La questione algerina e il legame culturale tra Francia e Nord Africa

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Quando nella seconda metà del secolo scorso i Paesi europei iniziarono quel lungo e difficoltoso progetto chiamato “decolonizzazione”, gli studiosi dell’epoca posero subito un quesito di fondamentale importanza: l’indipendenza politica e amministrativa delle ex colonie verrà accompagnata da un’indipendenza socio-culturale?

L’antropologo franco-algerino Abdelmalek Sayad, grazie ai suoi decennali studi sulla popolazione algerina residente in Francia e sulla situazione socio-economica post-coloniale del Paese Nordafricano, riuscì ad elaborare un quadro dettagliato quanto allarmante dei traumatici cambiamenti che seguono un processo d’indipendenza tutto meno che efficace e risolutivo.

Per contestualizzare al meglio le ricerche di Sayad, è essenziale tenere conto degli avvenimenti che tra il 1954 e il 1962 macchiarono di sangue l’Algeria nel suo difficile passaggio da colonia a stato “indipendente”.

 

L’indipendenza algerina e la fine dell’Impero coloniale francese

Al termine della Seconda Guerra Mondiale, la Francia ha attraversato uno dei periodi più bui e politicamente instabili della propria storia: la perdita dell’Indocina (1954) aprì una crisi nella IV Repubblica francese che in appena dieci anni vide alternarsi ben 10 governi, sintomo di una dolorosa transizione. A fare da sfondo alla difficile situazione, vi era la Guerra in Algeria, storica colonia, che continuava a inghiottire miliardi di franchi senza l’ottenimento di nessun risultato.

La guerriglia messa in atto dall’FLN algerino (Fronte Nazionale di Liberazione) aveva messo in ginocchio i cosiddetti “pieds-noir” (coloni francesi detentori del potere politico ed economico), dimostratisi incapaci di sopraffare militarmente la resistenza e autoconsideratisi “traditi” dal Governo di Parigi, accusato più volte di essere disposto a concedere troppe autonomie ai ribelli causando la perdita di privilegi da parte della classe coloniale.

Le contestazioni dei civili contro l’innalzamento delle tasse per sostenere la guerra e l’inefficienza del Parlamento nel trovare una soluzione, fecero precipitare la situazione. Per tentare di calmare le acque venne richiamato a governare il generale Charles De Gaulle, carismatico militare simbolo della resistenza francese accolto dai pieds-noir e dai nazionalisti come il salvatore dell’Algeria francese.

La nomina a Presidente di Charles De Gaulle non fece altro che complicare ulteriormente la crisi. Dopo il fallimento delle azioni di repressione messe in atto tra il 1958 e il 1959,  anche De Gaulle individuò nella pace e nell’indipendenza della colonia l’unica possibilità di risoluzione. La decisione del Presidente venne sostenuta dal popolo della madrepatria tramite il rferendum del 1961 e sancita con il trattato di Evian del 1962, che proclamò l’Algeria Paese indipendente.

 

Sayad e la relazione di dominio tra Francia e Algeria dopo la decolonizzazione

Come è facile immaginare, l’indipendenza delle ex colonie è un evento più teorico che pratico. Esattamente come gran parte dell’Africa, l’Algeria ha continuato, e continua tutt’oggi, a “subire” il proprio passato di colonia in termini economici, politici e culturali.

L’antropologo franco-algerino Abdelmalek Sayad fu il primo a studiare la relazione di dominio tra ex colonia ed ex madrepatria. Il caso che lega Francia ed Algeria è emblematico: all’indomani dell’indipendenza, l’Algeria fu costretta a rifarsi agli ex dominatori per qualsiasi progetto di sviluppo. Nei decenni che seguirono il trattato di Evian del 1962, la Francia penetrò l’Algeria tramite gli strumenti economici che i Paesi europei sono soliti utilizzare per mantenere il controllo sugli ex possedimenti oltremare, come lo sfruttamento delle risorse minerarie ed energetiche. In cambio, oltre che di finanziamenti economici di cui l’Algeria necessitava con urgenza, la Francia s’impegnò ad appoggiare politicamente e spesso anche militarmente l’ex colonia. Questo tipo di relazione obbligò l’Algeria a rivolgersi alla Francia in posizione di subalternità stringendosi al collo un cappio dal quale ancora oggi non è riuscita a liberarsi.

Il dominio che la Francia esercitò sull’ex colonia colpì in maniera diretta soprattutto la società algerina: in un Paese incapace di produrre un proprio modello di sviluppo indipendente dall’eredità coloniale europea, a soffrire le piaghe peggiori è la popolazione rurale.

