La Russia e la questione afgana: quale ruolo?

@Marmelad - Wikimedia Commons

Dopo una rapida avanzata che li ha portati a conquistare la maggior parte delle province afgane in meno di quattro mesi, i talebani hanno preso il controllo della Repubblica Islamica dell’Afghanistan il 15 agosto scorso. Mentre questi entravano a Kabul, infatti, il presidente Mohammad Ashraf Ghani lasciava il Paese, il suo governo si scioglieva e i suoi principali sostenitori, gli Stati occidentali, abbandonavano il Paese.

Da allora, i media hanno analizzato il fallimento delle missioni internazionali guidate da Stati Uniti e NATO insieme alla nuova opportunità per la Cina di portare la Via della seta terrestre anche in Afghanistan. Tuttavia, in questa narrazione, la Russia, attrice chiave per gli equilibri dell’area post-sovietica e mediorientale, ha trovato uno spazio marginale.

Afghanistan fra politica interna ed estera

Dal 2001, agli occhi di Mosca, l’Afghanistan rappresenta una minaccia alla sua sicurezza per diversi motivi.

La Russia è la prima consumatrice di droghe afgane e il governo russo nutre scarsa fiducia nei controlli doganali centroasiatici e russi, indeboliti – se non addirittura annullati – da una corruzione dilagante. Per tutelare la stabilità interna, il Cremlino è motivato a evitare che l’oppio e l’eroina provenienti dall’Afghanistan varchino i propri confini.

La radicalizzazione islamica portata avanti dai talebani è una minaccia non meno trascurabile sul piano regionale. Infatti, la Russia teme che dall’Afghanistan possa diffondersi un nuovo moto insurrezionalista islamico capace di destabilizzare sia l’Asia centrale che il Caucaso del Nord, regioni nelle quali vivono molte comunità di etnia e religione affini a quelle afgane. Disinnescare le tensioni etnico-religiose interne a quest’area è una priorità per Mosca. Per questo, nell’ultimo decennio il Cremlino ha investito molto per affermarsi come leader politico, militare e, in misura minore, economico in questa regione e garantirsi così un vicinato pacifico.

Infine, da un punto di vista geopolitico, la questione afgana continua a rappresentare per la Russia l’opportunità per emergere come potenza regionale e internazionale. Con questo obiettivo, Mosca ha subito supportato l’intervento militare di Stati Uniti e NATO contro i talebani, dato che questo le permetteva di beneficiare della loro azione senza dover intervenire direttamente. Poi, nel corso degli anni, ha cercato di inserirsi nei sempre più ampi spazi politici lasciati liberi dai Paesi occidentali, via via che questi scalavano il loro impegno nella regione.  

Quale politica?

La politica russa in Afghanistan è spesso risultata inconsistente. Ciò a causa della scarsa compatibilità tra i suoi interessi regionali e globali oltre che della cosiddetta “sindrome afghana”,  la forte avversione a nuovo intervento militare nel Paese dopo la rovinosa guerra protrattasi per un decennio fino al 1989. Nonostante gli interessi vitali coinvolti, Mosca ha preferito giocare un ruolo defilato sin dal 2001. 

Pur appoggiando le missioni internazionali, la Russia si è limitata principalmente a fornire loro un sostegno logistico, concedendo l’uso delle sue basi militari di Kant, in Kirghizistan, e Karshi-Khanabad, in Uzbekistan. Inoltre, a partire dal 2009, ha supportato la Forza internazionale di assistenza per la sicurezza (ISAF), rifornendo le truppe dell’Alleanza atlantica di equipaggiamenti e approvvigionamenti tramite il Network di distribuzione settentrionale (NDN), una rete di strade e ferrovie che collegano Russia e Afghanistan attraverso Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan.

Questa politica è cambiata nel 2011, quando fu annunciato che la missione NATO avrebbe iniziato il suo ritiro nel 2014. Da allora, Mosca si è ritagliata un ruolo politico più attivo, determinata ad avanzare il proprio ruolo nella regione. Innanzitutto, sono stati rafforzati i legami politici sia con il governo afgano che con i talebani, i quali – pur restando nella lista russa delle organizzazioni terroristiche – dal 2016 sono stati più volte ricevuti a Mosca per consultazioni bi- e multi-laterali volte a “favorire la risoluzione della questione afghana”. 

Per contribuire a stabilizzare il Paese, il Cremlino ha anche aperto, insieme alla Cina, nuove piattaforme di dialogo, come due meccanismi di consultazione trilaterale, rispettivamente con Pakistan e India, e il cosiddetto “Quartetto di Dushanbe”, che riunisce, oltre a Russia e Afghanistan, Pakistan e Tagikistan. Inoltre, nel 2018, Mosca ha promosso, organizzato e presieduto la più grande conferenza sul processo di pace afgano

In parallelo, Mosca ha dato nuovo impulso alla politica afghana all’interno dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO), l’organismo interregionale fondato per permette a Cina, Russia e Paesi dell’Asia centrale di collaborare in ambito politico, economico, securitario ed energetico. In particolare, nel 2017, il presidente russo Vladimir Putin ha proposto di attivare nuovamente il gruppo di contatto SCO-Afghanistan, le cui attività erano state sospese nel 2009. 

