Gli ultimi due decenni hanno segnato un cambio di rotta nelle relazioni tra Cina e Paesi del Medio Oriente, sintomo dei crescenti interessi cinesi nella regione. Un’area in particolare, il Golfo, ha attirato le attenzioni e gli investimenti del gigante asiatico, intenzionato ad ampliare il proprio raggio di azione nella penisola arabica in modo da perseguire gli interessi proposti nel 2013 con la presentazione della Belt and Road Initiative (BRI), la Nuova Via della Seta. La strategia cinese passa quindi per la necessità di approvvigionamento di risorse petrolifere, proponendosi come nuovo attore internazionale nella regione, visti i vuoti lasciati dalla politica estera americana dal 2011 in poi.
In questo articolo andremo a vedere l’evoluzione delle relazioni tra la Cina e i Paesi del Gulf Countries Council (GCC), ovvero Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Qatar, Oman e Kuwait.
Cina e Paesi del Golfo, il perchè di relazioni in costante miglioramento
Dall’inizio degli anni Duemila, le relazioni tra Cina e Paesi del Golfo si sono evolute rapidamente, a dimostrazione di un crescente interesse nella regione da parte della Repubblica Popolare, dal 2001 maggiormente integrata a livello globale grazie all’entrata nel World Trade Organization (WTO). Ai tempi, il costante sviluppo economico cinese aveva spinto il gigante asiatico a cercare nuovi partner commerciali, soprattutto nel settore degli idrocarburi, individuando nei Paesi del GCC una valida alternativa alla Russia, primo fornitore di petrolio e gas naturali per la potenza industriale cinese. A oggi, la quantità di idrocarburi esportati dal Golfo alla Cina è in costante crescita, e Paesi come l’Arabia Saudita sembrano in procinto di rimpiazzare la Russia nel ruolo di principale fonte di approvvigionamento in maniera definitiva. Proprio i sauditi, che hanno fatto dell’esportazione di greggio verso Paesi in costante espansione economica e industriale il pilastro della propria economia, hanno rappresentato, nel 2019, con circa 1,7 milioni di barili al giorno, il principale esportatore di greggio verso la Repubblica Popolare Cinese, coprendo circa il 18% del fabbisogno energetico nazionale del gigante asiatico (il 10% della domanda viene invece soddisfatto dall’Oman, il 4% dagli EAU e il 3% dal Kuwait).
I perché di questo rapido e inesorabile avvicinamento sono da riscontrare principalmente in quattro cause. A indirizzare le relazioni, prima di tutto, è stato sicuramente l’annuncio della Belt and Road Iniziative (2013). Infatti, l’ambizioso progetto cinese ha nel Golfo uno degli snodi chiave: gran parte del greggio diretto verso la Cina passa per il canale di Suez, lo Stretto di Hormuz e lo Stretto di Bab el-Mandeb (tra Gibuti e Yemen), così come le esportazioni cinesi dirette verso Europa e Nord Africa.
In secondo luogo, la BRI ha rappresentato un’occasione da sfruttare anche per i Paesi del GCC: dopo la crisi petrolifera del 2014, quando i prezzi del greggio scesero addirittura sotto i cinquanta dollari a barile, i leader dei Paesi del Golfo individuarono la necessità di diversificare strutturalmente le proprie economie. Gli investimenti cinesi proposti per lo sviluppo della Nuova Via della Seta risultarono un’occasione da cogliere subito, vista anche la concomitanza con gli ambiziosi progetti Vision 2030 (per l’Arabia Saudita, Vision 2035 per il Kuwait e 2040 per l’Oman); nei quali i Paesi del Golfo presentarono gli obiettivi economici da raggiungere nei quindici/venti anni successivi: indipendenza dal settore petrolifero e crescita nel settore della manifattura, dell’agricoltura, dell’energia rinnovabile e dell’alta finanza. Nelle previsioni dei Paesi del Golfo, la Cina giocherà un ruolo fondamentale nel raggiungimento di tali obiettivi, essendo considerata “la fabbrica del mondo” ed essendo in grado di fornire, in grandi quantità, prodotti chimici, petrol-chimici, macchinari agricoli e strumenti HiTech.
Tra le cause dell’avvicinamento economico e diplomatico tra GCC e Cina, va menzionato come i Paesi del Golfo, soprattutto l’Arabia Saudita, stiano cercando nuovi partner economici e politici, nel tentativo di allentare il giogo della dipendenza dagli Stati Uniti; in un contesto in cui i Paesi della regione sono preoccupati tanto dalle altalenanti relazioni tra Iran e USA, legate soprattutto all’accordo sul nucleare, tanto dal graduale disimpegno militare di quest’ultimi. Appare fondamentale, quindi, rivolgere il proprio sguardo ad est, cercando accordi economici, ma anche forniture militari e alleati di peso, sia per reale necessità, sia per lanciare un segnale agli Stati Uniti d’America.
