Dopo un trentennio di tentativi falliti, nel 2019 si è forse aperta l’opportunità di riavviare le trattative tra l’Azerbaigian e l’Armenia sul conflitto del Nagorno-Karabakh. Durante diversi incontri, fra cui l’ultimo avvenuto durante la Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, i leader dei due Paesi si sono focalizzati sulla prevenzione di una nuova escalation del conflitto.
L’enclave del Nagorno-Karabakh, popolata principalmente da armeni, ha dichiarato la propria indipendenza dall’Azerbaigian nel settembre del 1991. Il mancato riconoscimento da parte di Baku ha provocato un conflitto militare che ha portato alla scissione de facto del Nagorno-Karabakh, ancora oggi in lotta per la propria autonomia.
Attualmente, i motivi che impediscono una risoluzione definitiva dei negoziati sono ancora molti: le rivendicazioni nazionaliste delle parti coinvolte nel conflitto si uniscono alle aspirazioni politiche e strategiche di potenze come la Russia e la Turchia, che confinano con la regione del Caucaso. In questo articolo, quindi, ripercorreremo la storia recente del Nagorno-Karabakh per fare il punto sulla situazione attuale.
La guerra aperta negli anni Novanta
Dal 1920 fino al crollo dell’URSS, il Nagorno-Karabakh è stato un’oblast (regione) autonoma della Repubblica Sovietica Azera. Il 2 settembre 1991, approfittando della debolezza di Mosca, questa regione proclamò la propria indipendenza dalla neonata Repubblica dell’Azerbaigian. Così, ebbe inizio un’escalation di scontri tra i due Paesi: nel gennaio 1992, l’esercito azero attaccò la appena nata Repubblica del Nagorno-Karabakh. Quella che era iniziata come una guerra di secessione, di fatto, divenne presto uno scontro fra Azerbaigian e Armenia, poiché quest’ultima iniziò a supportare militarmente ed economicamente il Nagorno-Karabakh.
In generale, i combattimenti si svolsero su un “confine di fatto” lungo poco più di 250 km tra il territorio controllato dagli armeni e l’Azerbaigian. La città di Khojaly, in Azerbaigian, fu teatro dell’episodio peggiore di tutta la guerra, dove Human Rights Watch stima che 613 civili azeri vennero massacrati da parte dell’esercito armeno. Durante le azioni belliche, infatti, le forze armene del Karabakh occuparono il 16% del territorio azero. Oltre 900.000 cittadini azeri finirono sfollati a causa del conflitto, mentre circa 300.000 armeni fuggirono dall’Azerbaigian.
Il Gruppo di Minsk e gli sforzi dell’OSCE
Per preparare il terreno per le negoziazioni di pace, dietro l’azione dell’OSCE, nel 1992 venne creato il Gruppo di Minsk, con l’obiettivo di preparare una conferenza di pace nella capitale bielorussa nel 1994. Grazie agli sforzi di questo gruppo, la guerra si concluse nel maggio 1994 con un cessate-il-fuoco concordato a Biškek, capitale del Kirghizistan.
I risultati di questo accordo furono l’indipendenza de facto del Nagorno-Karabakh, che fissò la sede del suo autoproclamato governo nella città di Step’anakert, e la presa di controllo delle forze armene su 7 regioni azere confinanti con il Nagorno-Karabakh (5 delle quali sono ancora sotto il controllo armeno). Tuttavia, le posizioni dei due Paesi che si contendono questo lembo di terra (Azerbaigian e Armenia), si sono radicalizzate per via dell’irrigidimento delle rispettive posizioni nazionaliste e dell’irredentismo armeno.
Il gruppo di Minsk esiste ancora, ed è guidato da una co-presidenza attualmente composta da Francia, Russia e Stati Uniti. Fanno parte del gruppo rappresentanti di Bielorussia, Germania, Italia, Portogallo, Paesi Bassi, Svezia, Finlandia e Turchia, oltre ovviamente ad Armenia e Azerbaigian.
Inoltre, nel novembre del 2007, nel quadro dei lavori OSCE a Madrid è stato prodotto un documento di raccomandazione per raggiungere un accordo di pace definitivo. I principi delineati da questo documento sono:
- uno status di indipendenza ad interim per il Nagorno-Karabakh, che sia in grado di fornire sicurezza e delle garanzie di autogoverno;
- il riconoscimento internazionale di questo status, garantito attraverso un’espressione di volontà popolare legalmente vincolante;
- delle garanzie di sicurezza internazionale, ivi compresa un’efficace operazione di peace-keeping nella regione.
