Lo scorso gennaio, l’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (ODBK o CSTO), formata da Federazione russa, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Armenia e Bielorussia, era intervenuta militarmente in uno Stato membro per la prima volta dalla sua nascita nel 1992. Il 6 gennaio 2022, infatti, l’ODBK ha inviato 2500 militari in Kazakistan per fermare le proteste che si sono scatenate nel Paese.
L’intervento è stato guidato dalla Russia che ha schierato il maggior numero di militari e che, da sempre, è il fulcro dell’Organizzazione per ragioni storiche e strategiche. Nella missione in Kazakistan, la Federazione russa sembrava aver confermato il proprio ruolo di leader dei Paesi dell’Asia centrale, consolidando la propria egemonia nell’area.
Quando, però, il 24 febbraio, la Russia ha invaso l’Ucraina, gli Stati dell’Asia centrale non si sono schierati in modo compatto al fianco di Mosca. L’analisi della posizione dei singoli Paesi in questo frangente è importante per comprendere quanto è forte l’influenza della Federazione russa nella regione.
Una posizione difficile
Le ex Repubbliche sovietiche dell’Asia centrale si trovano in una posizione difficile. Dal crollo dell’Unione sovietica, nel 1991, hanno mantenuto uno stretto legame con la Russia, che ha agito da perno dell’equilibrio regionale post-sovietico, soprattutto in campo economico e logistico. Innanzitutto, i flussi migratori dall’Asia centrale verso la Russia sono consistenti: nella Federazione lavorano 4.5 milioni di uzbeki, 2.5 milioni di tagiki e un milione di kirghisi e le loro rimesse costituiscono il 12, il 27 e il 30% del PIL dei rispettivi Paesi. Per quanto riguarda la logistica, invece, i prodotti esportati da questa regione, come il petrolio, passano per la rete di trasporti moscovita prima di raggiungere l’Europa, eccezion fatta per il Kazakistan.
Allo stesso tempo, gli Stati dell’Asia centrale non sono indifferenti al destino dell’Ucraina, a causa delle dinamiche coloniali che le hanno legate alla Russia sia durante il dominio sovietico che dopo il crollo dell’URSS. Nel 1925, fu l’autorità centrale sovietica a tracciare i confini tra le Repubbliche Socialiste Sovietiche di Turkmenistan, Tagikistan, Uzbekistan, Kazakistan e Kirghizistan, così come di altri territori appartenenti all’URSS.
Quindi, quando oggi Putin, per legittimare l’invasione dell’Ucraina, sostiene che l’Ucraina sia stata “creata da Lenin” e che non sia, sostanzialmente, uno stato sovrano, in Asia centrale riecheggia lo spettro del dominio sovietico. In particolare, c’è il timore che, nel tentativo di riconfermarsi come grande potenza, Mosca possa avanzare delle pretese territoriali nella regione. Sotto l’Unione Sovietica, i popoli di queste terre erano stati completamente assoggettati all’autorità di Mosca, e le culture indigene furono sottoposte a un processo di russificazione . Basti pensare che le lingue locali erano state bandite e sostituite dal russo, e le popolazioni nomadi costrette a una vita stanziale.
Tuttavia, i fattori da considerare nell’analisi della posizione dei Paesi dell’Asia centrale sono numerosi ed è importante sottolineare come l’atteggiamento di ogni Stato in questa situazione sia diversa.
I voti all’ONU
Il 3 marzo, l’Assemblea delle Nazioni Unite ha votato una risoluzione di condanna dell’invasione russa in Ucraina: 141 Stati l’hanno approvata, cinque (Russia, Bielorussia, Corea del Nord, Siria ed Eritrea) si sono dichiarati contrari e 35 si sono astenuti. Per quanto riguarda l’Asia centrale, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan si sono astenuti, mentre Turkmenistan e Uzbekistan non hanno votato. L’astensione e la non partecipazione al voto hanno sostanzialmente lo stesso effetto, però, quest’ultima mostra implicitamente la volontà di dissociarsi dalla deliberazione. Nel caso del Turkmenistan, il non-voto è l’applicazione del principio di neutralità permanente in politica estera, sancito nell’articolo 6 della sua Costituzione. Questa posizione turkmena è stata anche riconosciuta ufficialmente dall’ONU in una risoluzione del 1995. Per gli altri Stati, invece, i voti dimostrano la difficile ricerca di un equilibrio in questa situazione complessa.
Il 7 aprile c’è stata un’altra votazione sull’espulsione della Russia dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (UNHRC), che ha ottenuto 93 sì. In questo caso, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan hanno votato contro il provvedimento. Il Turkmenistan, invece, non ha votato nemmeno questa volta.
L’appoggio di Sadyr Japarov
L’unico Paese a schierarsi apertamente a sostegno della Russia è stato il Kirghizistan. Il 22 febbraio, il presidente Sadyr Japarov ha dichiarato tramite Facebook che l’invasione dell’Ucraina è dovuta al mancato rispetto degli accordi di Minsk e che l’intervenuto russo è giustificato dalla necessità di Mosca di proteggere la minoranza russa nel Donbass. Ha aggiunto anche che il riconoscimento di uno Stato è il diritto sovrano di ogni Paese, riferendosi in questo caso al riconoscimento delle Repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk da parte della Russia.
