Le proteste in Kazakistan: il ruolo dell’ODBK

@Amineshaker - Wikimedia (CC BY 2.0)

Un inizio di 2022 movimentato per il Kazakistan. Il 2 gennaio, violente proteste contro l’aumento vertiginoso del prezzo del gpl sono scoppiate a Mangistau e da lì si sono diffuse rapidamente in tutto il Paese. In poche ore, Almaty, la città più popolosa del Kazakistan , è diventata l’epicentro di manifestazioni senza precedenti. Esasperati da decenni di disuguaglianze socioeconomiche, i dimostranti hanno occupato gli edifici del governo e la residenza presidenziale, hanno preso il controllo di infrastrutture chiave e si sono scontrati violentemente con polizia ed esercito. 

Il 5 gennaio, davanti al protrarsi delle proteste, il presidente Qasim-Jomart Toqaev ha accettato le dimissioni del governo e ha estromesso il suo predecessore Nursultan Nazarbayev dalla guida del Consiglio di sicurezza. Lo stesso giorno, ha altresì chiesto l’intervento dell’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (ODBK, conosciuta anche con la sigla inglese CSTO) per “neutralizzare la minaccia terroristica”, dichiarando che a minacciare la stabilità dello Stato kazako siano gruppi “addestrati all’estero”. Uno spartiacque sia nella storia moderna del Kazakistan che in quella dell’Organizzazione, che fino ad oggi non aveva mai portato avanti un intervento militare in uno Stato membro. 

ODBK: fondazione, membri e missione

La nascita dell’ODBK seguì il crollo dell’URSS. Il 15 maggio 1992, alcuni Stati dell’ex blocco sovietico (Armenia, Federazione russa, Kazakistan, Kirghizistan, Tajikistan e Uzbekistan) firmarono a Tashkent il Trattato di sicurezza collettiva, un patto di mutua difesa che andava a sostituire il Patto di Varsavia. In maniera analoga al Trattato del Nord Atlantico su cui si fonda la NATO, questo accordo obbliga i firmatari alla mutua assistenza in caso di attacco esterno. Secondo l’Articolo 4, un attacco alla sicurezza, stabilità, integrità e sovranità territoriale di un membro costituisce un attacco all’alleanza, che è tenuta a prestare soccorso, anche militare. Azerbaigian, Bielorussia e Georgia si unirono nel 1993 e il Trattato entrò in vigore l’anno seguente.

Nonostante i nuovi ingressi, il Trattato rimase “lettera morta” fino al 2002, quando, su iniziativa di Mosca, Armenia, Bielorussia, Russia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan fondarono l’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (ODBK)

L’intervento NATO in Afghanistan nel settembre 2001 fu cruciale per questa decisione. Tutti i membri dell’ODBK volevano evitare che i Paesi occidentali, incoraggiati dall’ingresso nella regione, interferissero con la loro politica interna e promuovessero tentativi di democratizzazione nell’area. In modo particolare, poi, la Russia voleva riaffermare i suoi interessi in Asia centrale, mentre gli altri membri dell’alleanza, che non avevano la forza e i mezzi per difendersi da soli, preferirono rifugiarsi sotto l’ala di Mosca davanti alla minaccia rappresentata dalla presenza occidentale nella zona.

Tre le attività con cui gli alleati hanno mantenuto attiva l’Organizzazione negli ultimi venti anni: esercitazioni militari congiunte, assistenza nella formazione e nell’addestramento degli eserciti, compravendita di armi ed equipaggiamenti a prezzi vantaggiosi. In ognuna di queste tre aree di intervento, la Russia ha assunto un ruolo trainante per l’intera Organizzazione, grazie alle forti interdipendenze tattiche, strategiche e logistiche che i vari eserciti nazionali hanno ereditato dalla comune esperienza sovietica. Ad esempio, la vendita di armi ed equipaggiamenti insieme all’attivazione di programmi di addestramento per gli eserciti si sono sviluppati nella sola direzione Mosca-capitali regionali. Per quel che riguarda le esercitazioni congiunte, poi, la Russia le ha guidate tutte, aumentandone frequenza e tipologia a partire dal 2013, in vista del ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan

Questa prospettiva ha determinato anche un altro avvenimento importante nella storia dell’ODBK: l’allargamento dell’Organizzazione con l’ingresso dell’Afghanistan nel 2013 – membership che il Paese ha mantenuto fino al 2021, quando i talebani hanno preso il potere. Ciò conferma quanto la questione afghana sia centrale per questa alleanza, oltre che per gli equilibri della regione centro-asiatica. 