Questi Principi di Madrid, considerati all’epoca la base da cui partire per le trattative future, non hanno però riscosso particolare successo fra le parti in causa. Infatti, ad oggi, questi punti non sono stati ancora pienamente realizzati.
La nascita della Repubblica dell’Artsakh
A seguito di un referendum nel 2017, tuttavia, il Nagorno-Karabakh ha adottato il nome ufficiale di Repubblica dell’Artsakh, e ha modificato il proprio assetto istituzionale in repubblica presidenziale. Pur non essendo ancora riconosciuto da nessuno Stato membro dell’ONU, ha ottenuto diversi riconoscimenti internazionali da altri soggetti e ha una rete di missioni diplomatiche attive in Armenia, Russia, Francia, Stati Uniti, Germania, Australia.
Superata la crisi post-bellica, negli ultimi anni il Nagorno Karabakh è diventato protagonista di una velocissima crescita economica, favorita anche dagli aiuti economici provenienti dalla diaspora armena e dall’Armenia stessa. Dal 2007, ha avviato una serie di riforme esplicitamente orientate al mercato, sotto la direzione del presidente Bako Sahayan. Sahayan è al secondo mandato consecutivo dal 2007, ma dal 2017 detiene la carica ad interim, in attesa delle elezioni presidenziali che si svolgeranno quest’anno. Queste riforme di stampo neoliberista hanno trovato ampio consenso fra le voci liberali della regione, che hanno iniziato a definire il Karabakh come “la tigre caucasica”.
I diversi attori coinvolti nella difficile costruzione della pace
Tuttavia, sia l’Azerbaigian che l’Armenia hanno continuato a svolgere azioni provocatorie e a sferragliare intorno alla linea di contatto tra il Nagorno-Karabakh e l’Azerbaigian. L’Armenia ha continuato a fornire sostegno politico, militare e finanziario alla regione separatista, che Baku considera ancora come un territorio azero occupato dall’Armenia. Nell’aprile del 2016, le tensioni sono aumentate in modo significativo tra le forze azere e quelle armene del Karabakh. Si crede che in quattro giorni di combattimento, siano stati uccisi centinaia di soldati di entrambi gli schieramenti, anche se tuttora non si conoscono le cifre esatte.
Dal 2016, però, l’equilibrio geopolitico della regione è diventato ancora più instabile. Questo dipende non solo dai due protagonisti della contesa, Armenia e Azerbaigian, ma anche dagli interventi di altre potenze vicine che si affacciano alla regione del Caucaso:
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Armenia
La rivoluzione di velluto del 2018, che ha portato ad un cambio pacifico dei vertici di governo, ha spinto molti osservatori del Caucaso a chiedersi se sia possibile dare un nuovo incipit al processo di pace nel Nagorno-Karabakh. La rivoluzione ha portato al potere un nuovo primo ministro, Nikol Pashinyan, che ha sostituito Karen Karapetyan , originario del Nagorno-Karabakh. Pashinyan ha sostenuto al World Economic Forum di Davos del 2019, che il Nagorno-Karabakh dovrebbe essere rappresentato dai propri governanti eletti de facto nel determinare il proprio destino. Un’affermazione di questo genere è una novità assoluta, in quanto l’Armenia ha sempre cercato di avere voce in capitolo. L’approccio di Pashinyan è che il compromesso è possibile, se l’Azerbaigian mette da parte la sua retorica di guerra e riconosce il diritto all’autodeterminazione del popolo del Karabakh.
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Azerbaigian
In seguito alla transizione di potere in Armenia, l’Azerbaigian crede di avere l’occasione per ottenere maggiori concessioni. Il 9 febbraio scorso, inoltre, nel Paese di sono tenute delle elezioni parlamentari “cosmetiche”, che hanno dato un volto nuovo al vecchio regime di Ilham Aliyev. Questa “metamorfosi” potrebbe comportare ulteriori cambiamenti di strategia nella risoluzione del conflitto con il Nagorno-Karabakh.
