Gli interessi strategici delle politiche ambientaliste di Pechino

Energia in Cina
Una fabbrica in Cina sul fiume Yangtze - @High Contrast - CC BY 2.0 DE

Di Piero Dal Poz

Con l’elezione di Xi Jinping a Segretario generale del Partito comunista cinese (PCC), l’approccio della Repubblica Popolare Cinese (RPC) alla politica estera è diventato più assertivo rispetto al passato. Con l’obiettivo di garantire la sicurezza nazionale, Pechino non sta soltanto espandendo le proprie forze armate e conducendo grandi missioni commerciali, sta anche varando una serie di politiche energetiche profondamente strategiche.

I nuovi obiettivi di Pechino

Per decenni tra i Paesi con le più alte emissioni di CO2 nell’atmosfera e di maglie larghe in merito alle tutele ambientali, la RPC si sta posizionando in prima linea nella promozione di consistenti politiche ambientaliste. Negli ultimi due anni, il presidente Xi ha dichiarato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di avere obiettivi ambiziosi. A settembre 2020 aveva annunciato che la Cina avrebbe raggiunto l’obiettivo emissioni-zero entro il 2060.  Quest’anno ha annunciato che il Paese cesserà la produzione delle centrali a carbone all’estero. Si tratta di una dichiarazione importante, dato che tali impianti producono quasi 100 gigawatt di energia (l’energia sufficiente ad alimentare 75 milioni di case in Cina) e che esistono impianti di estrazione e combustione cinesi in oltre 20 Paesi.

Consumi e approvvigionamento energetico

Alla straordinaria crescita economica del Paese degli ultimi anni si è associata una crescita esponenziale dei consumi energetici per alimentare il nuovo sistema industriale (nel 2018 2066636 ktoe – kilo-tonnellate equivalenti di petrolio). Nel 2010, la domanda interna cinese si è alzata del 10%, facendo della RPC il più grande consumatore al mondo, superando per la prima volta gli Stati Uniti. L’Agenzia internazionale per l’energia (IEA) stima che nel 2035 il popolo cinese consumerà l’80% in più di quello statunitense.

Inizialmente, questa fame di energia veniva saziata con la cosiddetta «politica dell’autosufficienza» ideata da Mao Zedong -, che faceva affidamento sugli immensi giacimenti di carbone presenti sul suolo cinese. Tali giacimenti iniziarono a essere sfruttati solo negli anni Cinquanta e permisero a Deng Xiaoping di portare avanti con sicurezza le politiche di liberalizzazione e industrializzazione degli anni Ottanta. 

Con una domanda di energia in rapida crescita e con il lento calo della produzione delle miniere di carbone, l’autosufficienza non è stata più possibile e negli anni Novanta la Cina è diventata importatore netto di petrolio. Oggi, le importazioni cinesi di greggio viaggiano intorno alla cifra di 505 milioni di tonnellate all’anno.

Per venire incontro a queste nuove necessità, il PCC ha varato la strategia dell’«andare all’estero». Con ampi incentivi statali le aziende cinesi sono state spinte a fare investimenti nei Paesi produttori di gas e petrolio, sia nei settori dell’estrazione che in quelli della lavorazione e raffinazione. Il risultato è che oggi le aziende cinesi sono presenti in 30 Paesi produttori, in particolare nel continente africano, che ha un rapporto privilegiato con il Dragone.

La tirannia della distanza

In un mondo globalizzato in cui il 90% delle merci, petrolio incluso, viaggiano via nave, i mari possono essere sia una forza che una debolezza. La Cina è vincolata da quella che alcuni analisti definiscono tirannia della distanza”. Distante geograficamente dalle maggiori zone di produzione di fonti d’energia, Pechino dipende da lunghissime tratte marittime per i suoi approvvigionamenti, che non si limitano al petrolio ma comprendono una quantità di beni di consumo e strumentali che ammontano a 1530 miliardi di dollari annui

In particolare, Pechino dipende dal collo di bottiglia dello stretto di Malacca, passaggio obbligato tra il Mar Cinese Meridionale e l’Oceano Indiano, attraverso il quale transita il 40% dei beni mondiali e l’80% delle importazioni di petrolio della RPC. Inoltre, la Cina è in competizione con il Giappone e la Corea del Sud, altri due importatori netti che, come Pechino, dipendono dallo Stretto di Malacca. Malacca, e di conseguenza le rotte marittime, sono controllate dal diretto rivale della RPC, la marina militare statunitense e i suoi alleati: Giappone, Vietnam, Australia, India, Filippine. Ciò costituisce una possibile minaccia alla sicurezza nazionale.

Un’ampia espansione strategica

Nel corso degli anni, la dipendenza dalle rotte marittime per il proprio approvvigionamento energetico ha portato i leader cinesi ad aggiustare la politica estera per far fronte ai problemi di sicurezza energetica e nazionale. È soprattutto con Xi Jinping che l’apparato burocratico, diplomatico e militare cinese è stato messo al servizio di questi obiettivi, con un atteggiamento in politica estera maggiormente aggressivo. 

Sotto Xi, la Cina ha ingrandito la propria marina militare – la marina dell’Esercito popolare di liberazione – arrivando a 360 navi, contro le 297 statunitensi. L’obiettivo è quello di tornare ad avere supremazia sulle proprie acque territoriali e oltre, come nel Mar cinese meridionale dove da anni sta ingaggiando un’aspra disputa con i Paesi del Sud-Est asiatico. Inoltre, la Cina sta investendo 1600 miliardi di dollari nella costruzione della Belt and Road Initiative (BRI), un gigantesco piano infrastrutturale per collegare  Cina ed Europa. La BRI ha anche una parte marittima, la Collana di perle, pensata per costruire un percorso sicuro  fatto da decine di porti d’appoggio che dalla Cina conducono in Europa. 

La relazione tra politiche verdi e strategia

Anche le politiche verdi attuate negli ultimi anni da Pechino rispondono a una visione strategica. Uno degli obiettivi principali è quello di ridurre i consumi industriali. A marzo di quest’anno sono stati chiusi gli stabilimenti di estrazione (mining) di Bitcoin in Mongolia interna – una regione autonoma cinese – che da soli producevano l’8% di Bitcoin al mondo. L’estrazione di Bitcoin, infatti, è un’operazione che consuma una quantità elevatissima di energia: l’intera produzione mondiale equivale al consumo di Paesi come l’Ucraina o l’Argentina. Gli impianti sono stati chiusi perché la Mongolia interna non aveva rispettato i limiti di consumo energetico imposti dal governo. Dal settembre 2019 a oggi, la RPC è passata dall’alimentare il 75,5% delle estrazioni mondiali al 49% attuale, con l’intenzione di ridurre ulteriormente. 

Il Paese si sta candidando a diventare leader nelle tecnologie verdi e nelle fonti rinnovabili: il 70% delle batterie per auto elettriche viene prodotto in Cina; nel 2030 il 57% delle auto elettriche al mondo verrà venduto nel Paese; Pechino domina il mercato dei pannelli solari e la Banca centrale cinese rilascia ingenti somme alle aziende che vogliono investire nelle rinnovabili. Inoltre, la Cina chiuderà gli impianti di estrazione del carbone all’estero, il combustibile più inquinante. 

Tuttavia, molti osservatori sono rimasti perplessi dal fatto che nulla sia stato detto in merito alle centrali interne al Paese. Mentre all’estero vengono prodotti meno di 100 gigawatt, internamente viene bruciato carbone per un totale di 1200 megawatt. In proporzione, il contributo alla lotta al cambiamento climatico viene notevolmente ridimensionato.

Davanti a nuove sfide

Il PCC ha fatto grossi sforzi per attuare una strategia articolata e multidirezionale, con ingenti fondi alle spalle e una visione di lungo periodo, che al momento hanno pochi Paesi. Tuttavia, il cospicuo aumento a livello mondiale dei prezzi del gas, fonte su cui la RPC punta molto per diversificare i consumi, ha costretto a fare un passo indietro sulle emissioni di CO2 e sulle importazioni di petrolio. 

Per fare fronte all’attuale rincaro energetico, il governo cinese ha dato il via libera ai giacimenti carboniferi per incrementare le estrazioni per un totale di 98,4 milioni di tonnellate – pari al 30% della produzione mensile nazionale – solo in Mongolia interna. Inoltre, anche le importazioni di greggio hanno iniziato a risalire, andando a minacciare l’obiettivo di una nuova autosufficienza. 

Il piano di Xi è certamente ambizioso, ma resta da vedere quanto le sue politiche energetiche – e strategiche – reggeranno il confronto con le sfide che si porranno davanti, in un periodo che alcuni analisti hanno definito come il più importante della storia cinese dai tempi di Deng Xiaoping

 

Fonti e approfondimenti

 R. Black, “China’s net zero pledge sends ripples around the world”; Energy & Climate Intelligence Unit, 25 settembre 2020.

Cambridge Bitcoin Electricity Consumption Index, Bitcoin mining map

Cambridge Bitcoin Electricity Consumption Index, Bitcoin network power demand

Eurostat, “China-EU -international trade in goods statistics”, marzo 2021.

C. Frappi, M. Montanini, “How does China’s thirst for oil and gas impact on EU’s energy policies? The Africa and Central Asia test cases”, 2014.

D. Flicking, ‘Beijing may be more addicted to coal than oil’; Bloomberg, 6 settembre 2020.

A. Kharpal, “A major Chinese bitcoin mining hub is shutting down its cryptocurrency operations”, CNBC, 9 aprile 2021.

L. He, “China orders coal mines to increase production as power shortages bite”, CNN Business, 8 ottobre 2021.

Il Post, “Come la Cina domina il mercato delle auto elettriche”, 8 novembre 2019.

International Energy Agency,  Balances of energy consumption- China, 2018

International Energy Agency, Balances of energy consumption- United States, 2018

 B. Lendon, “China has built the world’s largest navy. Now what’s Beijing going to do with it?”, CNN, 6 marzo 2021.

M. McGrath, “Climate change: China aims for «carbon neutrality by 2060, BBC news, 22 settembre 2020.

Observatory of economic complexity; China- Yearly imports 2019

A. Paybarah, “China Says It Won’t Build New Coal Plants Abroad. What Does That Mean?”, The New York Times, 22 settembre 2021.

H. Pollitt, “Going carbon neutral by 2060 will make China richer”, CarbonBrief, 24 settembre 2020.

J. Pyper, “China Poised to Dominate EV Battery Manufacturing”, Green Tech Media, 2 maggio 2019.

Reuters, “China central bank plans fresh incentives to support green financing”, 16 giugno 2017.

 

Editing a cura di Emanuele Monterotti

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