Chi era Frantz Fanon e come è riuscito a “decolonizzare” la divisione tra bianco e nero

Foto di Frantz Fanon

Dalla fine della Seconda guerra mondiale, la disgregazione degli imperi europei ha comportato l’inizio di un percorso di emancipazione delle antiche colonie dalla cultura colonialista. 

Questo percorso richiede di ridefinire l’identità sociale di un popolo in quanto decolonizzato. Un’operazione che interessa tutti gli ambiti del sapere umano, dall’epistemologia all’etica, dalla scienza sociale a quella politica. 

Diversi gruppi di accademici hanno approcciato la ristrutturazione del pensiero e degli strumenti conoscitivi europei, per svuotarli dal retaggio colonialista. I loro studi, volti alla critica dell’eredità culturale del colonialismo e dell’imperialismo, si sono sviluppati a partire dalla fine degli anni ‘60 e prendono il nome di Studi Postcoloniali o, più semplicemente, Postcolonialismo.

Frantz Fanon, psichiatra e rivoluzionario della Martinica, è stato tra le figure di riferimento di questo insieme di studi. I suoi scritti rimangono ancora oggi tra i più discussi. 

La ragione risiede in una nuova lettura da parte delle comunità accademiche dei suoi primi lavori, quando, da psichiatra, ha analizzato gli effetti della cultura coloniale europea nelle menti delle popolazioni colonizzate

La vita di Frantz Fanon: lo psichiatra

Martinicano come Aimé Césaire (di cui fu studente), Frantz Omar Fanon (1925-1961) è stato nel corso della sua breve vita uno psichiatra e un rivoluzionario. Gli studiosi di Postcolonialismo, oggi, hanno su queste due identità due chiavi di lettura differenti.

Da una parte c’è chi sottolinea il suo primo percorso di ricerca, volto alla comprensione della reazione che ha nell’uomo nero la cultura imposta dagli europei. C’è chi, d’altra parte, lo ricorda per ciò che lo ha portato successivamente ad abbracciare gli ideali dell’indipendenza algerina trasformandolo in un teorico della rivoluzione terzomondista.

Da giovane Fanon ha studiato psichiatria in Francia, dove ha assimilato le teorie della filosofia esistenzialista e del marxismo, da cui trarrà il concetto di alienazione che proporrà in una “traduzione” per il suo campo d’interesse. Quindi Fanon si è trasferito in Algeria, in quegli anni scossa dai fermenti rivoluzionari indipendentisti, dove ha trovato una congiunzione tra la sua professione medica e i suoi ideali politici. 

Per lungo tempo si è concentrato nel fornire un aiuto concreto al fronte di liberazione nazionale come medico e psichiatra, per poi iniziare un periodo di viaggi tra l’Europa e il Nord Africa, finendo per stabilirsi in Tunisia. Durante questa seconda parte della sua vita ha prodotto numerosi scritti politici, da cui emerge l’attenzione di Fanon per gli ideali terzomondisti e la definitiva emancipazione dell’Africa dall’Europa.

Entrato in contatto con diversi gruppi di intellettuali del mondo nero, che negli anni ‘50 e ‘60 animarono il dibattito politico in Europa, ha partecipato al primo e al secondo Congresso degli scrittori e degli artisti neri che si sono svolti rispettivamente a Parigi nel 1956 e a Roma nel 1959. 

La vita di Fanon: il rivoluzionario

Fanon ha traslato quindi il suo studio psichiatrico in un contesto politico ed è giunto a una sintesi spiegata in quello che viene considerato il suo capolavoro letterario, I dannati della terra (1961). In questo testo, Fanon radicalizza i suoi intenti politici e giustifica la lotta armata per l’emancipazione dei popoli neri.

Nonostante lui stesso intendesse l’uso della violenza come una fase del processo dialettico, volto al superamento delle mistificazioni che dividono l’uomo bianco dall’uomo nero, per lungo tempo Fanon è stato inquadrato principalmente come un teorico della rivoluzione armata. La causa è legata anche al fatto che Jean-Paul Sartre, nell’introduzione a I dannati della terra, dona a questo aspetto molta importanza.

Negli ultimi dieci anni, invece, tra gli studiosi delle sue opere si è tornato a porre l’accento sulla prima fase dei suoi scritti quando, da psichiatra, studiava come “una clinica a cielo aperto” la nevrosi provocata dalla cultura coloniale sui martinicani. Da questa ricerca studiosi postcoloniali e filosofi come Matthieu Renault hanno sintetizzato quello che oggi è conosciuto come il metodo di Frantz Fanon.

Il metodo-processo di Fanon

La base di partenza del metodo di Fanon ha radici politiche e filosofiche che affondano nel pensiero dell’epoca. Prendendo spunto dall’esistenzialismo, Fanon credeva innanzitutto che l’identità culturale di un popolo si definisse grazie alla contrapposizione con l’Altro. Così, dunque, quello che è il mito della “bianchezza” europea nasce proprio in contrapposizione con la “nerezza” africana. 

Dalle teorie marxiste, invece, Fanon aveva interiorizzato e riformulato il concetto di alienazione, applicandola sia alla realtà delle popolazioni vittime della cultura coloniale sia nei confronti dei colonizzatori stessi. L’uomo nero e colonizzato è alienato, secondo Fanon, in quanto fin dall’infanzia ha introiettato il disprezzo che di sé e del suo popolo gli aveva trasmesso la cultura civilizzatrice europea, rendendolo “cieco” di fronte alle mistificazioni che lo stesso colonizzatore gli imponeva. Allo stesso modo, però, a essere alienato era anche l’uomo bianco, convinto nella sua “bianchezza” di essere superiore al nero.

