Per capire l’importanza dell’Organizzazione della Cooperazione di Shanghai (OCS, conosciuta anche con la sigla inglese SCO) basta soffermarsi brevemente sulla sua “carta d’identità”. L’Organizzazione si estende da Kaliningrad a Vladivostok e dal Mar Glaciale Artico fino al Mar Cinese Meridionale e all’Oceano Indiano, su un territorio che rappresenta i tre quinti del continente Euroasiatico e ospita oltre un quarto della popolazione mondiale. Inoltre, il 25% delle riserve mondiali di petrolio e il 50% di quelle di gas sono custodite nel sottosuolo dei suoi Stati fondatori – Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tajikistan e Uzbekistan. Tuttavia, a rendere speciale l’OCS non è solo la geografia. L’OCS è anche l’unica organizzazione internazionale fondata da Pechino, nel 2001, in collaborazione con Mosca.
L’OCS: Obiettivi, valori e Stati fondatori
Per capire cosa ha portato Cina e Russia a collaborare nel cuore dell’Eurasia dalla fine degli anni Novanta, è necessario guardare al contesto storico-politico dell’area. Infatti, di fronte al disgregarsi dell’Unione Sovietica erano emerse numerose dispute per la definizione dei confini fra Paesi limitrofi, e la Cina era particolarmente coinvolta.
Pechino aveva delle controversie non solo con Mosca, ma anche con Astana, Biskek e Dushanbe. Nell’aprile 1996, l’allora Presidente della Repubblica Popolare Cinese Jiang Zemin invitò le controparti russa, kazaka, kirghiza e tajika a Shanghai con lo scopo di risolvere gli attriti e completare il processo di delineazione dei confini. Il risultato fu la creazione del cosiddetto “Gruppo dei cinque di Shanghai” e la firma di un Trattato per la costruzione della fiducia tra vicini. Un accordo rafforzato l’anno successivo con un altro Trattato finalizzato alla demilitarizzazione delle aree di confine.
Il passaggio da “Gruppo dei cinque” a OCS avvenne il 15 giugno 2001, quando fu sancita a Shanghai la Dichiarazione per la creazione dell’omonima organizzazione e anche l’Uzbekistan ne entrò a far parte. La Carta dell’Organizzazione fu poi adottata il 7 giugno 2002 a San Pietroburgo, a simboleggiare il contraltare russo al protagonismo cinese.
I principi alla base dell’Organizzazione sono il rispetto della sovranità, l’integrità territoriale degli Stati e l’inviolabilità dei confini, insieme alla non-aggressione e non-interferenza negli affari interni. Questi principi sono stati tratti dal cosiddetto “Spirito di Shanghai”, i valori che secondo il Presidente cinese Zemin avrebbero dovuto guidare tutte le relazioni tra il “Gruppo dei cinque”, sin dalla sua creazione: fiducia, uguaglianza, confronto e rispetto delle diversità culturali.
Multipolarismo, stabilità regionale e sicurezza dei confini
A tenere insieme i membri dell’OCS per venti anni non è stata però la volontà di risolvere le dispute territoriali, bensì l’opportunità di poter discutere e affrontare insieme, all’interno di una struttura multilaterale, le principali sfide dell’area.
In questo senso, la guerra in Afghanistan a partire dall’autunno 2001 e quella in Iraq del 2003, con l’arrivo delle truppe NATO e statunitensi nella regione, si sono da subito rivelate un collante efficace per gli Stati dell’Organizzazione, che si sentivano minacciati dalla presenza occidentale nell’area. A partire dal Summit di Astana del 2005, i membri dell’OCS si sono schierati per la creazione di un ordine mondiale multipolare fondato sul rispetto reciproco e la non-interferenza, condannando l’ingerenza statunitense negli affari interni degli altri Paesi.
La concessione dello status di osservatore a India, Iran e Pakistan proprio quell’anno ad Astana ha concretizzato la ferma condanna dell’unipolarità internazionale da parte dell’Organizzazione, che si è aperta per la prima volta alle altre grandi potenze emergenti della regione e ha così iniziato un processo di avvicinamento e convergenza.
Inoltre, l’OCS ha posto come priorità la messa in sicurezza dell’area dalle minacce di terrorismo, estremismo e separatismo, oltre che dai rischi legati al traffico illegale di armi e droga. Seppur per motivi diversi, infatti, nessuno degli Stati membri poteva permettersi che questo genere di infiltrazioni provenienti dal Medio Oriente superassero i loro confini, mettendo a rischio la stabilità interna. Se Cina e Russia puntavano a evitare rivolte, i Paesi dell’Asia centrale volevano tutelare la propria integrità e indipendenza.