Anche tra i cittadini l’appoggio alla Russia è più forte in Kirghizistan che in tutti gli altri Paesi. Gli studi mostrano come i kirghisi ammirino la leadership forte di Putin e lo considerino un politico da cui prendere esempio. Questo è in linea con quanto è avvenuto in Kirghizistan negli ultimi due anni: dopo le proteste dell’ottobre 2020, i cittadini hanno eletto come presidente Sadyr Japarov, populista e conservatore, il quale ha reintrodotto il sistema presidenziale, indebolito il Parlamento e inasprito il controllo sulla società civile.
In Kirghizistan, dunque, il sostegno a Putin non è dovuto tanto alla propaganda e all’impossibilità di reperire informazioni su quanto sta accadendo veramente in Ucraina. Piuttosto, la causa va ricercata in processi lunghi e complessi che intrecciano politica interna a politica estera, come i flussi migratori, la debolezza del sistema partitico locale e il recupero un’identità statale fortemente nazionalista.
Gli altri Paesi
Il Kazakistan e l’Uzbekistan hanno dichiarato la loro neutralità. Il 1° marzo, il presidente kazako Qasim-Jomart Toqaev ha rilasciato un comunicato in cui dichiara di essere disponibile a fare da mediatore per risolvere diplomaticamente la questione ucraina e che è necessario rispettare il diritto internazionale e la Carta delle Nazioni Unite. Toqaev ha sottolineato che il suo Paese si sta preparando ad affrontare le ripercussioni negative che la guerra in Ucraina avrà sull’economia interna. Il governo kazako ha, infatti, elaborato insieme alla Banca nazionale del Kazakistan (Qazaqstan Ulttıq Banki) un piano d’azione congiunto che prevede misure volte a frenare l’inflazione, mantenere la stabilità del mercato e favorire l’occupazione.
Timur Suleimenov, il vice capo di gabinetto del presidente, ha chiarito che il Kazakistan riconosce l’integrità territoriale e la sovranità dell’Ucraina, ma, allo stesso tempo, evidenzia lo stretto legame che questo ha con la Russia e il suo desiderio di mantenere con Mosca proficue relazioni commerciali. Suleimenov ha anche ribadito che il Kazakistan non aiuterà la Russia ad aggirare le sanzioni imposte dall’Europa e dagli Stati Uniti e che non invierà truppe a Kiev.
La posizione del Kazakistan, il più stretto alleato della Russia nella regione, dimostra come il Paese sia pronto a diventare un importante attore internazionale sfruttando la propria posizione tra Europa e Asia, e come il governo in carica stia privilegiando gli interessi del Paese rispetto alla lealtà nei confronti di Mosca, specialmente dopo le proteste dei mesi scorsi.
Anche l’Uzbekistan si è dichiarato neutrale e il presidente Shavkat Mirziyoyev ha ribadito la supremazia del diritto internazionale. Infine, il Tagikistan e il Turkmenistan (che segue una politica di neutralità sulle questioni internazionali) non hanno rilasciato alcuna dichiarazione sull’invasione russa dell’Ucraina.
In questa situazione, la dichiarata neutralità di Kazakistan e Uzbekistan è una presa di posizione forte. Dimostra che, a trent’anni dal crollo dell’URSS, questi Paesi non sono più pronti ad appoggiare a priori la Russia. Pur consapevoli degli stretti legami con Mosca, Kazakistan e Uzbekistan hanno iniziato a mettere il benessere interno come priorità nella propria agenda politica, anche negli affari esteri.
Tagikistan e Turkmenistan, seppure non supportano apertamente l’invasione della Russia in Ucraina, appaiono più restii a prendere una posizione chiara, probabilmente per paura di inimicarsi un partner così importante come Mosca.
Le conseguenze
Il governo di Mosca ha garantito la possibilità per i cittadini stranieri di arruolarsi nell’esercito russo come contrattisti e ottenere così la cittadinanza russa con un procedimento più breve. Questa opportunità può essere allettante per i cittadini dell’Asia centrale che, in questo modo, potrebbero ottenere più facilmente i permessi per lavorare in Russia. Tuttavia, la crisi economica della Russia si sta acuendo: la direttrice della Banca centrale russa Elvira Nabiullina ha previsto un ulteriore deterioramento dell’economia russa nel secondo semestre nel 2022, in particolare riguardo a inflazione e tasso occupazionale. Prospettiva, questa, che potrà avere un forte impatto sui flussi migratori dall’Asia centrale alla Russia.
Allo stesso tempo, a inizio aprile, il Cremlino ha interrotto i procedimenti semplificati per l’ottenimento del visto per alcuni Paesi considerati non amichevoli. Questo è un elemento che i Paesi in questione devono tenere in considerazione nelle loro prese di posizione, perché essere considerati nemici della Russia potrebbe avere enormi conseguenze sulla loro economia e stabilità sociale.
Fonti e approfondimenti
Costa Buranelli, Filippo, L’insostenibile dipendenza da Mosca, ISPI, 22/04/2022
Putz, Catherine, Central Asia Sides With Russia in UN Human Rights Council Vote, The Diplomat, 08/04/2022
The Diplomat, What Does Russia’s Ukraine Invasion Mean for Central Asia?, The Diplomat, 16/03/2022
Hashimova, Umida, Ukraine: The View From Central Asia, The Diplomat, 01/03/2022
Koplatazde, Tamar, Theorising Russian postcolonial studies, Postcolonial Studies, 22(4), 2019
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