La moderna Somalia venne costituita nel 1960, dopo che il Paese ottenne l’indipendenza dall’Italia e dal Regno Unito. Repubblica democratica fino al 1969, quando un colpo di stato portò al potere Siad Barre. Il generale rimase al potere per una trentina d’anni e la sua caduta nel 1991 esacerbò le sorti della guerra civile per il controllo del Paese, iniziata nel 1986, in particolare nel sud.
La guerra civile, che assunse rapidamente i contorni di un conflitto incessante tra i cosiddetti “signori della guerra” locali, portò a una grave carestia. Nell’autunno del 1991, le Nazioni Unite stimarono che più di 300.000 somali fossero già morti di malnutrizione, e che 4,5 milioni corressero simile rischio. Sotto pressione internazionale, le fazioni in guerra concordarono un cessate il fuoco, consentendo agli osservatori delle Nazioni Unite di entrare nel Paese e organizzare un corridoio umanitario.
Operazione “Restore hope”
Nell’agosto 1992, le Nazioni Unite avviarono quindi una missione, la UNOSOM 1, per garantire la distribuzione di cibo e medicinali, ma non senza difficoltà. La situazione in Somalia infatti, deteriorò rapidamente a causa delle aggressioni armate che le milizie somale operavano nei confronti del contingente ONU per bloccare la distribuzione degli aiuti umanitari. La missione si rivelò un fallimento totale. Fu stabilito che le forze di pace delle Nazioni Unite si trovassero in una situazione di inaccettabile pericolo e che non fossero in grado di portare a termine la loro missione. L’inefficacia dell’azione delle truppe ONU, incapaci di controllare le fazioni in guerra, si concretizzò in migliaia di tonnellate di cibo bloccate nei magazzini portuali.
Il presidente statunitense George H. W. Bush propose, allora, l’invio di truppe americane in Somalia per proteggere ed aiutare gli operatori umanitari. L’ONU accettò la proposta di Bush, e il 9 dicembre 1992, circa 25.000 uomini vennero inviati in Somalia, con una missione parallela a quella ONU.
Le problematiche
L’operazione militare degli Stati Uniti a supporto dell’ONU fu afflitta da difficoltà fin dall’inizio. La mancanza di una leadership nazionale somala, così come i combattimenti quotidiani tra le forze ONU e quelle dei signori della guerra nelle strade della capitale Mogadiscio, compromisero le operazioni umanitarie.
Gradualmente, le forze statunitensi cominciarono a “defilarsi” dal conflitto somalo. Nel giugno 1993, solo 1.200 soldati americani rimasero in Somalia, aiutati da truppe di altri ventotto Paesi che agivano sotto l’autorità delle Nazioni Unite. Inizialmente, l’azione in Somalia era stata presentata come una scelta di politica estera coraggiosa e perfino “etica”. Bush definì come un “sacrosanto dovere” da parte degli Stati Uniti, (“God’s work”), impegnarsi in quella che avrebbe dovuto essere una missione militare con fini umanitari.
Come spesso accade, i critici dell’amministrazione Bush sostennero, tra gli altri, che l’intervento mirasse invece a ottenere il controllo di concessioni petrolifere per le compagnie americane. Attualmente, le spiegazioni più accreditate dell’intervento in Somalia sono sia legate al peso del legame tra politica estera statunitense con le Nazioni Unite nei cosiddetti conflitti umanitari, sia al forte impatto che i reportage sulla situazione della Somalia ebbero sulla opinione pubblica del Paese. Le dure immagini della carestia, insieme a quelle della guerra civile, scioccarono la comunità internazionale, secondo quello che è ora definito come “effetto CNN“.
La “sconfitta” di Mogadiscio
La situazione, già instabile, peggiorò radicalmente quando ventiquattro soldati delle forze pachistane, di sostegno a quelle USA, vennero uccisi in un’imboscata durante l’ispezione di un deposito di armi. L’ONU accusò ufficiosamente la milizia di Mohamed Farrah Aidid, uno dei signori della guerra, e approvò una risoluzione che chiedeva l’arresto dei responsabili del massacro. Quasi subito, le milizie guidate da Aidid iniziarono a prendere di mira gli operatori delle Nazioni Unite.
Allora, il 3 e 4 ottobre 1993, gli Stati Uniti le forze armate organizzarono una operazione di cattura per due dei luogotenenti di Aidid. Secondo le ricostruzioni, il piano prevedeva di prendere d’assalto il luogo dove sarebbe avvenuto il raduno dei capi del clan di Aidid a Mogadiscio. I ranger statunitensi sarebbero arrivati in loco in elicottero, circondando l’edificio. Un convoglio di terra avrebbe aspettato all’esterno per portare via le truppe ei loro prigionieri.
Complessivamente, l’operazione, che coinvolse 19 mezzi aerei, 12 veicoli e circa 160 soldati – non andò come previsto. Il convoglio di terra si scontrò con le barricate formate dalle milizie locali, e uno degli elicotteri non poté atterrare dove previsto, non riuscendo così ad avvicinarsi a causa del conflitto a fuoco a terra. Soprattutto, le forze di Aidid furono in grado di abbattere due elicotteri americani Black Hawk. Quando circa 90 operatori della Delta Force si precipitarono a soccorrere il resto delle forze, si trovarono all’altezza della linea di fuoco e rimasero intrappolati in un combattimento.
Complessivamente, lo scontro, noto come la battaglia di Mogadiscio, durò quasi un giorno intero, e provocò la morte di 18 americani e centinaia di somali. I notiziari internazionali trasmisero immagini scioccanti delle milizie di Aidid che, vittoriose, trascinavano i cadaveri degli operatori speciali e dei membri dell’equipaggio degli elicotteri statunitensi per le strade di Mogadiscio.
La sconfitta fu uno shock per l’opinione pubblica americana, perché all’epoca rappresentò una delle più serie debacle delle forze speciali dopo il Vietnam. Dopo Mogadiscio, il neoeletto presidente Clinton ordinò il ritiro delle truppe e che venissero rivisti i criteri per i quali gli Stati Uniti e le forze ONU venissero coinvolti in operazioni di peacekeeping. Secondo gli analisti, fu a causa della sconfitta in Somalia che negli anni novanta gli Stati Uniti divennero sempre più cauti nel dispiegare le proprie forze in conflitti esteri (come sarebbe successo da lì a poco in Ruanda e in Bosnia).
Le Nazioni Unite si ritirarono dalla Somalia nel marzo 1995, e nel Paese i combattimenti continuarono. La Somalia, che divenne uno “Stato fallito” (failed state) rimase contesa tra i signori della guerra per gli anni avvenire.
Fonti e approfondimenti
Witness: The stories of our times told by the people who were there. Black Hawk Down: The Somali battle that changed US policy in Africa. https://www.bbc.com/news/av/magazine-38808175. 2017.
Fineman, Mark. COLUMN ONE : The Oil Factor in Somalia : Four American petroleum giants had agreements with the African nation before its civil war began. They could reap big rewards if peace is restored. https://www.latimes.com/archives/la-xpm-1993-01-18-mn-1337-story.html. 1993.
Hogg, Annabel Lee. The Atlantic. Timeline: Somalia, 1991-2008.
Glass, Andrew. Bush sends Marines to Somalia, Dec. 4, 1992.
ABC news. Video Oct. 7, 1993: President Clinton speaks about US policy in Somalia – ABC News (go.com). 1993.
Editing a cura di Matilde Mosca
Be the first to comment on "Gli Stati Uniti in Somalia"