Nel cuore del Turkmenistan, in mezzo al deserto del Karakum, c’è un cratere largo quasi 70 metri e profondo altri 20 che arde ininterrottamente da cinquantuno anni. A causa di questo fenomeno, che non ha nulla di naturale, la cavità è stata soprannominata “Porta dell’Inferno” dagli autoctoni e dai viaggiatori che la visitano ogni anno.
Capire come si è formata questa gigantesca fossa fiammeggiante ci riconduce, inevitabilmente, al periodo in cui questa repubblica dell’Asia Centrale era ancora sotto il dominio sovietico. Un periodo caratterizzato da uno sfruttamento e un rimodellamento del territorio che hanno segnato notevolmente non solo il Turkmenistan, ma anche molte altre zone della regione centro-asiatica – come il lago di Aral tra Kazakistan e Uzbekistan. Tuttavia, nemmeno i due regimi presidenziali che si sono susseguiti negli ultimi trent’anni – classificati fra i più repressivi e inaccessibili al mondo – si sono dimostrati in grado di trovare una soluzione al disastro ambientale causato dai loro predecessori sovietici. Almeno finora.
Il fulgore del Karakum
Era il 1971 quando nacque il cratere gassoso (Garagum ýalkymy, in turkmeno). Il terreno poco distante dal villaggio di Derweze – di cui la voragine ha portato a lungo il nome – cedette sotto le trivelle di una spedizione di geologi sovietici, convinti che l’area fosse ricca di combustibili fossili. Le prime esplorazioni confermarono velocemente questa ipotesi, così il gruppo di scienziati iniziò a progettare estrazioni su larga scala.
Non portarono mai a compimento il loro programma. Infatti, una nuvola di metano estremamente maleodorante (e potenzialmente tossica) iniziò a sprigionarsi dal cratere appena formatosi e, per alleviare il disagio della popolazione locale ed evitare esplosioni, fu deciso di dare fuoco al gas. L’idea era che le fiamme si sarebbero estinte da sole in breve tempo.
Ma gli scienziati non avevano considerato gli 8 miliardi di metri quadrati di gas naturale che scorrono sotto la regione di Derweze e che hanno continuato ad alimentare il “fulgore del Karakum” (come è stato rinominato ufficialmente dal presidente nel 2018) per più di mezzo secolo. Racconta la scrittrice e antropologa Erika Fatland, nel suo libro Sovietistan. Un viaggio in Asia Centrale, che il vicino villaggio di 350 anime fu “cancellato” per ordine di Saparmurat Niyazov, primo presidente del Turkmenistan dopo l’indipendenza dall’URSS, “per risparmiare ai turisti che venivano a visitare il cratere la vista delle misere condizioni in cui vivevano.”
Niyazov morì due anni dopo l’eliminazione del villaggio, nel 2006. Il suo successore, Gurbanguly Berdimuhamedow, sta ripetendo da più di dieci anni che il cratere va otturato: finora nessun tentativo è andato a buon fine e il metano continua a riversarsi fuori da migliaia di piccole buche. Tuttavia, come riportato dai media turkmeni a gennaio del 2022, questa volta il presidente Berdimuhamedow sembra deciso a fare sul serio, ordinando il divieto di accesso al pubblico al cratere.
Le conseguenze sull’ecosistema e la popolazione
Durante la sua apparizione sulla televisione turkmena all’inizio dell’anno, incaricando il gabinetto di governo di trovare una soluzione definitiva per spegnere il cratere, Berdimuhamedow ha citato “danni ecologici e preoccupazioni economiche.” Secondo il presidente, l’incendio perpetuo “colpisce negativamente sia l’ambiente che la salute delle persone che vivono nelle vicinanze.”
Tuttavia, reperire dati su questi effetti negativi è molto difficile, dal momento che – sotto la presidenza di Niyazov, prima, e Berdimuhamedow, poi – il Turkmenistan è diventato uno dei Paesi più repressivi e inaccessibili al mondo. I sistemi di informazione hanno le mani legate: secondo il World Press Freedom Index 2021, compilato da Reporter senza frontiere, il Turkmenistan è al 178° posto su 180 Paesi per la censura dei media.