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Federazione Russa
Mosca ha rivestito un ruolo importante negli sforzi internazionali per raggiungere il cessate-il-fuoco nella guerra del 1994. Inoltre, esercita anche una forte influenza economica sull’Armenia che, a causa delle due frontiere chiuse con la Turchia e l’Azerbaigian, si troverebbe in difficoltà a sostenere anche l’economia del Karabakh da sola. Questo è uno dei motivi principali per cui l’Armenia ha deciso di aderire all’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva e all’Unione Economica Eurasiatica (con Russia, Bielorussia, Kazakistan e Kirghizistan). La Russia rimane un partner economico importante anche per l’Azerbaigian, soprattutto nel campo del commercio di armi. Tramite questeazioni, la Russia tende ad esercitare un careful balancing per quando riguarda il sostegno dell’Armenia e dell’Azerbaigian nel conflitto.
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Turchia
E’ una ferma sostenitrice dell’Azerbaigian, per ragioni connesse ai legami culturali e linguistici tra i due Paesi e al reciproco scambio energetico, con l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan. Anche se le relazioni armeno-turche sembravano migliorate nel 2008, grazie alla “diplomazia del calcio”. Questa distensione è stata di breve durata a causa dell’insistenza turca sulla partenza dell’Armenia dai territori azeri.
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Cina
Recenti scambi di visite fra Pechino e i leader dell’Azerbaigian e dell’Armenia hanno fornito un terreno favorevole per un coinvolgimento più profondo della Cina nel Caucaso meridionale. La regione ha iniziato a catturare gradualmente l’attenzione di Pechino sulla scia del lancio della Belt and Road Initiative (BRI) nel 2013. Nel corso del 2019, gli incontri frequenti fra i leader hanno portato alla sottoscrizione di alcuni sostanziosi contratti commerciali tra la Cina e l’Azerbaigian. Invece, la Cina e l’Armenia stanno lavorando a un corridoio multi-modale di trasporto e transito per collegare l’Iran all’Europa, attraverso l’Armenia e il Mar Nero georgiano.
Conclusioni
Ci sono molte variabili che rivestono un peso nella stabilizzazione del conflitto del Nagorno-Karabakh. La mancanza di una strategia condivisa da parte di Russia, Tuchia e Cina per supportare il peace-keeping nella regione potrebbe non essere un caso, visti gli interessi economici e strategici che queste potenze mantengono nel Caucaso.
Restano a confrontarsi direttamente sulla questione, quindi, solo Armenia e Azerbaigian, che ancora stentano a prendere in considerazione la voce della Repubblica di Artsakh. Lo scorso 15 febbraio, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente azero Ilham Aliyev hanno intrattenuto un breve dibattito sul Karabakh alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco. Tuttavia, l’incontro non ha prodotto nessuna vera proposta, dimostrandosi più simile a una lezione di storia che a una negoziazione, con AlIyev che rievocava l’ingresso del Karabakh nell’Impero russo nel 1805.
La recente apertura per rivitalizzare il moribondo processo di pace tra Azerbaigian e Armenia sul Nagorno-Karabakh rischia di chiudersi, se il confronto continuerà su un terreno nazionalista. Sarebbe auspicabile che i due Paesi dessero avvio, il prima possibile, a delle trattative sulle questioni concrete che stanno alla base dello stallo: il futuro dei territori adiacenti al Nagorno-Karabakh, in cui i coloni armeni hanno costruito le loro case; il ruolo potenziale delle forze di pace internazionali; e, la questione centrale, ossia lo status di indipendenza della neonata Repubblica di Artsakh.
Fonti e approfondimenti
Crisis Group, Digging out of Deadlock in Nagorno-Karabakh, 20 dicembre 2019 (ultima visita 17/02/2020)
EURACTIV, Armenia PM: Nagorno-Karabakh talks must include ‘Republic of Artsakh’, 4 marzo 2019 (ultima visita 17/02/2020)
EURACTIV, Armenia’s peaceful revolution yields new leader, 8 maggio 2018 (ultima visita 17/02/2020)
ISPI Online, Anahit Shirinyan, What Does 2019 Hold for the Nagorno-Karabakh Conflict?, 6 febbraio 2019 (ultima visita 17/02/2020)
Osservatorio balcani e caucaso, Guerra totale: la socialdemocrazia militarizzata del Karabakh, 01/03/2019 (ultima visita 17/02/2020)
Laurence Broers, Research Paper – The Nagorny Karabakh Conflict Defaulting to War, Russia and Eurasia Programme | July 2016 (utlima visita 18/02/2020)
New Eastern Europe, Negotiations failed? Nagorno-Karabakh conflict reaches dangerous stage, 8 ottobre 2019 (ultima visita 17/20/2020)
Parlamento Europeo, Nagorno-Karabakh: unstable frozen conflict, Briefing giugno 2016 (ultima visita 17/02/2020)