In questo contesto, il ritiro delle truppe NATO dall’Afghanistan nel 2014 ha comportato un cambiamento sostanziale nella strategia dell’OCS. Poiché il ritiro delle truppe occidentali ha determinato un’apparente diminuzione dell’ingerenza statunitense negli affari regionali, l’Organizzazione si è data una nuova missione per il decennio 2015-2025: garantire la sicurezza regionale collaborando con tutti gli altri Stati e rafforzare la cooperazione economica e finanziaria, trasformando l’intera regione in uno spazio di pace, sviluppo economico sostenibile e progresso.
Nello specifico, le questioni che hanno dominato l’agenda dell’OCS dal 2015 in poi sono state la sicurezza dell’Asia centrale e il processo di pace in Afghanistan, l’allineamento e la collaborazione fra le iniziative economiche cinesi e russe – quali la Via della seta terrestre e l’Unione Economica Eurasiatica – e il processo di allargamento dell’Organizzazione stessa.
Cina e Russia: diversi interessi e ruoli
Nel corso degli anni, le differenze fra le agende estere dei partner sono emerse in maniera evidente e ogni Stato ha assunto un proprio ruolo distintivo all’interno dell’Organizzazione.
In tal senso, la Cina si è affermata sin dai primi anni Duemila come la principale sostenitrice di una maggiore integrazione economico-finanziaria fra i membri dell’OCS. Per Pechino, l’obiettivo è sempre stato quello di assicurarsi l’accesso alle abbondanti risorse naturali dell’Asia centrale, la diversificazione dei propri fornitori di energia e la crescita economica interna, soprattutto nella zona orientale dello Xinjiang. Nel solo periodo 2000-2010, la Cina ha aumentato di quindici volte il volume degli scambi commerciali con i partner regionali e ha investito oltre 12 miliardi di dollari nel loro sviluppo.
La rapida penetrazione commerciale cinese in Asia Centrale non è però passata inosservata. Per arginarla, Mosca ha bloccato qualsiasi proposta cinese sulla creazione di una zona di libero commercio all’interno dell’Organizzazione, e nel 2012 ha fondato l’Unione Economica Eurasiatica per favorire lo sviluppo di relazioni economico-commerciali con alcuni membri dell’OCS, quali Kazakistan e Kirghizistan, senza essere ostacolata da Pechino.
Nonostante l’ostruzionismo russo, la Cina ha continuato a rafforzare l’agenda economica dell’Organizzazione dal 2013 sotto la guida del suo nuovo presidente Xi Jinping, concentrandosi su investimenti, infrastrutture e sviluppo logistico. Del resto, l’OCS rappresentava per Pechino una piattaforma di cooperazione ideale per lanciare e supportare lo sviluppo della Via della seta terrestre.
Da parte sua, la Russia ha cercato di mantenere il ruolo di Paese leader nelle sfere politica e securitaria, senza però riuscire a ritagliarsi il ruolo di protagonista principale. Soprattutto a partire dal 2008, infatti, gran parte delle iniziative russe hanno avuto come principale obiettivo quello di non essere schiacciati dal rapido sviluppo della Cina. Anche l’invito all’India a diventare un membro effettivo dell’Organizzazione a partire dal 2014 era volto a contenere il primato cinese. In questo caso, Pechino, che si era a lungo opposta all’ingresso di Nuova Delhi, trovandosi in una posizione di svantaggio, fu costretta ad accettare, ponendo come condizione il contemporaneo ingresso del Pakistan, poi avvenuto insieme a quello dell’India nel 2017.
Quanto alla posizione russa nella sfera militare, anche in questo ambito Mosca non ha assunto un ruolo guida. Dopo aver organizzato esercitazioni militari insieme ai partner OCS negli anni Duemila, a partire dal 2012 il Cremlino ha preferito perseguire un’integrazione militare all’interno dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, che conta gli stessi membri dell’OCS tranne la Cina. Proprio come per il settore economico, anche in questo caso la Russia ha preferito portare avanti la cooperazione militare con i Paesi centroasiatici all’interno di strutture multilaterali da lei fondate e controllate, per non vedere il suo ruolo ridotto in un’area storicamente di sua influenza.
Bilanci
A venti anni dalla sua fondazione, uno dei più grandi successi dell’OCS sembra quindi quello di continuare a far convivere pacificamente Cina e Russia in Asia centrale, e costituire un’ampia piattaforma di dialogo regionale attraverso la quale tutti gli Stati membri possono armonizzare le proprie preferenze e posizioni perseguendo gli interessi comuni.