Proprio a causa della chiusura del suo regime – che rende la procedura per ottenere il visto molto rigida – il turismo è ancora un’industria relativamente piccola in Turkmenistan. Il numero di visitatori stranieri annuali, prima della pandemia di Covid-19, era stimato intorno a poche decine di migliaia. In questo contesto, tuttavia, la “Porta dell’Inferno” è diventata senza dubbio l’attrazione turistica più visitata dai pochi turisti che riescono a entrare nel Paese. Nonostante ciò, molto poco è stato fatto dalle autorità per mettere in sicurezza il cratere: l’enorme pozzo di fuoco per lungo tempo non è stato recintato, e il terreno instabile lungo i bordi costituisce una minaccia significativa per chi si avvicina troppo.
Da quando è diventato presidente nel 2006, Berdimuhamedow ha tentato di innalzare il profilo internazionale del Paese attraverso la costruzione di edifici maestosi, che non hanno tuttavia portato al risultato sperato. È il caso dell’ipermoderno aeroporto internazionale a forma di falco (uno degli animali simbolo del Turkmenistan), inaugurato ad Ashgabat nel 2016 e costato 2.3 miliardi di dollari.
Uno spreco di gas?
Inoltre, visto anche il recente aumento del prezzo del gas, Berdimuhamedow ha incluso fra i vari motivi per otturare la “Porta dell’Inferno” anche lo spreco di gas naturale che sta portando alla perdita di “risorse preziose, dalle quali potremmo trarre sostanziosi profitti da impiegare per il benessere della popolazione.”
Nei prossimi vent’anni, infatti, il Turkmenistan ha l’ambizioso obiettivo di triplicare le sue riserve di gas, e la grande disponibilità di questo combustibile nel deserto del Karakum lo rende la scelta ideale per l’estrazione. In quest’ottica, la presenza del cratere fiammeggiante potrebbe rivelarsi un ostacolo, in quanto il fuoco potrebbe diffondersi alle riserve di gas naturale vicine.
L’aumento della produzione potrebbe rafforzare significativamente l’economia del Paese, esportando il gas naturale verso i mercati di India, Cina, Russia ed Europa occidentale. Tuttavia, per ottenere un effettivo miglioramento della qualità di vita della popolazione, servirà anche una gestione efficace dei profitti di queste esportazioni, che purtroppo negli ultimi trent’anni è mancata. Dall’indipendenza del Turkmenistan dall’URSS, la maggior parte degli introiti sono serviti a finanziare i nuovi, faraonici, progetti architettonici della capitale Ashgabat, per promuovere il culto delle personalità di Niyazov e Berdimuhamedow. Mentre il sistema sanitario, l’istruzione, il welfare state del Paese sono rimasti a lungo – soprattutto sotto Niyazov – senza fondi e attrezzature.
Nonostante il Turkmenistan sia il 6° Paese al mondo per riserve di gas naturale, infatti, la Commissione economica e sociale delle Nazioni Unite per l’Asia e il Pacifico stimava, al 2018, che almeno il 21,8% della popolazione viveva ancora sotto la soglia di povertà nazionale (anche se il rapporto non forniva il valore della soglia di povertà o la sua fonte). La passività del governo di Berdimuhamedow in risposta alle ricadute economiche della pandemia di Covid-19, inoltre, ha drasticamente esacerbato la preesistente crisi alimentare – come riportavano Human Rights Watch e la Turkmenistan Initiative for Human Rights (TIHR) nel 2020.
Fonti e approfondimenti
Fatland, E., Sovietistan. Un viaggio in Asia Centrale, 2017, Marsilio Editori, ISBN 978-88-317-4221-4
Marcus L., “Gates of Hell: Turkmenistan’s President wants to close Darvaza gas crater”, CNN, 10/01/2022
DW, “Turkmenistan wants to close ‘Gates of Hell’ gas crater”, 08/01/2022
Word Atlas, “The Darvaza Gas Crater: The Door To Hell”, 12/06/2019
Thornton S., “Entering the ‘Door to Hell’”, National Geographic, 16/07/2014
Editing a cura di Emanuele Monterotti
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