Un successo dal punto di vista politico e simbolico, che dimostra la volontà russa di intensificare il suo impegno in Afghanistan attraverso percorsi consultivi. Per quel che riguarda i risultati, invece, i partecipanti non sono andati oltre a uno scambio di opinioni sulle minacce alla sicurezza regionale, limitandosi perlopiù a riaffermare la volontà di ricostruire un Afghanistan pacifico, stabile e prospero.

Il nuovo governo e la politica estera di Mosca

Il corso della politica russa in Afghanistan non è stato alterato dagli avvenimenti del 15 agosto 2021, anzi. Mentre i Paesi occidentali si affrettavano a chiudere le loro ambasciate a Kabul, Mosca ha mantenuto aperta la sua rappresentanza e ha intensificato il dialogo con i talebani, consapevole che lo sconfinamento del conflitto potrebbe rompere il fragile equilibrio regionale e minacciare i suoi interessi. Ad esempio, l’ambasciatore russo in Afghanistan Dmitri Zhirnov ha incontrato un rappresentante dei talebani 48 ore dopo la loro presa di potere.

Pur sottolineando che non ci sono ancora le condizioni per riconoscere ufficialmente il nuovo governo, Mosca applaude al suo impegno nello stabilizzare la situazione politico-militare afghana e creare l’apparato statale. Il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov ha in più occasioni definito “prioritario” che la nuova amministrazione includa tutti i gruppi etnici e le forze politiche del Paese; infatti, se così non fosse, difficilmente si potrebbe raggiungere una pace duratura. 

Questa posizione è emersa anche durante il summit del 20 ottobre scorso dedicato alla questione afghana che il Cremlino ha organizzato e ospitato, alla presenza di una delegazione talebana, per favorire il processo di riconciliazione nazionale. Difatti, in questa occasione, le parti intervenute – Cina, Pakistan, India, Iran e le cinque Repubbliche dell’Asia centrale – hanno invitato i leader dell’Afghanistan a formare un governo che rifletta gli interessi di tutte le sue forze etnico-politiche e adotti politiche interne ed estere moderate, soprattutto nei confronti degli Stati vicini. 

Tutti i partecipanti hanno concordato che l’intervento della comunità internazionale è urgente e indispensabile per garantire assistenza umanitaria ed economica al popolo afghano in questa fase delicata. A tal proposito, all’inizio dell’incontro, Lavrov ha annunciato che gli aiuti umanitari russi saranno consegnati presto.

Quindi, tutti gli Stati intervenuti al summit hanno proposto di organizzare un’ampia conferenza internazionale dei donatori sotto l’egida delle Nazioni Unite, giacché, a loro avviso, il costo economico e finanziario della ricostruzione e dello sviluppo del Paese dovrebbe essere principalmente sostenuto dagli Stati che vi sono intervenuti militarmente negli ultimi 20 anni.

In conclusione, la grande intraprendenza politica che Mosca sta recentemente dimostrando nella questione afgana conferma il suo perentorio interesse per la sicurezza interna e la stabilità centroasiatica, oltre che l’abilità del Cremlino di affermarsi come facilitatore di dialogo. Per l’ampio consenso raggiunto con i partner asiatici e per la stabilità del suo canale comunicativo con i talebani, è ormai chiaro che Mosca giocherà un ruolo chiave in questa crisi. 

Inoltre, le esercitazioni anti-droga e anti-terrorismo, attivate insieme a Tagikistan e Uzbekistan all’interno dell’Organizzazione del trattato per la sicurezza collettiva, dimostrano che Mosca vuol continuare a essere il principale partner militare dell’area e il garante della sua sicurezza. La creazione del nuovo equilibrio afgano passa, quindi, anche per Mosca, il cui contributo sarà difficilmente ignorabile.   

 

Fonti e approfondimenti

Baev, P. K. (2021), “Russia and America’s overlapping legacies in Afghanistan”, Brookings

Fischer, S. & Stanzel, A. (2021), “Afghanistan. The West Fails – a Win for China and Russia?”, SWP Comment

Goble, P. (2021), “Taliban Victory Sparks New Fears in the Caucasus”, Eurasia Daily Monitor

Isachenkov, V. (2021), “Russia Hosts Afghan Talks, Calls for Inclusive Government”, The Diplomat

Khattak, D. (2019), “The Taliban’s Diplomatic Reemergence”, The Diplomat

Klyszcz, I.U. (2021), “Reframing Russia’s Afghanistan Policy”, Foreign Policy Research Institute, Central Asia Papers

Lang, J. (2014), “Afghanistan: The View from Russia”, European Union Institute for Security Studies 

Laruelle, M. (2011), “Russia’s Strategies in Afghanistan and their Consequences for NATO”, NATO Research Paper

Ramani, S. (2019), “R ussia’s Falling Out With Kabul”, The Diplomat

Trenin, D. & Malashenko, A. (2010), “Afghanistan. A View from Moscow”, Carnegie Endowment for Peace

 

Editing a cura di Elena Noventa

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