Nei quasi sette anni dal suo lancio, il progetto geopolitico di Pechino è diventato gradualmente più complesso e dettagliato. I corridoi terrestri e marittimi prendono forma, ma la mancanza di trasparenza e di un piano definito, rendono la BRI agli occhi di molti Paesi un mezzo destinato a realizzare gli interessi nazionali e a espandere l’influenza cinese. I percorsi tortuosi devono fare i conti con le fragilità geopolitiche di Medio Oriente e Asia Centrale e i crescenti dubbi europei riguardo la penetrazione cinese nel Vecchio Continente.
La BRI è solo reti di trasporto?
La Belt and Road Initiative (BRI), è la visione geo-economica più ambiziosa della storia contemporanea e allo stesso tempo lo sforzo di politica estera “più conosciuto e meno compreso”. Originariamente volta a connettere la Cina ai mercati dell’Europa Occidentale via terra e via mare, la BRI ha ormai esteso le sue ramificazioni fino all’Africa e all’America Latina, e i suoi obiettivi vanno ben oltre le reti di trasporto.
Il progetto persegue infatti l’aumento della connettività e dell’integrazione internazionale della Cina non solo sul piano infrastrutturale, logistico e commerciale, ma anche culturale, energetico e finanziario, fino a diventare un vero e proprio strumento di politica estera.
Solo una parte degli investimenti BRI si è tradotta nella realizzazione di reti di trasporto: il 24% del totale, ovvero 301 progetti che valgono 179.9 miliardi di dollari e includono sia i trasporti su gomma sia ferroviari. Su un totale di 1.247 progetti realizzati nel mondo nel contesto della BRI, il 32% (401) riguarda tuttavia il settore energetico e ha l’obiettivo di aumentare l’interconnessione della Cina con le reti dei principali fornitori di risorse energetiche, nonché di acquisire competenze tecnologiche per gestire in modo più efficiente le proprie reti.
Sta ricoprendo un ruolo sempre più importante anche il settore delle telecomunicazioni. Ad esempio, nel 2018 è stata completata la Pak-China Optical Fibre Cable e in Africa il 70% delle reti 4G è stato realizzato dal colosso cinese Huawei.
Cina e Paesi che aderiscono alla BRI: accesso reciproco dei mercati?
Esiste un disequilibrio tra investimenti europei in Cina e investimenti cinesi in Europa. Alcuni Paesi dell’UE sono preoccupati per la mancanza di reciprocità in termini di accesso al mercato (ad esempio in settori ristretti come gli appalti pubblici, i servizi digitali, le telecomunicazioni e i servizi finanziari). Tuttavia la situazione è in via di miglioramento e ci sono prospettive positive: se da una parte gli investimenti cinesi in Europa sono calati, la Cina sta facendo allo stesso tempo degli sforzi per facilitare gli investimenti stranieri sul suo territorio.
Gli investimenti cinesi in Europa sono diminuiti a causa di controlli sui capitali da parte dello Stato cinese e dall’introduzione del nuovo meccanismo di screening per gli investimenti esteri in Europa. Infatti, da una parte Pechino ha deciso di dare priorità a investimenti statali nei settori strategici nazionali e dall’altra di ridurre gli investimenti rischiosi mossi da privati. Dall’altra, la tendenza è stata aggravata dal quadro di screening che contribuisce a salvaguardare la sicurezza, l’ordine pubblico e gli interessi strategici dell’Europa nel contesto degli investimenti esteri nell’Unione.
La Cina si è inoltre recentemente impegnata in due manovre che assistono gli investitori stranieri a ottenere parità di condizioni con le loro controparti nazionali. Innanzitutto, le liste negative dei settori vietati per gli investitori stranieri sono state snellite e il catalogo dei settori incoraggiati è stato esteso. In più, è entrata in vigore dal 1 gennaio la FIL –Foreigner Investment Law– che si propone di promuovere gli investimenti esteri in Cina, tutelando la proprietà intellettuale di società straniere e cinesi.
Il progetto più conosciuto e meno compreso
Un sondaggio pubblicato lo scorso ottobre dal governo cinese afferma che l’Italia è terza al mondo a conoscere la BRI (40%). La prima in questa classifica è l’India (50%), seguita dal Giappone (43%). Pechino si serve di questi numeri per esaltare l’immagine del suo progetto geopolitico, senza però approfondire il fatto che conoscere non significa necessariamente credere nel suo effettivo funzionamento.