Infine, la strategia cinese nel Golfo passa anche per la diplomazia e la religione: la Nuova Via della Seta, tra Medio Oriente e Asia centrale, attraverserà principalmente Paesi musulmani, partner fondamentali per la Cina che, però, hanno rivolto critiche dure nei confronti della Repubblica Popolare (come nel caso della Turchia), soprattutto negli ultimi anni. La “questione uigura” è un tasto dolente nelle relazioni tra il gigante asiatico e i Paesi musulmani: un avvicinamento con i Paesi del Golfo, che passa anche da visite e investimenti nelle architetture sacre dell’Islam (come nel caso della Moschea di Djamaa al-Djazair ad Algeri, costruita con la partecipazione di imprese cinesi), rappresenta una mossa vincente per Xi Jinping e la sua dottrina diplomatica, ottenendo il massimo risultato tramite sforzi economici e politici.
Non solo greggio: la cooperazione tra i Paesi del Golfo e la Cina
Fino al lancio della BRI, le relazioni tra Cina e Paesi del Golfo erano incentrate sulla collaborazione in ambito energetico: fulcro delle relazioni era il China-Arab States Cooperation Forum (CASCF), un accordo siglato tra Cina e Paesi arabi basato sull’import/export di greggio. Tuttavia, per le ragioni analizzate nel paragrafo precedente, i rapporti bilaterali tra Cina e Paesi del Golfo si sono diversificati enormemente negli ultimi anni, ne sono una prova anche le visite effettuate dai leader del Golfo in Cina.
Dal 2013 in poi, gli investimenti cinesi nel Golfo sono stati diretti verso la costruzione di infrastrutture necessarie allo sviluppo della BRI, come i fondi stanziati in progetti incentrati sugli scali portuali sauditi ed emiratini, la costruzione del porto di Duqm in Oman e la conseguente Salalah Independent Power Station, prima città industriale cinese nella regione, che ospiterà strutture della Hawei e della China National Petrolium Corporation e funzionerà da hub regionale per le imprese cinesi interessate ad ampliare il proprio business nell’area. Proprio le compagnie nazionali cinesi rappresentano alcuni degli attori principali utilizzati per lo sviluppo delle relazioni. La Huawei, ad esempio, è il fulcro delle relazioni tra Cina e Bahrein, basate soprattutto sul settore delle informazioni e comunicazioni, ma anche sulla manifattura tecnologica, il montaggio di componenti di telefonia mobile. Gli sforzi bilaterali sono stati indirizzati anche nella proposta di un’area di libero scambio tra Cina e Paesi del GCC, un progetto intavolato nel 2004, ancora in fase di elaborazione, ma coincidente con le ambizioni delle parti. Di fatto, in cinque round di negoziazioni, i Paesi coinvolti hanno trovato accordi su gran parte dei punti proposti, come il libero movimento di merci e capitale, e la necessità di ripartire dopo la devastante pandemia da Covid-19 potrebbe portare a un’accelerazione delle trattative.
Per quanto quasi irrilevante se paragonato con il business portato avanti dai Paesi occidentali, c’è stato un notevole incremento degli accordi sugli armamenti tra Cina e Paesi mediorientali: tra il 2013 e il 2017, gli accordi hanno raggiunto il valore di dieci miliardi dollari, per poi proseguire sulle stesse cifre negli anni successivi. Gran parte degli affari proviene dalla vendita di UAV di fabbricazione cinese ad Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, che hanno fatto della diversificazione dei partner in ambito militare una delle linee guida della strategia dei prossimi anni. Tuttavia, va notato come gli esperti siano d’accordo sul fatto che la Cina non ha ancora l’ambizione, o l’interesse, di sostituire gli Stati Uniti nel ruolo di “gendarme” del Medio Oriente: al momento, la presenza militare cinese nella regione è limitata ai porti e alle città industriali cinesi, mentre le esercitazioni congiunte con i Paesi del Golfo sono state incentrate principalmente sull’anti terrorismo e sul contrasto alla pirateria, soprattutto nello Stretto di Hormuz, da cui passa gran parte del greggio diretto in Cina.
Fonti e approfondimenti
Al Hasawi, Saud, e KWT Army, CSAG CCJ5, “China’s relations with the Arab and Gulf States”, NESA Center, 27/3/2020.
Haedelt, Gabriella, “China’s maritime challenge to the United States in the Gulf“, Arab Center Washington D.C., 30/3/2021.
Lons, Camille, e Jonathan Fulton, Sun Degang, Naser Al-Tamimi, “China’s great game in Middle East”, European Council on Foreign Relations, ottobre 2019.
Ministero del Commercio della Repubblica Popolare Cinese, China FTA Network.
Qian, Xuming, e Jonathan Fulton. 2017. “China-Gulf Economic Relationship under the ‘Belt and Road’ Initiative”. Asian Journal of Middle Eastern and Islamic Studies. 11(3): 12-21.
Editing a cura di Niki Figus
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