inchieste e analisi. Ha scritto per “Il Manifesto”, “Domani”, Limes – Rivista italiana di geopolitica, Elsaltodiario.com, RSI – Radiotelevisione svizzera e “FQ MilleniuM”. È autore di “Un gioco di società”, la prima inchiesta italiana completamente fruibile su Instagram e vincitrice del premio Roberto Morrione 2018 – sezione inchiesta sperimentale.

Lo scorso 14 gennaio, nonostante il divieto di manifestare, gruppi di manifestanti tunisini sono scesi in piazza in occasione dell’anniversario della Rivoluzione dei Gelsomini, termine con cui si fa riferimento alla mobilitazione che, nel 2011, ha provocato la caduta dell’ex presidente Zine el-Abidine Ben Ali. Gli agenti sono stati visti impiegare gas lacrimogeni e cannoni ad acqua per disperdere i manifestanti in via Mohammed V. Tu hai potuto partecipare? Cosa hai visto?

Sì, ero lì. È stata una manifestazione legata a ciò che è successo lo scorso 25 luglio, dopo il colpo di forza del presidente della Repubblica Kais Saied. La possiamo inserire all’interno della lunga serie di manifestazioni che si sono susseguite da settembre/ottobre sino a gennaio, ovvero la contestazione di quanto è avvenuto a livello politico e istituzionale in Tunisia negli ultimi mesi. Cosa è cambiato rispetto alle precedenti? Innanzitutto, gli attori in campo. Il 14 gennaio, infatti, hanno partecipato per la prima volta anche dei partiti politici, come il movimento di ispirazione islamica Ennahda, già presente in maniera ufficiosa alle scorse manifestazioni. In questo contesto, il leader di Ennahda, Rachid Ghannouchi, ha invitato le persone a scendere in strada. Erano presenti anche il Partito dei Lavoratori di Hamma Hammami, ex partito comunista tunisino, che a oggi rappresenta ancora la sinistra militante tunisina e, infine, tutta la coalizione dei partiti socialdemocratici che avevano una cospicua rappresentanza in Parlamento. Il 14 gennaio è stata la prima “vera” manifestazione politica dove sarebbero scesi in piazza degli attori visibili, in aperta opposizione a Saied. Fino a questo momento, hanno partecipato solo i manifestanti appartenenti al gruppo “Cittadini contro il colpo di stato”, movimento nato dopo il 25 luglio, che sono stati i protagonisti di un po’ tutta l’opposizione. 

Il 14 gennaio rappresenta l’anniversario della caduta dell’ex presidente Zine el-Abidine Ben Ali. Ogni 14 gennaio di ogni anno, dal 2011 ad oggi, è una data estremamente sensibile per chi sta al governo, poiché rappresenta un’occasione per scendere in strada. Questo 14 gennaio arriva in un momento delicato perché sarebbe stata la prima manifestazione politica e perché è stato vietato di manifestare: il governo, infatti, il 12 gennaio ha proclamato un coprifuoco e il divieto di eventi e manifestazione negli spazi pubblici, ufficialmente per frenare la nuova ondata epidemica che il Paese sta attraversando. La manifestazione c’è stata, le persone sono scese in piazza e la polizia, il dato forse più evidente, è stata molto più brutale rispetto alle proteste dei mesi scorsi. Per “brutale” intendo uso di idranti, pestaggi con manganelli, fermi ecc… Ci sono stati numerosi momenti di tensione. Alcuni poliziotti hanno circondato coi mezzi dei manifestanti, molti sono stati arrestati, e altri addirittura pestati come Mathieu Galtier, corrispondente del quotidiano francese “Liberation”. Lo ha denunciato lo stesso quotidiano e l’associazione dei corrispondenti esteri in Nord Africa. Il suo caso è forse stato il più eclatante. 