L’ODBK nella crisi kazaka: cronistoria di un intervento breve ma significativo

Il 5 gennaio di quest’anno, a poche ore dalla richiesta d’aiuto di Toqaev, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan, presidente del Consiglio di Sicurezza Collettivo dell’ODBK, ha annunciato l’invio di forze di pace in Kazakistan, per un totale di 2500 militari

Un numero che seppur contenuto (l’ODBK dispone di 3600 peacekeeper) è di importanza storica, perché è la prima volta che gli Stati membri dell’Organizzazione decidono di assistere un suo componente , facendo ricorso all’Articolo 4 del Trattato. In effetti, l’intervento dell’Organizzazione era stato negato in altri due casi. Nel 2010, il governo kirghiso non fu aiutato a fronteggiare le proteste, che portarono al rovesciamento del governo di Kurmanabek Bakiev, perché la minaccia fu giudicata interna al Paese. In maniera analoga, dieci anni dopo, non fu autorizzato l’intervento in sostegno dell’Armenia nella guerra con l’Azerbaijan, trattandosi di quello che fu definito un “incidente di confine”.

Trasportate su aerei dell’aeronautica russa, le truppe dell’ODBK sono state schierate a Nur-Sultan e Almaty con il compito di proteggere importanti obiettivi istituzionali, militari e strategici oltre che aiutare le forze dell’ordine kazake a stabilizzare la situazione. I primi ad arrivare sul campo il 6 gennaio sono stati i russi. Sebbene l’ODBK non abbia rilasciato informazioni dettagliate, secondo alcune fonti la Russia avrebbe schierato 3000 soldati, la Bielorussia 500, il Tajikistan 200 e l’Armenia 70 – un numero effettivamente superiore a quello dichiarato dal segretariato dell’Organizzazione. Dubbia la presenza di contingenti militari kirghisi, la cui partenza sarebbe stata ostacolata da proteste popolari. In effetti, quella del Kirghizistan è una situazione particolare, perché, nonostante con le elezioni parlamentari di novembre 2021 il Paese sembri aver trovato stabilità, negli ultimi due anni è stato scosso da violente rivolte di massa che lo hanno reso politicamente instabile. A prescindere dalle incongruenze fra le fonti, ciò che è certo è che il presidente kirghiso Sadyr Japarov ha espresso il proprio supporto alla missione dell’ODBK. 

Il 10 gennaio si è svolta una sessione straordinaria del Consiglio di sicurezza collettivo dell’ODBK. Durante la riunione, tutti i partecipanti hanno enfatizzato la prontezza con cui l’Organizzazione è intervenuta, dimostrando la sua forza ed efficacia davanti a una minaccia terroristica comune. Due giorni dopo, il presidente Toqaev ha comunicato al Segretario generale dell’ODBK Stanislav Zas che il contingente dell’Organizzazione aveva compiuto il suo mandato e ha annunciato la fine delle operazioni in Kazakistan. Le truppe hanno quindi iniziato a ritirarsi il 13 gennaio.

Gli interrogativi aperti

A pochi giorni dall’inizio e dalla fine della missione dell’ODBK non è facile capire quali saranno gli impatti sulla politica del Kazakistan e su questa Organizzazione. La grande rapidità e concitazione degli eventi hanno lasciato aperti alcuni interrogativi. 

Il primo riguarda la legittimità dell’intervento dell’ODBK. Nonostante i capi di Stato dell’alleanza abbiano convenuto in maniera unanime sulla presenza di terroristi stranieri e addirittura foreign fighter durante la sessione straordinaria del Consiglio di sicurezza collettivo, non c’è ancora prova che questi abbiano effettivamente organizzato e agitato le proteste. 

Inoltre, a prescindere dalla legittimità, questo intervento costituisce un precedente importante per l’Organizzazione. Come si comporterà in situazioni simili l’alleanza? Rafforzerà le sue attività di addestramento in vista di interventi futuri?

Infine, un altro punto di domanda aleggia intorno alla richiesta di intervento di Toqaev. Perché il presidente kazako ha immediatamente chiesto l’intervento dell’ODBK? Il fatto che abbia presentato tale istanza dopo aver deposto alcuni vertici della polizia e aver disposto l’arresto dell’ex capo del Comitato per la sicurezza nazionale (KNB) Karim Masimov lascerebbe pensare a giochi di potere interni, da cui Toqaev sembra – al momento – uscire vincitore, seppur al prezzo di una maggiore dipendenza dalla Russia.

Questi sono solo alcuni degli interrogativi più urgenti. Per capire quali saranno le implicazioni di questa crisi sia sulla politica interna ed estera del Kazakistan che su quella di tutta la regione bisognerà continuare a monitorare gli sviluppi.

 

 

Fonti e approfondimenti

Eurasianet (2022), “Kazakhstan: Demonstrators gain upper hand in increasingly turbulent unrest”.

Franceschelli, M.C. (2022), “Il nuovo anno del Kazakistan”, il Mulino.

Kucera, J. (2022), “CSTO agrees to intervene in Kazakhstan unrest”, Eurasianet.

Macklnnon, A. (2022), 3 Big Things to Know About the Russian-Led Alliance Intervening in Kazakhstan, Foreign Policy.

Putz, C. (2022), “CSTO Deploys to Kazakhstan at Tokayev’s Request”, The Diplomat.

Putz, C. (2022), Former Security Chief Massimov Arrested on Treason Charges in KazakhstanThe Diplomat.

Sorbello, P. (2022), Le proteste in Kazakistan, cosa sappiamo e perché le stiamo raccontando male”, Valigia Blu.

 

Editing a cura di Elena Noventa

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