I flussi migratori che caratterizzeranno i due Paesi per molti decenni sono paragonabili ad un vero e proprio esodo biblico: dall’indipendenza fino alla metà degli anni ’80 quasi 1 milione di algerini ha abbandonato la propria terra per dirigersi in Francia. Le conseguenze di tale esodo furono drastiche per l’Algeria: un invecchiamento della popolazione rapido e senza precedenti  negherà al Paese la forza lavoro necessaria alla propria economia.

Assistendo inesorabilmente allo svuotamento delle proprie città, soprattutto da parte di giovani uomini, l’Algeria fu costretta alla continua richiesta di aiuto a enti sovranazionali più vicini agli scopi dei francesi che a quelli degli africani. Fondi erogati da FAO e FMI hanno condizionato per decenni il Paese Nordafricano con politiche di austerity e programmi economici che non hanno avuto alcun effetto se non quello di indebitare ulteriormente una Nazione di per sé povera.

Dall’altro lato, a beneficiare di una così consistente immigrazione, vi era la Francia: il Paese europeo si è di fatto trovato in casa 1 milione di operai, linfa per un’industria sempre in espansione.

 

Il mito della Francia e “il sogno algerino”

Non è difficile immaginare l’influenza che la cultura francese ha esercitato sul popolo algerino durante il colonialismo e nel periodo delle grandi immigrazioni. Ne è un esempio il perfetto bilinguismo degli algerini: nonostante nel corso degli anni il Governo abbia proseguito la sua politica di “arabizzazione” delle istituzioni, sostituendo l’arabo al francese come lingua d’insegnamento nelle scuole o come prima lingua negli uffici amministrativi; gli algerini hanno assorbito il francese come lingua e spesso, in determinati contesti, lo preferiscono all’arabo.

 

Se il noto scrittore  Kateb Yacine ha definito la lingua araba come “bottino di guerra di epoca coloniale” della lingua francese, va ricordato comunque che la conoscenza di un idioma europeo ha dato a milioni di algerini l’opportunità, presunta o tale, di cercare una vita migliore in Francia. Esattamente come il “sogno americano” ha caratterizzato l’immigrazione europea, il “sogno algerino” ha spinto milioni di arabi a mitizzare la Francia come Paese ricco e terra di opportunità fino a rendere i movimenti migratori che hanno legato queste due Nazioni una routine (il collegamento marittimo Marsiglia-Algeri è l’unica tratta di traghetti che collega Africa ed Europa quotidianamente).

Les Arabes e les pieds-noir

Nonostante la storia francese sia ricca di spiacevoli episodi di razzismo nei confronti delle minoranze arabe – come i 200 algerini brutalmente uccisi dalla polizia per le strade di Parigi il 17 ottobre 1961, evento non ancora riconosciuto dal Governo francese – quest’ultime sono entrate di diritto nella cultura di massa francese.

La minoranza algerina costituisce, ad esempio, la più grande comunità etnica di Francia dopo i francesi stessi, anche se molti algerini sono a tutti gli effetti francesi in quanto cittadini. Da questa enorme minoranza etnica sono usciti alcuni dei personaggi più celebri della cultura e dell’attualità francese che spesso vengono definiti “Arabes” o “Pieds-noir” a seconda delle loro origini: con il primo termine vengono solitamente indicati i francesi di origine araba ed etnicamente tali, anche se magari nati sul territorio metropolitano francese. Tra gli “arabes” più celebri possiamo sicuramente annoverare il pugile del XX secolo Marcellin Cerdan e il mito calcistico di un’intera generazione di francesi Zinedine Zidane.

Col termine “Pieds-noir” invece, indichiamo gli ex coloni francesi che per decenni abitarono in Algeria. Questi individui sono stati oggetto di scherno più volte nel corso della storia francese in quanto non etichettabili come arabi né tanto meno come francesi, essendo nati da genitori europei ma in territorio algerino. Tra “Les pieds-noir” possiamo citare alcune delle più grandi menti del secolo scorso come il premio Nobel per la letteratura Albert Camus e il Nobel per la fisica Claude-Cohen Tannoudji.

 

 

Fonti e approfondimenti:

http://www.treccani.it/enciclopedia/algeria-il-controverso-rapporto-con-la-francia_%28Atlante-Geopolitico%29/

https://napolihistory.com/2017/06/22/la-questione-algerina-e-i-pied-noir/

http://www.lastampa.it/2011/11/01/blogs/voci-globali/francia-riconoscere-la-carneficina-degli-algerini-nel-3s8fV5kO6HO2rzbqKthoRL/pagina.html

Abdelmalek Sayad, “La doppia assenza”, 2003, Raffaele Cortina Editore.

Renè Dumont, “L’Africa strangolata”.

Riccardo Brizzi, “Charles De Gaulle”, 2008, Il Mulino.

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