La giornata del 14 gennaio è stata molto difficile per diversi giornalisti, perché gli è stato visibilmente impedito di poter documentare quanto stava avvenendo. A tal riguardo, la domanda che potrebbe sorgere spontanea è se questo atteggiamento da parte delle forze di sicurezza sia strettamente legato alla giornata del 14 gennaio o se continuerà. La situazione nei prossimi mesi non promette nulla di buono. Questo è l’inizio di un qualcosa, non è sicuramente un momento che si concluderà qui. Ieri (19 gennaio, ndr), diverse realtà della società civile, tra cui il Sindacato dei giornalisti e il Forum tunisino per i Diritti economici e sociali, hanno organizzato una conferenza stampa annunciando pubblicamente le aggressioni sia nei confronti dei giornalisti sia dei manifestanti. Gennaio è sicuramente un mese molto caldo in Tunisia, per via di manifestazioni, ricorrenze politiche ecc… Tuttavia, per comprendere se la manifestazione del 14 gennaio abbia rappresentato davvero uno spartiacque, dovremo vedere come si evolverà la situazione nei prossimi mesi.

Numerose ONG hanno espresso profonda preoccupazione per il deteriorarsi della situazione dei diritti umani in Tunisia, in particolare per lo spazio sempre più esiguo concesso alle voci critiche e il timore di rappresaglie contro le vittime e i testimoni. Potremmo dire che giornalisti e avvocati vivono in un clima di terrore e intimidazione e che la sicurezza degli attivisti è andata deteriorandosi considerevolmente nel corso degli ultimi mesi?

Dal 2019 a luglio 2021, questo clima di terrore non c’era ed era possibile lavorare abbastanza bene. Dal 25 luglio, la situazione è molto più tesa. La rete delle realtà della società civile è molto forte e radicata in Tunisia, ma oggi si respira una forte preoccupazione e gli occhi di tutti sono puntati sulle decisioni di Kais Saied. Da quel che si vede o si legge, non ci sono stati tuttavia formali documenti di denuncia o critica riguardo a ciò che ha fatto il presidente lo scorso luglio. Non c’è stata ancora la volontà di denunciare pubblicamente se sia stato un colpo di stato o no, né tantomeno forti prese di posizioni. Siamo ancora in una fase di attesa e, soprattutto, dobbiamo vedere cosa succederà nel 2022 in Tunisia. Ad esempio, è stato indetto un referendum costituzionale che si terrà il 25 luglio, mentre il 17 dicembre vi saranno elezioni anticipate. Fatti questi due passaggi, forse capiremo effettivamente quali spazi di manovra ci saranno per continuare a lavorare qui. Riguardo i giornalisti, la Tunisia è un Paese dove la libertà di stampa è arrivata nel 2011. Sono passati dieci anni, che se inseriti all’interno di un’ideale linea temporale, non sono molti. Sono nate diverse realtà locali, anche di libertà di stampa, con giornali indipendenti come per esempio Inkyfada, con tutte le difficoltà del caso. Ciò che è successo il 14 gennaio ha sicuramente cambiato le cose, e mi riferisco sia all’aggressione di Galtier sia all’impedimento imposto ai giornalisti di non riprendere quanto stava avvenendo. A mio parere, è stata una cosa partita dalla polizia stessa, che non voleva che i giornalisti facessero il proprio lavoro. Ed è la prima volta che accadeva. In tutti questi anni, non mi è mai stato impedito di fare il mio lavoro qui. Dobbiamo vedere cosa succederà nei prossimi mesi. 

Il principale sindacato nazionale dei giornalisti ha sottolineato una mancanza senza precedenti di comunicazione del governo con la stampa e ha recentemente rivelato che la televisione di Stato ha vietato le apparizioni di tutti i rappresentanti dei partiti politici dal 25 luglio. Sembrerebbero ulteriori indicazioni che i giornalisti e la libertà di stampa in generale sono sotto una crescente pressione. È corretto?

