Né Dio, né padroni, né marito: donne tra lotta sindacale e anarchismo

Lo Spiegone
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Analogamente al dibattito sviluppato dalle femministe marxiste, quello dell’anarco-femminismo si pone in contrasto con i teorici tradizionali – su tutti, Pierre-Joseph Proudhon e Michail Bakunin. Questi consideravano le rivendicazioni delle donne un tema secondario e risolvibile con il superamento del capitalismo. 

Ispirato alla fine del XIX secolo da autrici e teoriche come Emma Goldman e Voltairine de Cleyre, il pensiero anarco-femminista offre una prospettiva di genere alla critica antisistema. Si caratterizza per un forte attacco alle istituzioni sociali del matrimonio e alle imposizioni religiose, unite alla lotta anticapitalista

Forza lavoro a basso costo e le lotta per il salario minimo

Nel periodo tra l’800 e il ‘900, in molti Paesi del Sud America le donne entrarono a far parte della classe operaia. Sfruttate come forza lavoro a basso costo, venivano impiegate principalmente nel settore tessile. Oltre a questo processo, parallelamente allo sviluppo tecnologico, si profilò un altro tipo di occupazione femminile, più d’ufficio e vicina all’ideale borghese. 

È questo il caso delle operatrici telefoniche di Montevideo, circa 500 ragazze che per ore rispondevano al telefono alle dipendenze dell’azienda di telecomunicazioni Montelco. Lo stipendio, quando arrivava, era di 30 pesos al mese. 

Le più giovani non potevano sposarsi, nessuna poteva mancare più di cinque giorni nell’arco di tre mesi e mai dopo un giorno festivo. Le prime denunce sulle condizioni di lavoro, ivi compreso il clima inquisitorio in cui vivevano,  iniziarono nel maggio 1916 con un’intervista di una lavoratrice pubblicata nel quotidiano “El Dia”. 

Ma fu nel dicembre 1918 che venne fondata la Unión Nacional de Telefonistas (Unione nazionale delle telefoniste) grazie alla guida di Paulina Luisa, Presidente e fondatrice del Comité Nacional de Mujeres (Comitato nazionale femminile): prima donna medico in Uruguay, femminista e dirigente (e fondatrice) del Partito socialista. Fu una sorta di “patrocinio” quello di Paulina, che permise alle operatrici telefoniche di organizzarsi nel primo sindacato femminile del Paese

Lo sciopero del 1922 e la Legge N° 7.514

Il primo settembre 1922 il sindacato consegnò le sue richieste al direttore della Compagnia Telefonica di Montevideo, in primis l’aumento dello stipendio. Il tre settembre iniziò lo sciopero che – secondo la stampa del tempo – fu molto partecipato e caratterizzato da assemblee quotidiane a cui parteciparono anche altre sigle sindacali. Al fianco dell’unione telefoniste si schierò anche la FORU (Federazione operaia regionale uruguayana) di ispirazione anarchica, supportando moralmente e materialmente la lotta. 

Dopo 25 giorni di sciopero fu annunciata l’accettazione delle condizioni poste dal sindacato: un trionfo radicale nei confronti dell’impresa.

Lo sciopero del 1922 ebbe un impatto considerevole sotto svariati punti di vista. In primis perché generò una discussione a livello governativo che portò all’approvazione della Legge N° 7.514, la prima legge sul salario minimo del Paese e pietra miliare nelle relazioni tra Stato, lavoratori e “capitale”.  In questo senso le capacità organizzative e la voce delle donne nella sfera pubblica fecero da catalizzatori di altri processi emergenti che rappresentano precedenti importanti nella legislazione in materia di diritto del lavoro.

La questione femminile nel movimento anarchico in Argentina

Il movimento anarchico in Argentina si sviluppò principalmente tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, anche grazie all’apporto di molti militanti europei emigrati oltreoceano. Il massiccio flusso in entrata di italiani e spagnoli riconfigurò, inoltre, la struttura sociale ed economica argentina.  Lavoratori stranieri, donne e anche bambini, erano presenti in massa nelle fabbriche del Paese e di fronte allo sfruttamento in termini orari e di paga, oltre che alle condizioni di lavoro insalubri, si pose il nascente movimento operaio argentino. 