Tuutavia, la cooperazione nei fatti è risultata limitata, soprattutto perché gli interessi individuali degli Stati trainanti, Cina e Russia, hanno spesso prevalso su quelli comuni. Per quel che riguarda la questione afghana, ad esempio, entrambi i Paesi hanno preferito creare dei canali di dialogo bilaterali e multilaterali fuori dall’OCS, limitando il ruolo dell’Organizzazione a quello di luogo di scambio di visioni, consultazioni e dialogo. Anche i tentativi di armonizzazione della Via della Seta con l’Unione Economica Eurasiatica sono caduti nel vuoto, perché a nessuna delle ambiziose dichiarazioni d’intenti sono seguite altrettanto ambiziose azioni. Infatti, mancano ancora un piano di allineamento di questi due progetti di integrazione economica regionale e un’intesa sul ruolo dell’OCS in questo processo.
In conclusione, quindi, la strada che l’OCS si appresta a intraprendere è fitta di questioni aperte, soprattutto in relazione al divario politico-economico crescente fra Cina e Russia, all’incerta posizione del Kazakistan – stato centroasiatico chiave all’interno dell’Organizzazione – e alla luce dell’attuale conflitto in Ucraina. Quello che è sicuro però è che l’OCS è un canale di interlocuzione fondamentale fra Cina e Russia, e in misura minore anche fra India e Pakistan, e che non si può analizzare lo sviluppo del continente euroasiatico senza guardare ai rapporti di forza e alle relazioni intessute al suo interno.
Fonti e approfondimenti
Bayles, A. & Dunay, P. (2007), The Shanghai Cooperation Organization as a Regional Security Institution, in: Alyson J.K. Bayles and Pal Dunay et al. (eds), The Shanghai Cooperation Organization, Bromma, Stockholm International Peace Research Institute, 1-29.
Blank, S. (2012), Whither the New Great Game in Central Asia?, Journal of Euro-Asia Studies, n.3, 147-160.
Fredholm, M. (2013), Too Many Plans for War, Too Few Common Values. Another Chapter in the History of the Great Game or the Guarantor of Central Asian Security?, in: Michael Fredholm (ed.), The Shanghai Cooperation Organization and Eurasian Geopolitics. New Directions, Perspectives and Challenges, United Kingdom, Nordic Institute for Asian Studies, 3-19.
Gao, F. & Xiao Y. (2014), What Can the Shanghai Cooperation Organization and China Bring to Post2014 Afghanistan?, Asian Perspective, n.38, 519-540.
Gabuev, A. (2017), Bigger, Not Better. Russia Makes the SCO a Useless Club, Carnegie Endowment for International Peace.
Gabuev, A. & Haenle P. et al. (2017), Shanghai Cooperation Organization at Crossroad. Views from Moscow, Beijing and New Delhi, Carnegie Endowment for International Peace.
Gorenburg, D. (2014), External Support for Central Asia Military and Security Forces, Stockholm International Peace Research Institute.
Guang, P. (2007), A Chinese Perspective on the Shanghai Cooperation Organization, in: Alyson J.K. Bayles and Pal Dunay et al.(eds.), The Shanghai Cooperation Organization, Bromma, Stockholm International Peace Research Institute, 45-58.
Guang, P. (2013), The Spirit of the Silk Road. The SCO and China’s Relations with Central Asia, in: Michael Fredholm (ed.), The Shanghai Cooperation Organization and Eurasian Geopolitics. New Directions, Perspectives and Challenges, United Kingdom, Nordic Institute for Asian Studies, 20- 28.
Lanteigne, M. (2018), Russia, China and the Shanghai Cooperation Organization. Diverging Security Interests and the “Crimea Effect”, in: Helge Blakkisrud and Wilson Rowe (eds.), Russia’s Turn to the East. Domestic Policymaking and Regional Cooperation, Palgrave Pivot, pp.119-138.
Molchanov, M. A. (2017), Russia-China Relations in Central Asia and the SCO, in: David Lane and Guichang Zhu (eds.), Changing Regional Alliances for China and the West, Lanham, Lexington Books, pp. 133-150.
Perteghella, A. & Sciorati, G. et al. (2019), Summit SCO. Verso un Asse Cina-Russia?, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale.
Stronski, P. & Sokolski, R. (2020), SCO: Choosing Symbolism Over Substance, Carnegie Endowment for International Peace.
Trenin, D. (2019), It’s Time to Rethink Russia’s Foreign Policy Strategy, Carnegie Endowment for International Peace.
Weitz, R. (2018), Assessing the Collective Security Treaty Organization. Capabilities and Vulnerabilities, Strategic Studies Institute.
Wilhelmsen, J. & Flikke, G. (2011), Chinese-Russian Convergence and Central Asia, Geopolitics, n.16, 865–901.
Editing a cura di Emanuele Monterotti
Be the first to comment on "20 anni dell’Organizzazione della Cooperazione di Shanghai"