Il punto che sottolinea il presidente del Sindacato dei giornalisti è che non c’è più dibattito e non ci sono più programmi televisivi che propongono tematiche incentrate sugli aspetti politici del Paese. Da diverso tempo, i programmi non invitano più nessuno. Questa cosa si è vista anche in piazza. Nel senso che durante la manifestazione degli oppositori di Saied, quando la televisione di Stato veniva a fare delle riprese, questi venivano immediatamente cacciati. Al contrario, quando ci sono state delle manifestazioni pro-Saied, i giornalisti di al-Jazeera sono stati cacciati. Questo è ovviamente un discorso politico. Dal 25 luglio, inoltre, la presidenza della Repubblica ha la tendenza a non comunicare ufficialmente più nulla. Il che vuol dire che i cittadini e i giornalisti si ritrovano a leggere un comunicato del presidente pubblicato sui social, come per esempio nel caso del referendum costituzionale o delle elezioni anticipate. Riguardo questo aspetto, la presidenza non comunica e non ha mai parlato con la stampa. L’unica volta in cui è successo è stato due o tre giorni dopo il 25 luglio, perché una giornalista del New York Times era venuta in Tunisia per riportare quello che stava succedendo nel Paese. Ha subìto dei controlli invasivi in aeroporto ed è stata fermata un paio d’ore prima che la lasciassero andare. Questa cosa ha causato un eco mediatico importante, anche perché era il periodo in cui tutti stavano cercando di capire se ci fosse stato un colpo di stato o meno. Saied per calmare la situazione ha deciso di invitare la giornalista del NY al Palazzo presidenziale per veicolare il fatto che la libertà di stampa in questo Paese vive. Una volta uscita dall’incontro, ha scritto un pezzo sul NYT in cui affermava che le era stato impossibile fare delle domande al presidente. Saied usa questo modello comunicativo sempre ed è diventato un aspetto molto problematico. Così facendo, non si ha più un reale contraddittorio. Ma soprattutto questo atteggiamento cozza con quanto ha affermato il presidente fino ad oggi, ossia che il colpo di stato non esiste e che ha agito solo per arginare una crisi economica che paralizza il Paese. Questo è un altro elemento che possiamo benissimo inserire in quella limitazione alla stampa che, progressivamente dal 25 luglio ad oggi, sta riducendo la libertà di espressione. 

Che tipo di movimento è, e che aspirazioni ha, il gruppo “Cittadini contro il colpo di stato”? Pare si oppongano alle misure “straordinarie” adottate da Kais Saied il 25 luglio 2021 e chiedano una sua adesione al percorso di transizione democratica intrapreso a séguito della Rivoluzione del 2011. Questo movimento ha altre aspirazioni?

Il gruppo “Cittadini contro il colpo di stato” è un movimento nato dalla spinta di Jouhair Ben M’barek, personaggio apolitico, costituzionalista e docente all’università La Manouba di Tunisi, nonché intimo conoscente di Saied. I due erano in contatto nel 2011, nei primi momenti che sono susseguiti alla cacciata di Ben Ali dal Paese, per capire che direzione far prendere alla Tunisia a livello istituzionale. M’barek si definisce democratico, progressista e di sinistra. In merito alle aspirazioni politiche, afferma di non averne. Ha dichiarato di essere contro le misure straordinarie adottate da Saied dal 25 luglio e che bisogna ritornare al percorso democratico che aveva intrapreso la Tunisia nel 2011. Il movimento non è appoggiato da nessun partito politico, almeno ufficialmente, tuttavia alle manifestazioni che ci sono state da ottobre, i manifestanti presenti erano in gran parte militanti o elettori di Ennahda che,  come è noto, non sono progressisti di sinistra. C’è sicuramente una contraddizione interna al movimento. M’barek afferma di non poter impedire a nessuno di scendere in strada per manifestare, riferendosi anche al partito islamista. Quello che mi stupisce è che numerose realtà appartenenti alla sinistra del Paese non hanno partecipato alle proteste. Queste si sono giustificate dicendo che non avrebbero preso parte alle proteste perché per coerenza non avrebbero manifestato insieme a Ennahda. Dal 25 luglio, il gruppo “Cittadini contro il colpo di stato” si è imposto: è infatti stato l’unico movimento che ha agito contro le misure volute da Saied. In vista delle elezioni anticipate, qualcosa potrebbe succedere e qualche nome dal movimento potrebbe uscire. Il problema è che siamo ancora a gennaio e da qui alle elezioni potrebbero esserci numerosi sviluppi potenzialmente imprevisti. Dicembre è ancora molto lontano e, nel frattempo, si dovrà votare per una nuova Costituzione. Probabilmente ci sarà una nuova legge elettorale e anche lì lo spazio di manovra a livello di candidature potrebbe essere molto ristretto. Bisogna ancora capire come Saied intenda queste elezioni, se le vuole libere o partecipate o se ha intenzione di trasformare queste elezioni in un grande referendum per poi continuare a governare. Siamo ancora in una fase di attesa e questo si nota anche dal fatto che le istanze proposte dal movimento sono legate a quanto accaduto lo scorso 25 luglio: no al colpo di stato, ritorno a un percorso democratico ecc… M’barek non nasconde il fatto che il sistema politico in Tunisia fosse precario e che ci fosse una sfiducia totale da parte dei tunisini nei confronti della classe politica costituitasi nel 2011. Questo è un elemento centrale, perché rappresenta anche il tema su cui Saied ha battuto con forza durante le elezioni presidenziali tenutesi nel 2019. 