Secondo il censimento del 1895 il 37% delle donne immigrate in Argentina viveva a Buenos Aires e rappresentavano la maggioranza della popolazione economicamente attiva della città: il 40% dei 21.571 dipendenti domestici, il 66,1% del settore tessile, il 16,9% nelle cucine,  il 23% nell’insegnamento e il 34% dell’infermieristica. 

Nel Paese, sia le tradizioni del socialismo che dell’anarchismo sono state fortemente legate alle battaglie di liberazione femminile. In particolare, la stampa anarchica ha aperto il dibattito pubblico su molti temi rilevanti, come quelli legati alla prostituzione e allo stato civile delle donne, ma soprattutto allo status lavorativo delle stesse. 

Le lavoratrici che abbracciarono l’anarchismo all’inizio del ‘900 svilupparono un protagonismo autonomo nel movimento, che coniugò la lotta allo sfruttamento lavorativo con la denuncia dell’oppressione femminile nella società. Il capitale degli uomini costringeva le donne al lavoro sottopagato e senza tutele e al contempo le relegava in rigidi ruoli di genere nella dimensione privata. 

La contestazione quindi parte contro i padroni per arrivare a mettere in discussione la presunta autorità dei mariti, dei padri, delle figure ecclesiastiche. 

Già nel 1885 la redazione della “Questione Sociale” e, successivamente, della  casa editrice “Scienza e Progresso” pubblicò una serie di opuscoli volti a diffondere l’idea anarchica tra le lavoratrici, nonché a denunciare specifiche situazioni di oppressione e autoritarismo maschile nei confronti delle donne.  Un decennio dopo, emerse il primo giornale anarchico scritto da donne: La Voz de la mujer (la voce della donna).

Né Dio, né padroni, né marito

“Nè Dio, nè padroni, nè marito”. Questo era lo slogan de “La Voz de la Mujer”, il primo giornale anarco-femminista dell’America latina fondato da Virginia Bolten insieme ad alcune compagne di fabbrica a Rosario. Pubblicato sporadicamente tra l’8 gennaio 1896 e il 10 gennaio 1897, si rivolgeva all’intera classe operaia, anche se con uno specifico taglio di genere. 

All’interno si trovavano vari scritti in forma anonima  e nonostante la breve durata ebbe importante eco tra le donne organizzate, raggruppando prassi e slogan che sono ancora citati dalle femministe dell’Argentina oggi.

La Voz era un quotidiano di donne per le donne, espressione indipendente di una corrente esplicitamente femminista all’interno del movimento dei lavoratori. In contrasto con il nascente riformismo delle suffragette, fu simbolo e base per una ricostruzione storiografica della mobilitazione delle donne non borghesi, istruite o di classe media nel Paese.

Il tema centrale era quello dell’oppressione multipla delle donne nella società capitalistica e borghese. In particolare, veniva attaccato il matrimonio, alla luce delle critiche al matrimonio borghese mosse da Engels come mezzo per salvaguardare la trasmissione capitalista della proprietà. A questo si unì però una radicale consapevolezza dei rapporti di potere tra i generi che l’istituzione matrimoniale perpetuava e una concezione della famiglia come luogo della subordinazione femminile e limite alla libertà – anche sessuale – delle donne. Centrale e d’avanguardia anche la riflessione sull’amore libero e la dura critica all’ipocrisia ecclesiastica circa la sessualità. 

Latina: Virginia Bolten

Quella di Virginia Bolten, fondatrice de La Voz de la Mujer,  fu una vita di lotta ispirata agli ideali anarchici che le valse il soprannome di Louise Michel di Rosario

Figlia di un immigrato tedesco in Argentina, nacque nel 1870. Iniziò a lavorare giovanissima, prima in una fabbrica di scarpe e poi in una compagnia di raffinazione di zucchero. Si avvicinò presto al movimento operaio e sposò un attivista anarchico. 

