Domenica 4 ottobre in Kirghizistan si sono tenute le consultazioni per eleggere i 120 membri del Parlamento. In seguito alla denuncia di frodi elettorali da parte dell’opposizione, migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro la classe politica del Paese, ottenendo un repentino mutamento dei vertici del potere.
Non è la prima volta che in Kirghizistan le rivolte popolari ottengono risultati del genere e le cause profonde di queste rivoluzioni sono sempre le stesse: il perdurante conflitto tra kirghisi e uzbeki (i due principali gruppi etnici della nazione) e le fragilità del sistema politico, a partire dalla corruzione e le rivalità tra partiti che sono lo specchio delle lotte tra clan.
I risultati del 4 ottobre
Dei 16 partiti candidati, solo 4 hanno superato la soglia di sbarramento del 7%. I principali vincitori sono stati Birimdik (Unità) e Mekenim (La mia patria), che hanno ottenuto rispettivamente il 24,5% e il 23,8% dei voti, seguiti da Kirghizistan e Butun Kirghizistan (Kirghizistan unito). Tutti i partiti vincitori sono filogovernativi e sostenitori dell’ultimo presidente della Repubblica Sooronbay Jeenbekov, a cui sono strettamente connessi per ragioni familiari (tra i leader di Birimdik c’è suo fratello Asylbek) e d’interesse. Mekenim, ad esempio, è legato a uno degli uomini più potenti del Paese, Rayimbek Matraimov, uno dei principali finanziatori delle campagne elettorali del capo di Stato.
Una volta concluso lo spoglio elettorale, le opposizioni hanno denunciato brogli e voti di scambio. Di conseguenza, nel corso della sera del 4 ottobre circa quattromila persone sono scese in piazza nella capitale Biškek per protestare e chiedere l’annullamento delle elezioni. In pochi giorni la situazione è precipitata nel caos e il 6 ottobre la Commissione elettorale centrale kirghisa ha annullato le elezioni. Tuttavia, le proteste sono continuate fino a quando si sono dimessi il primo ministro Kubatbek Boronov, il presidente del Parlamento Myktybek Abdyldayev e il presidente della repubblica Jeenbekov il 15 ottobre.
Ora, alla guida del Paese c’è Sadyr Japarov, chiamato dal Parlamento a svolgere sia la funzione di primo ministro che quella di presidente della Repubblica ad interim durante il processo di transizione del potere, che si concluderà con nuove elezioni nella primavera del 2021.
Kirghizistan: il conflitto etnico e la corruzione
Dopo il crollo dell’URSS, il Kirghizistan si è distinto dalle altre ex repubbliche sovietiche per aver avviato subito un processo di democratizzazione che è stato coronato, nel 2010, dall’introduzione del sistema parlamentare. Il parlamentarismo favorisce la rappresentanza di ogni etnia presente nel Paese. Allo stesso tempo però rende più complicato governare, vista la necessità di trovare un accordo tra numerose istanze diverse. In Kirghizistan, il sistema partitico è estremamente frammentato e la divisione tra le due etnie principali – kirghisi e uzbeki – è profonda.
La società kirghisa, infatti, è multietnica: i kirghisi costituiscono il 73,5% della popolazione, seguiti dagli uzbeki (14,7%) e poi dai russi (5,5%). La divisione etnica si riflette anche sul territorio. Le regioni meridionali, dove è concentrata la minoranza uzbeka, sono quelle in cui il conflitto è più volte sfociato in scontri violenti. Il contrasto tra i due popoli – che condividono la fede islamica – ha origine nelle lotte tra clan per il potere e per le terre. Oggi, i partiti rappresentano gli interessi di questi numerosi clan e il conflitto riguarda lo squilibrio, soprattutto economico, tra le regioni kirghise.
L’altro fattore che rende il sistema politico kirghiso particolarmente fragile è la corruzione: nel 2019, il Kirghizistan si è posizionato 126° su 180 Stati nella classifica di Transparency International sulla corruzione percepita. La corruzione riguarda tutti i livelli della gerarchia statale e sono molto diffusi il pagamento di tangenti per l’accesso a cariche pubbliche o servizi amministrativi, insieme a fenomeni di nepotismo, clientelismo e abuso di potere. Tutto ciò favorisce una scarsa fiducia dei cittadini nel governo che, più volte, è sfociata in proteste di massa.
Le rivolte popolari degli ultimi anni in Kirghizistan
Dalla sua indipendenza nel 1990, il Kirghizistan è stato teatro di altre due grandi rivolte popolari: la rivoluzione dei tulipani nel 2005 e la rivoluzione di aprile nel 2010. In entrambi i casi le agitazioni hanno portato alle dimissioni del capo di Stato e allo scioglimento del governo in carica.
Nel 2005, il popolo kirghiso scese in piazza per protestare contro il primo presidente post-sovietico, Askar Akayev, in carica dal 1990. Venne accusato di corruzione e nepotismo e costretto alle dimissioni. Il suo successore, Kurmanbek Bakiyev, si presentò come l’uomo che avrebbe risolto il problema della corruzione nel Paese. In poco tempo, tuttavia, adottò le stesse pratiche del suo predecessore. Per questo, con lo scoppio delle proteste nel 2010, dovette dimettersi e fuggire a Minsk, in Bielorussia, dove ancora oggi vive in esilio. La rivoluzione di aprile ebbe una forte componente etnica. Infatti, violenti scontri tra uzbeki e kirghisi sconvolsero il sud del Paese. Le rivolte si placarono solo grazie all’intervento di mediazione di Mosca e del muftì di Tashkent, capitale dell’Uzbekistan.