Parlando invece di cosa pensano i tunisini riguardo le manovre di Saied di luglio, possiamo dire che poco gli importa. L’unica cosa che interessa ai tunisini è la crisi economica e sociale che va avanti dalla Rivoluzione del 2011. La Rivoluzione è stata fatta sì in contestazione al regime di Ben Ali, ma è stata fatta principalmente per la crisi economica imperante, che negli ultimi dieci anni è solo che peggiorata. All’epoca si pensava che attraverso l’inizio di un percorso democratico ci sarebbero state condizioni di vita migliori. Tuttavia, le garanzie che la popolazione si auspicava non ci sono state per diverse ragioni. Una fra queste è stata sicuramente l’incapacità della classe politica di gestire il dossier economico. Ciò ha portato a una serie di ondate di proteste a partire dal 2021, soprattutto nelle aree interne del Paese o nella periferia della capitale. Ad oggi, questa situazione non è ancora cambiata. Lo scorso luglio, il Paese ha dovuto fronteggiare anche la quarta ondata epidemiologica: ci sono stati numerosi morti e gli ospedali continuano a non funzionare. Non è un caso quindi che Saied il 25 luglio abbia imposto misure straordinarie prendendo in mano le redini del Paese e dichiarando che dal quel momento avrebbe gestito tutto in prima persona, promettendo ai cittadini che avrebbe traghettato la Tunisia fuori dalla crisi. In quell’occasione, i tunisini hanno mostrato fiducia nei confronti delle parole del presidente. In questo senso, ritorna anche il concetto di “uomo forte” che non ha mai lasciato davvero questo Paese. Non è un caso infatti che prima del 25 luglio, in testa ai sondaggi ci fosse il Partito desturiano libero (PDL), formazione che si ispira all’ex regime di Zine el-Abidine Ben Ali e che non ne ha mai preso ufficialmente le distanze, guidato dalla leader Abir Moussi. Moussi è stata l’avvocata di Ben Ali che a gennaio del 2011 andò a lottare contro la dissoluzione del partito. Probabilmente anche alle prossime elezioni di dicembre, Moussi sarà una dei favoriti. Tornando a Saied, la fiducia che la popolazione gli ha accordato è stata forte, tuttavia il presidente si trova di fronte a una sfida ancora più grande, ossia fronteggiare e trovare delle soluzioni reali al dossier economico. Se nei prossimi mesi non ci riuscirà, questo “fallimento” potrebbe probabilmente decretarne la sua fine. La frustrazione delle persone a riguardo è tangibile. Tuttavia, le premesse non sono buone. Ad oggi, la soluzione più credibile è stringere un nuovo accordo da quattro miliardi di dollari con il Fondo monetario internazionale (FMI), che implicherà tagli alla spesa pubblica in un Paese in cui il settore pubblico rappresenta la vera economia nazionale. La richiesta era stata fatta lo scorso maggio, ma le trattative si erano interrotte a luglio dopo la sospensione del Parlamento, anche perché per continuare avrebbero dovuto essere accompagnate da una serie di riforme mai attuate dal governo tunisino. Questo porterà inevitabilmente a una nuova reazione da parte della popolazione. Da qui a dicembre, Kais Saied fronteggerà una sfida enorme. La linea temporale dell’economia è molto più stretta rispetto alla linea temporale della politica e dell’assetto istituzionale del Paese. Sono due binari temporali diversi. Saied, almeno fino ad oggi, ha giocato prettamente sul secondo, mentre adesso deve mettere mano al dossier economico.

 

 

Editing a cura di Carolina Venco

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