Oltre a essere stata figura portante del  periodico anarco-femminista, divenne famosa come prima donna oratrice del movimento operaio di Rosario. Il primo Maggio 1890 prese parola di fronte a una folla di lavoratori e lavoratrici della città per rivendicare condizioni di lavoro più eque. Un comizio che le costò l’arresto con l’accusa di violazione dell’ordine sociale, ma la fece passare alla storia. Nel 1903 si fece promotrice di una mobilitazione di dura opposizione alla Ley de Residencia n. 4.144 (Legge di Residenza) che consentiva l’espulsione arbitraria degli immigrati lasciando potenziali spazi per la repressione politica. Proprio a causa di questa norma, nel 1907, fu costretta all’esilio dopo l’arresto per la partecipazione allo “sciopero degli inquilini” durato tre mesi, per denunciare affitti troppo alti e non in linea con i salari della classe operaia. 

“Si vosotros queréis ser libres, con mucha más razón nosotras; doblemente esclavas de la sociedad y del hombre, ya se acabó aquello de “Anarquía y Libertad” y las mujeres a fregar. ¡Salud!” – Se voi volete essere liberi, con ancora più ragioni lo vogliamo noi. doppiamente schiave della società e dell’uomo. È finito il tempo di “Anarchia e libertà” con le donne a fare le pulizie. Saluti”

In Uruguay, dove si spostò insieme al compagno Manuel Manrique e ai figli, continuò la militanza collaborando con riviste anarco-femministe (come La Nueva Senda) e impegnandosi in varie contestazioni: al fianco delle telefoniste e delle donne anticlericali, denunciando gli abusi della polizia di Ramón Falcón a Buenos Aires. Tornata in Argentina fu molto attiva nel Comitato femminile di sciopero del FORA (Federación Obrera Argentina – Federazione operaia argentina), ma la sua fama si perse con il graduale sopravvento del partito socialista sul movimento anarchico. Tanto che nel 1913 El Socialista la accusò esplicitamente di aver tradito il movimento operaio. Si persero lentamente le sue tracce tanto da non poterne stabilire con certezza la data di morte, presumibilmente avvenuta nel 1960, ma la sua casa a Buenos Aires rimane rifugio e punto di riferimento per la scena anarchica.

 

 

 

Fonti e approfondimenti

Lorenzo Pezzica, “Anarchiche. Donne ribelli del Novecento”, 2013

Maxine Molyneux, NI DIOS, NI PATRÓN, NI MARIDO. Feminismo anarquista en la Argentina del siglo XIX in “Latin American Perspectives”, Issue 48, vol. 13, No. 1, pp. 119-145, 1986; 

Vanesa Spaccavento, Virginia Bolten, un pedazo de lucha hecha mujer in laizquierdadiario.it  1/11/2014;

Lucía Macoc, Feminismo e Identidades políticas a principios del siglo XX en la Argentina. Construcciones discursivas sobre la Mujer en el socialismo y el anarquismo in Cuadernos del Ciesal Nº 9, gen-giu 2011;

Natalia Martínez Prado, La emergencia del feminismo en la Argentina:un análisis de las tramas discursivas a comienzos del siglo XX in “Revista Estudos Feministas”, vol.23 no.1, Florianópolis gen-apr 2015;

Nadia Ledesma Prietto, Anarquismo(s) y feminismo(s). Reflexiones a partir de las intervenciones de las mujeres anarquistas, Buenos Aires (1896-1947) in “Izquierdas”, num.  34, luglio 2017, pp. 105-124; 

Yael, D., & Darré, S.. El triunfo de las señoritas telefonistas: El primer sindicato de mujeres del Uruguay y el impacto de la huelga de 1922 in “Zona Franca. Revista De Estudios De género”, (28), 270-302. 

 

 

Editing a cura di Giulia Lamponi.

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