Le rivoluzionarie dimenticate

Rivoluzioni e guerre sono fatti e concetti sempre declinati al maschile, complice un certo modo di pensare alla forza come sinonimo di virilità. Le grandi mobilitazioni hanno sempre visto uomini e donne in prima linea, ma le rivoluzionarie sono state troppo spesso invisibilizzate, relegate all’anonimato e ai margini della Storia. Con questo articolo vogliamo raccontare l’altra metà di due delle più grandi e note rivoluzioni dell’America latina: la Rivoluzione messicana (1910-1920) e la Rivoluzione cubana (1953-1959).

Hasta la victoria (contro il patriarcato)

Pochi conoscono il fondamentale apporto delle donne cubane alla rivoluzione di Castro e Che Guevara. Dopo la vittoria dell’esercito ribelle, le idee rivoluzionarie non solo ebbero un fortissimo impatto sulle politiche di genere del Paese caraibico, ma camminarono sulle gambe di (e si imposero grazie a) donne combattenti, vere e proprie eroine della rivoluzione. 

Il famoso attacco al Cuartel Moncada del 1953 o la guerriglia nella Sierra Maestra videro una grande partecipazione di donne combattenti, come Vilma Espín, María Antonia Figueroa, Asela de los Santos o Gloria Cuadras. 

Il 4 settembre 1958 venne ufficializzato il coinvolgimento delle donne in maniera strutturale nella rivoluzione, con la formazione dell’iconico Plotone Mariana Grajales. Fu il primo tutto al femminile e si lega simbolicamente al nome di una storica rivoluzionaria del XIX secolo, icona della ribellione e del patriottismo delle donne in lotta per l’indipendenza cubana. Le marianas – così erano chiamate le ragazze vestite verde oliva – erano quasi tutte attive da molto prima del 1958, ma quello fu un passaggio fondamentale che aprì la strada a un riconoscimento formale delle donne nelle gerarchie rivoluzionarie. Fidel era convinto dell’importanza di “armare” le donne, tanto che poi il Pelotón si trasformò nella sua guardia personale. Isabel Rielo ne era al comando e tra le 13 donne che lo componevano figura anche Teté Puebla, successivamente nominata Colonnella e poi Generale di Brigata nelle forze armate rivoluzionarie. Fu la prima donna Generale di Cuba. 

Lo storico discorso in cui Fidel Castro pronunciò le parole “La storia mi assolverà” – futuro manifesto del Movimiento 26 de Julio –  divenne pubblico grazie alla rielaborazione di Melba Hernández e Haydee Santamaría. Le due rivoluzionarie, Insieme a Teté Puebla, furono fondatrici del Partito Comunista Cubano e in seguito rivestirono rispettivamente le cariche di deputata dell’Assemblea Nazionale e di Ministra dell’educazione. 

La Federazione delle Donne Cubane

Nel discorso pronunciato il 1° gennaio 1959, Castro definì le discriminazioni affrontate dalle donne nella società cubana come una delle questioni rivoluzionarie che richiedevano “più tenacia, fermezza, costanza e sforzo”. Da questo approccio iniziò un percorso che portò le donne cubane a vincere sfide cruciali in tempi rapidi, anche grazie alle basi di partenza già avanzate. Infatti, le leggi che aboliscono la patria potestà, introducono il divorzio e il suffragio femminile nel Paese risalgono rispettivamente al 1914, 1917 e 1936.

Nel 1960 venne fondata la Federazione delle Donne Cubane (FMC), sintesi di circa 800 associazioni femminili pre-esistenti e strutturata come una vera e propria organizzazione di massa allo scopo di difendere le idee rivoluzionarie e i diritti delle donne cubane. Fondatrice e presidente della Federazione fino alla sua morte fu Vilma Espín, guerrigliera dell’esercito ribelle, membro del comitato centrale del Partito Comunista cubano e moglie di Raúl Castro. È stata l’immagine simbolo della guerrigliera e con la FMC – che oggi conta oltre cinquemila organizzazioni e 300 mila volontarie – si battè, tra le altre cose, per strutturare una rete di supporto alle donne lavoratrici (con gli asili e l’orientamento occupazionale). Tra i successi legislativi della Federazione ci sono la legge che ha depenalizzato l’aborto (prima in America latina, nel 1965) e quella che ha inserito nel codice penale il reato di discriminazioni basate sul genere (articolo 295), che aprì alle donne la porta di tutti gli uffici pubblici e tutte le gerarchie delle forze armate

