E’ curioso come ogni popolo associ il verso degli animali a dei fonemi differenti. . Il suono riprodotto, infatti, in ogni lingua si trasforma a seconda di come viene percepito dai parlanti di un determinato idioma.
Nella lingua cinese il suono “wa” – essendo il cinese una lingua tonale- ha diversi significati. È la variazione del tono di una stessa sillaba che determina il significato o l’appartenenza grammaticale. In questo contesto, troviamo wā di rana (蛙), wá di bambino o bambola (娃), e il suono wa (哇) che richiama sia il vagito dei neonati che il gracidare delle rane. Questa digressione linguistica ci conduce al romanzo Le Rane di Mo Yan, unico scrittore di nazionalità cinese vincitore del premio Nobel per la Letteratura nel 2012, e accettato anche da Pechino (il primo a vincerlo fu Gao Xinjiang nel 2009).
«venerata come la benevola Guanyin, dea della fertilità, e allo stesso tempo, odiata come il boia inesorabile che esegue le condanne a morte»
(Mo Yan, Le Rane)
Il drammaturgo “Girino”, cresciuto a Gaomi nella provincia dello Shandong, racconta la sua storia e quella di sua zia Wan Xin (Wan “il cuore”). Lei è un’ostetrica straordinaria, grazie al suo operato la maggior parte dei bambini della zona è venuta alla luce. È una perfetta eroina progressista, che aiuta le partorienti delle aree rurali a non rivolgersi alle mammane dalle usanze rudimentali, quasi al limite della stregoneria. Al contrario, le incoraggia a usufruire della sanità pubblica che adotta metodi più moderni e sicuri. La storia della levatrice Wan assume, però, una nota drammatica con l’adozione del governo della politica del controllo delle nascite a metà degli anni Sessanta. Da quel momento in poi la fedeltà al Partito la porterà a trasformarsi nel braccio esecutivo del volere dello Stato contro il volere del popolo. Contraccezioni, vasectomie e aborti forzati le costeranno persino gli affetti più cari. Protagonista della seconda parte del romanzo è la repentina trasformazione sia della Cina che della stessa Wan, divorata dal senso di colpa e in cerca di redenzione. La protagonista prova a compensare l’interruzione di una vita con la creazione di bambole di creta, in rappresentanza dei bambini mai nati. E il pianto che la levatrice Wan Xin ascolterà nel mezzo di una palude di notte, potrà avere un unico suono: wa.
Lo Stato come una grande famiglia
La Cina ha la fama di essere un Paese decisamente affollato. Oggi la popolazione cinese conta più di 1,4 miliardi di persone, rendendola di fatto la più popolosa al mondo. Nella metà degli anni Cinquanta fino agli anni Settanta, il boom delle nascite fu esponenziale: in media la popolazione cinese ebbe un incremento demografico di 30 milioni di persone annui. Nell’ottica maoista l’autosufficienza del popolo simboleggiava la forza della Cina e le famiglie numerose rispecchiavano questo ideale. Per questa ragione furono attutate politiche a sostegno delle nascite, come il divieto di aborto o la donazione di sussidi destinati ai bambini.
Nel 1977 la popolazione raggiunse i 949 milioni, rispetto ai 614 del 1955. La crescita demografica divenne insostenibile e minacciava la realizzazione delle riforme per la modernizzazione del Paese avviate da Deng Xiaoping. Inoltre, nel 1979 circa un quarto della popolazione mondiale viveva nella RPC e la superficie coltivabile a disposizione era pari al 7%. Per questa ragione, la pianificazione delle nascite venne regolamentata e applicata su tutto il territorio nazionale.
Procrastinare, allungare, ridurre
La propaganda si avvalse dello slogan “Procrastinare, allungare, ridurre” (晚稀少 wan, xi, shao) per scoraggiare la procreazione. Procrastinare si riferiva all’età del matrimonio e alla gravidanza, allungare l’intervallo tra un figlio e l’altro e ridurre il numero di figli. Tra gli obiettivi prefissati per il contenimento delle nascite vi era il raggiungimento della crescita zero entro il 2000. Per questo, inizialmente il limite posto era di un bambino per coppia. Ci furono però eccezioni a discrezione delle autorità locali nelle zone scarsamente popolate, le aree rurali, o per i gruppi etnici minoritari. Altra eccezione per un secondo figlio era concessa a chi aveva il primo genitore di sesso femminile, in modo da garantire la discendenza familiare. Infine, anche le coppie con partner figli unici erano esonerati dal rispetto della regola di un solo figlio.
Una pianificazione più organica si ha nel 1981 con la creazione della “Commissione nazionale per la popolazione e la pianificazione familiare” e l’inserimento dei principi di pianificazione familiare all’interno della Costituzione del 1982. Nonostante le misure restrittive, ci furono numerose violazioni e nascite non registrate soprattutto nelle campagne.
Non c’è due senza tre: il problema dell’invecchiamento
Mentre in passato per concepire era necessario un permesso ufficiale da parte dello Stato e una seconda gravidanza poteva costare multe salatissime e aborti forzati, oggi la Cina si trova ad affrontare un’ardua sfida: l’invecchiamento della popolazione.
Il calo delle nascite, la disparità di genere e le difficoltà per il sostegno alla crescita economica sono alcune delle gravi conseguenze di 35 anni della “politica del figlio unico”. Nel 2013, preso atto delle criticità, il PCC cominciò ad allentare le misure, promulgando nel 2016 la “legge dei due figli”. Nonostante questo, la tendenza negativa delle nascite è peggiorata, anche causa della pandemia da Covid-19. Nel decennio 2010-2020 si è registrato un tasso annuo di crescita pari allo 0.53%. Proprio nel 2020 le nascite hanno avuto una decrescita del 18% rispetto all’anno precedente.
Per far fronte all’invecchiamento della popolazione, Pechino ha consentito alle coppie cinesi di avere tre figli. In aggiunta sono previsti anche dei sussidi alle famiglie, come la riduzione per le spese legate all’istruzione o il miglioramento delle politiche abitative. Un’inversione di rotta così decisiva non convince però la popolazione cinese, che si rivela poco incline ad avere tre figli. Da quanto emerso secondo un sondaggio sul social cinese Weibo (poco dopo cancellato dal web), ben 28.000 su 31.000 partecipanti hanno affermato di non valutare affatto la possibilità del terzo figlio. Tra le principali motivazioni ci sono sia l’aumento del costo della vita, ma anche le conseguenze a livello lavorativo che una gravidanza può portare alle donne.
Fonti e approfondimenti
Mo Yan, Le Rane, Einaudi 2013.
Scarpari Maurizio, Ritorno a Confucio, il Mulino, 2015
Wang Nanfu, One Child Nation, USA 2019, 85 min.
Nanfu Wang, What it was like to grow up under China’s one-child policy
Waiyee Yip, China: The men who are single and the women who don’t want kids, BBC News, 25 maggio 2021.
Luna Sun, China’s ageing population a ‘long-term reality’, and its silver economy needs to catch up, State Council says, South China Morning Post, 26 novembre 2021.
Editing a cura di Elena Noventa
Copertina a cura di Simone d’Ercole
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