Tra i risultati della rivoluzione del 2010 spicca l’indizione di un referendum per ridurre i poteri del presidente della Repubblica. Il referendum ottenne un ampio consenso e portò all’introduzione in Kirghizistan del sistema parlamentare in sostituzione di quello presidenziale.
La rivoluzione d’ottobre del 2020
Le proteste dello scorso ottobre, già soprannominate “rivoluzione d’ottobre”, non sono state scatenate dal conflitto etnico ma dalle irregolarità verificatesi nelle elezioni parlamentari e denunciate dalle opposizioni. Tuttavia, questi ultimi eventi hanno riacceso gli scontri tra i maggiori clan del Paese, in lotta per il potere. Le tre fazioni principali sono guidate rispettivamente dall’ex presidente Jeenbekov, dal suo predecessore Almazbek Atambayev (in carica dal 2011 al 2017) e dal presidente ad interim appena nominato Sadyr Japarov.
Sia Atambayev che Japarov sono stati liberati dal carcere dai manifestanti. Il primo, nel giugno del 2020, era stato condannato a undici anni di reclusione perché responsabile del rilascio di un noto boss criminale. La sentenza, però, è apparsa come un mezzo usato dal governo per liberarsi di un nemico. Infatti, Atambayev è stato l’unico presidente nella storia del Kirghizistan a cui è stata revocata l’immunità per azioni compiute nel corso del mandato.
Japarov, invece, era in carcere dal 2017. Scontava la pena per aver rapito nel 2013 il governatore regionale Emil Kaptagayev, usato come ostaggio per chiedere – senza successo – la nazionalizzazione della miniera d’oro di Kumtur, gestita ancora oggi da una società canadese. Questo episodio mette in risalto i due capisaldi della politica di Japarov: l’estremismo e il nazionalismo, che gli hanno procurato un vasto consenso tra i cittadini kirghisi, preoccupati dall’aggravarsi delle condizioni economiche del Paese.
Japarov è in politica dal 2005 con il partito Ata-Zuhrt (Madrepatria) – uno schieramento conservatore, nazionalista e populista – e più volte è stato protagonista di episodi violenti, tra cui un tentativo fallito di colpo di stato nel 2012. La sua popolarità (è il politico kirghiso più seguito sui social network) deriva in gran parte dalla sua partecipazione a numerose proteste e dalle sue idee anti-establishment.
Dopo il 4 ottobre, gli scontri fra le tre fazioni si sono fatti violenti e i sostenitori di Japarov hanno occupato alcuni edifici governativi. Alla fine, dopo le dimissioni di Jeenbekov, Japarov è stato nominato primo ministro e presidente ad interim dal Parlamento e il suo compito principale sarà quello di guidare il Paese fino alle nuove elezioni presidenziali e parlamentari. Secondo la Costituzione kirghisa, Japarov, in quanto presidente temporaneo, non potrà candidarsi alle prossime elezioni. Ma il nuovo capo di Stato ha già annunciato che procederà a varare diverse riforme costituzionali, tra cui potrebbe esserci anche quella che gli permetterà di ovviare al problema della candidatura.
Quale reazione dalla Russia?
In un contesto così complesso e caotico, è interessante riflettere sulla posizione di Mosca rispetto ai tumulti in Kirghizistan, considerando quanto la Russia sia influente in questa ex Repubblica sovietica. Nella città di Kant, ad esempio, c’è una base militare russa e il Kirghizistan fa parte del Trattato di Sicurezza Collettiva e dell’Unione economica eurasiatica. Al momento, però, la Russia si è astenuta da qualsiasi azione, derubricando l’attuale crisi a una questione esclusivamente interna al Paese. Un portavoce del Cremlino ha comunque assicurato che la situazione è tenuta sotto stretta osservazione.
La decisione di Mosca è comprensibile, dato che attualmente la Russia è impegnata su altri fronti – come quelli delle rivolte in Bielorussia e del conflitto tra Armenia e Azerbagian nella regione contesa di Nagorno-Karabak. Inoltre, nessuno dei partiti kirghisi è antirusso, quindi, l’influenza del Cremlino nel Paese non è in discussione.
Fonti e approfondimenti
Mikhelidze, Nona & Rosana, Gabriele, “Kirghizistan: cosa resta della rivolta di ottobre”, Affari Internazionali, 15/10/2020
Putz, Catherine, “From Prison to Parliament: Meet Kyrgyzstan’s New Prime Minister“, The Diplomat, 14/10/2020
Brick Murtazashvili, Jennifer & Wood, Colleen, “Election officials annulled Kyrgyzstan’s October election. Here’s why”, The Washington Post, 10/10/2020
Tassinari, Cristiano, “La ‘Rivoluzione d’Ottobre’ del Kirghizistan: ora il rischio è il vuoto di potere”, Euronews, 8/10/2020
Sorio, Nicolò, “Prigioniero tra “multivettorialità” e conflitto etnico: Il caso del Kirghizistan”, Geopolitica.info, 7/10/2020
ODIHR Limited Election Observation Mission, “Statement of Preliminary Findings and Conclusions. Kyrgyz Republic – Parliamentary Elections, 4 October 2020”, OSCE, 5/10/2020
Martini, Maira, “Overview of corruption and anti-corruption in Kyrgyzstan”, Transparency International, 2013