L’elenco di donne che furono parte attiva della rivoluzione castrista e che contribuirono materialmente alla costruzione di quella che è l’attuale società cubana è corposo e certamente rappresentativo di una partecipazione attiva e riconosciuta (seppur confinata nell’immaginario romantico della rivoluzione).Al  punto che Fidel Castro, in chiusura della V Plenaria Nazionale della FMC dichiarò: “Se ci chiedessero cosa ci ha insegnato la Rivoluzione, risponderemmo che una delle lezioni più interessanti che noi rivoluzionari stiamo ricevendo è quella che ci stanno dando le donne”. 

Las soldaderas della Rivoluzione messicana

Vivandera, comidera, mitotera, cucaracha, galleta, pelona. Più semplicemente soldaderas. Questi sono alcuni dei termini utilizzati per designare le rivoluzionarie messicane, confinate in un immaginario legato più a valori di fedeltà e servizio – verso gli uomini e verso la nazione – che verso gli ideali della rivoluzione, di cui invece furono parte attiva. Le soldaderas sono infatti un esempio perfetto di rimozione del femminile dalla storia. A fronte di un’iconografia ricca di testimonianze della loro partecipazione alla Rivoluzione messicana, la storiografia ne ha ignorato a lungo ruoli e funzioni, depotenziando la portata rivoluzionaria di intere vite dedicate alla lotta all’oppressione dittatoriale. 

La Rivoluzione messicana contro il regime del generale Porfirio Díaz ebbe inizio nel 1910 con la rivolta guidata da Francisco Madero e terminò nel 1920 con la morte di Venustiano Carranza. Da molti considerata come il più importante evento sociopolitico della storia del Paese e sicuramente uno dei più sconvolgenti del XX secolo, nacque come rivolta contro il porfiriato e si trasformò velocemente in guerra civile. La partecipazione femminile alla rivoluzione si deve principalmente al carattere “mobile” della stessa. Le soldaderas seguivano gli uomini in lotta “adonde fuera” (ovunque). Avevano compiti specifici ed essenziali nelle dinamiche degli eserciti: mantenimento e sussistenza (erano le addette all’approvvigionamento del cibo, anche tramite il diffuso ricorso alle razzie) e soccorso dei feriti in battaglia. A queste due funzioni – evidentemente legate a precise dinamiche di genere – se ne aggiungeva una strategica, ossia quella combattente

Combattenti in anonimato

Le donne erano infatti vere e proprie avanguardie che precedevano gli eserciti maschili a ogni tappa, in primis saccheggiando e requisendo beni, raccogliendo informazioni sul nemico e poi distraendo gli avversari per preparare l’arrivo delle truppe. Inoltre, molte di loro entravano in battaglia in prima persona, armandosi dei fucili e sostituendo caduti o semplicemente affiancando i compagni in difficoltà. 

Alcune, molto poche, riuscirono a ottenere ruoli di comando come Carmen Amelia Robles e María Esperanza Chavira – che assunsero la carica di colonnello – o Petra Ruiz che prese il comando di uno degli eserciti federali, travestita da uomo. Quest’ultimo tratto è in realtà comune a tutte le soldaderas che, pur uscendo dall’anonimato, per rivestire ruoli di potere nel contesto rivoluzionario dovettero fingersi uomini e quindi rinunciare alla propria identità. 