Nonostante avesse delle ampie conoscenze filosofiche e sociologiche, Fanon aveva studiato come psichiatra, motivo per cui il suo iniziale interesse si era mosso nella direzione di indagare gli effetti sulla psiche dell’uomo nero della cultura coloniale. 

In questo senso Fanon ha fatto suo il pensiero del suo maestro, Aimé Césaire, proponendo un superamento del concetto di Negritudine. Partendo da una sorta di “catabasi psichica”, la “discesa nel grande abisso negro” attraverso il processo di identificazione con la cultura coloniale, l’uomo nero deve quindi effettuare un passaggio successivo: emergere da questa condizione per spezzare la divisione manichea che lo contrappone al bianco e giungere all’universale comprensione dell’Uomo in quanto tale.

Per farlo, è necessario che l’uomo nero acquisisca gli strumenti della conoscenza europea (ad esempio la psichiatria), perché sono proprio questi ad aver bisogno di essere decostruiti. Solo allora potrà applicarli secondo il proprio interesse. Il fine però non è quello di usarli “contro” il bianco colonizzatore, dato che Fanon non vuole giungere a uno scontro con l’Occidente (pur accettando la violenza come parte del processo dialettico), ma di superare la contrapposizione manichea bianco-nero, civilizzatore-civilizzato e riutilizzare gli strumenti della conoscenza europea, le espressioni e le immagini “svuotate” di ogni possibile riferimento al passato.

Lo studio clinico

L’inizio di questo processo è spiegato in particolare in Pelle nera, maschera bianca (1952), il testo che sintetizza lo studio clinico di Fanon sul rapporto tra bianco e nero. In questo primo lavoro l’intento di Fanon è quello di “liberare” un insieme di degenti “alienati”, relegati in una condizione di immobilismo cronico, causato da una contrapposizione forzata

“È un dato di fatto”, scrive Fanon: ”Ci sono bianchi che si stimano superiori ai neri. Ed è un altro dato di fatto: ci sono neri che vogliono dimostrare ai bianchi, a ogni costo, la ricchezza del loro pensiero e che la potenza del loro spirito è pari a quella dei bianchi. Come uscirne?”.

Per rispondere a questa domanda Fanon analizza tutte quelle “costruzioni culturali” che sono alla base della tensione tra bianco e nero. Lo psichiatra si pone quindi su due prospettive diverse, cercando di demolire da entrambi i lati i processi psichici che portano alla distinzione e alla nascita dell’opposizione tra le diverse culture. 

Dal punto di vista del mondo nero, analizza quello che definisce il “processo di lattificazione”, ovvero l’imposizione della cultura e dell’etica europea sulle popolazioni nere. In particolare si concentra su alcuni aspetti, come il linguaggio, che secondo Fanon provocano nei neri una sorta di “nevrosi” causata dalla volontà di assimilarsi con il bianco senza però riuscire mai a raggiungere la piena mutazione. 

Questa tensione tra volontà e realtà dei fatti, che porta il nero a volersi percepire come uguale al bianco, senza mai però raggiungerlo, è ciò che secondo Fanon andrebbe innanzitutto sradicato. Perché l’identificazione con il bianco, da parte del nero, non potrà mai essere completa e non è nemmeno auspicabile

Anzi, è proprio il raggiungimento di quel “quasi lo stesso, ma non proprio”, che provoca nell’uomo nero la nevrosi che attanaglia la sua vita e che lo relega a una gabbia che è necessario abbattere per “liberare l’uomo di colore da sé stesso”.

La conclusione del processo dialettico

Per sconfiggere questa nevrosi è quindi necessario, secondo Fanon, che l’uomo nero trovi una sua identità che non tenda all’assimilazione della cultura europea.

Il suo approccio psicanalitico, sviluppato nei primi testi e mantenuto in tutte le sue opere, consente infatti di fornire una chiave di lettura che veda l’uomo nella completezza della sua umanità e, in quanto tale, plasmato e plasmabile dall’ambiente circostante. 

Nell’analisi del momento storico Fanon non si pone né a favore di quello che definisce il processo di lattificazione, né a favore di un’astratta mitizzazione della cultura nera. L’obiettivo, spiegano i suoi scritti, è di superare la visione manichea e puntare a una sintesi. 

La stessa sintesi che, grazie a una rilettura dei suoi scritti da parte di studiosi postcoloniali come Renault, permette anche di lasciare un importante insegnamento metodologico agli attuali accademici. Il suo metodo-processo punta alla destrutturazione della cultura mistificatrice europea, rea di aver categorizzato l’immaginario collettivo umano. Allo stesso modo, l’approccio epistemologico degli Studi postcoloniali dovrebbe mirare a un superamento della categorizzazione tra “coloniale” e “postcoloniale”, un approccio di tipo “decoloniale”, che punti verso la costituzione di un sapere umano

 

 

 

Fonti e approfondimenti

Elia G. B, Frantz Fanon. Per un approccio decoloniale del sapere, Tesi di laurea magistrale, Università di Pisa, A.A. 2014/2015, relatrice: Prof.ssa Vinzia Fiorino 

Fanon F, I dannati della terra, La Découverte/Poche, Parigi, 2016

Fanon F, Pelle nera, maschere bianche, Ed. ETS, Pisa, 2015, trad. Silvia Chiletti

Renault M, Frantz Fanon, L’essere transitivo del (post)colonialismo, Studi Culturali, No.1 (2009), p. 31

Mellino (a cura di), Fanon postcoloniale. I dannati della terra oggi, Ombre corte, Verona, 2013

 

 

 

Editing a cura di Giulia Lamponi

 

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