Infatti la natura flessibile e adattabile dell’iniziativa, che riflette il sistema giuridico cinese meno tecnico e meno specifico, è in netto contrasto con l’approccio normativo europeo. La BRI non cerca una conformità e lascia che il progetto si adatti alle nuove situazioni. Tuttavia, questo carattere pragmatico fa crescere l’incertezza negli investitori che trovano difficile comprendere come tutto rientri nella quadro della BRI. La mancanza di trasparenza, i progetti ambiziosi senza un piano definito e l’incertezza giuridica, rende i Paesi sospettosi che la BRI sia un mezzo per soddisfare gli interessi cinesi e a espandere l’influenza di Pechino.
Wu Hongbo, inviato speciale della RPC nell’UE
La Cina tenta di assicurarsi un maggiore avvicinamento alle potenze UE promettendo un approccio più flessibile nel quadro della BRI, l’apertura dei mercati nazionali, una maggiore trasparenza degli investimenti esteri e una facilitazione delle barriere all’importazione e doganali. Inoltre, si sta impegnando per rispondere alla necessità di una maggiore comprensione investendo nell’organizzazione di eventi e alla realizzazione di attività di sensibilizzazione.
L’elezione di Wu Hongbo si può inquadrare in questo contesto. Nominato inviato speciale dalla RPC, prima di questa candidatura, nella sua carriera è stato sottosegretario per le questioni economiche e sociali presso l’Onu, ambasciatore in Germania e ha partecipato ai negoziati per la restituzione di Hong Kong alla RPC. La Cina elegge per la prima volta questa figura diplomatica che seguirà in prima persona gli affari europei e si impegnerà maggiormente per superare la crescente perplessità dei Paesi europei in merito alla penetrazione cinese nel Vecchio Continente. Queste non riguardano unicamente gli investimenti infrastrutturali nell’Europa centrorientale, ma anche quelli nel 5G e l’influenza cinese in generale.
Conclusioni
Sebbene la maggior parte dei progetti BRI intrapresi finora sia stata finanziata e sviluppata da aziende cinesi e, in particolare, dalle SOE, esistono i presupposti per cui la partecipazione ai progetti BRI diventi più internazionale e inclusiva, con un coinvolgimento maggiore nel settore privato. Le società europee continuano ad affrontare importanti restrizioni di investimento formali e informali nel mercato cinese, ma ci sono le promesse e le premesse per uniformare il campo di gioco.
Questa riflessione, che riprende e si basa sull’analisi fatta nel corso del progetto, lascia spazio a uno spunto di carattere generale: al di là delle azioni della Cina e della risposta mondiale, l’obiettivo della Belt and Road Initiative sembra essersi evoluto. L‘obiettivo più economico che mirava ad esportare la capacità in eccesso della Cina, è diventato uno strumento di soft power che oggi sembra essere disposto a scendere a compromessi e condividere benefici con altri Paesi, sempre preservando il modello “non occidentale” della BRI.
La BRI diventa il prisma con cui osservare la geopolitica cinese proiettata verso l’estero e intimamente connessa alle questioni economiche e politiche interne. Ben oltre i progetti di logistica e trasporti, la Nuova via della seta rappresenta la trama e l’ordito di tutta la diplomazia cinese.
Fonti e approfondimenti
Catherine Wang & Stuart Lau, “China strengthens Europe ties with appointment of first special envoy“, SCMP, novembre 2019.
Wang Yamei, “China’s Belt & Road Initiative gaining more overseas popularity: survey“, Xinhua, ottobre 2019.
Alessia Amighini, “Fact Checking: BRI, la nuova via della seta”, ISPI, settembre 2019.
Simone Pieranni, “La Belt and Road divide l’Ue”, Il Manifesto, 12 dicembre 2018.
Zhou Xin, “China approves new foreign investment law designed to level domestic playing field for overseas investors”, South China Morning Post, 15 marzo 2019.
Thilo Hanemann, Mikko Huotari, Agatha Kratz, “Chinese FDI in Europe: 2018 trends , and impact of new screening policies“, Rhodium Group (RHG) and the Mercator Institute for China Studies (MERICS), marzo 2019.Cecilia Ghezzi, “Gli investimenti cinesi che rischiano di spaccare l’Europa“, China Files, marzo 2019.
Belt and Road Portal, “The Belt and Road Initiative Progress, Contributions and Prospects“, 22 aprile 2019.
Commissione Europea, “Controllo degli investimenti esteri: nuovo quadro europeo in vigore da aprile 2019”, 5 marzo 2019.
Thilo Hanemann e Mikko Huotari, “EU-China FDI: Working towards reciprocity in investment relations“, MERICS, aprile 2018.