La maggior parte delle combattenti si disperse invece nell’immagine stereotipata di un soggetto collettivo che solo alla fine degli anni ‘60 è stata riscattata. L’opera di ri-scrittura della rivoluzione messicana in questo senso è dovuta in gran parte a Elena Poniatowska e in particolare al suo romanzo “Hasta no verte Jesús mio” del 1969. Nel testo l’autrice offre una prospettiva interna al movimento rivoluzionario attraverso l’esperienza di una soldadera – Josefina Bórquez/Jesusa Palancares – che finisce per rappresentare un’intera classe di emarginate dalla società messicana

Latina: Manuela Saénz Aizpuru

Manuela Saénz Aizpuru è una rivoluzionaria vissuta nel XIX secolo, originaria di Quito, in Ecuador, considerata la prima femminista latinoamericana ed eroina nazionale. José de San Martín, dopo aver conquistato Lima il 28 luglio 1821, la nominò Caballeresa de la Orden El Sol del Perú (Dama del Sole), per i suoi meriti nella sua lotta indipendentista. 

Figlia illegittima in una famiglia benestante, nacque il 27 dicembre 1795 a Quito e, dopo l’infanzia in convento, fuggì a 17 anni con un amante. Dopo l’episodio venne costretta dal padre a un matrimonio forzato che durò solo pochi anni. Successivamente alla separazione dal marito, emarginata dalla società e abbandonata dalla famiglia, coltivò ribellione e ideali rivoluzionari abbracciando la lotta contro la dominazione spagnola nel Paese. Fu agitatrice politica, spia, combattente nonché amante di Simón Bolívar, che accompagnò in Perù nel 1823 e successivamente nella città di Santa Fé di Bogotá, dove si insediarono. Partecipò attivamente alle lotte di indipendenza e il suo apporto fu fondamentale tanto a livello morale quanto in termini di supporto logistico. Un episodio in particolare, quello del salvataggio di Bolívar dall’attentato a Bogotà del 1828, le valse il titolo di “libertadora del libertador

Due anni dopo lui morì e lei fu prima esiliata in Giamaica e poi costretta a rifugiarsi nel nord del Perù, dove ricevette nel tempo importanti visite da personaggi tra cui Giuseppe Garibaldi.

Intorno alla sua figura nacquero dicerie e pregiudizi a causa del suo temperamento audace e anticonformista. In particolare, la relazione con Bolivar oscurò i suoi meriti nelle guerre d’indipendenza e nella lotta per l’emancipazione femminile. Di certo fu decisiva nella lotta contro la dominazione spagnola dell’America latina e, nonostante questo, fu relegata ai margini della storiografia.

 

 

Fonti e approfondimenti

Camilla Cattarulla, “Dentro e fuori la Storia: le soldaderas della rivoluzione messicana”, in Confluenze. Rivista di studi iberoamericani, Vol. 8, N. 1, 2016 pp. 249-260.

Andrés Reséndez Fuentes, “Battleground Women: Soldaderas and Female Soldiers in the Mexican Revolution“, in “The Americas”, Vol. 51, No. 4 (Apr., 1995), pp. 525-553, Cambridge University Press.

Noemí Rivera De Jesús, “La participación de las mujeres en la Revolución Cubana 1956 ̵ 1959″, da IX CONGRESO VIRTUAL SOBRE HISTORIA DE LAS MUJERES.

Joseba Macías, Revolución Cubana: Mujer, Género y Sociedad Civil

Marlene Montoya Maza, “Las Marianas: bastión femenino en la lucha guerrillera”, Agencia de Información Nacional de Cuba.

Isabel Moya, “Situazione e status delle donne, nel processo della rivoluzione cubana. Uno sguardo di prospettiva di genere alla situazione e allo status delle donne, nel processo della rivoluzione cubana”, in Centro di Cultura e Documentazione Popolare, traduzione a cura di Mujeres Libres Blog.

Azanza Telletxiki, “Federazione delle Donne Cubane: mezzo secolo di luminosa esistenza”, da Rebelion.org. Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare.

Maddalena Celano, Manuela Sáenz Aizpuru. Il femminismo rivoluzionario oltre Simón Bolívar, Aras ed. 2018.

Documentario “Mujeres de la Revolución Mexicana”.

Intervista a Tetè puebla, “Teté Puebla, La Generala, en persona” disponibile in lingua originale.

 

 

Editing a cura di Giulia Lamponi

Be the first to comment on "Le rivoluzionarie dimenticate"

Leave a comment

Your email address will not be published.


*


%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: