Negli Stati Uniti, in ogni stagione politica, si torna sempre a parlare di armi e delle ipotesi di stabilire una legislazione più severa in merito. Ma un decisivo intervento di gun control alla fine non riesce mai ad essere attuato, e la commistione fra politica e industria delle armi svolge un ruolo decisivo attraverso finanziamenti, influenza mediatica e difesa degli interessi economici. La NRA (National Rifle Association) è la principale lobby delle armi del Paese e svolge un ruolo di primo piano nel determinare l’andamento dell’agenda legislativa in materia di controllo delle armi, basandosi anche sull’impalcatura costituzionale statunitense.
Le questioni di natura legale
«Essendo necessaria, alla sicurezza di uno Stato libero, una milizia ben regolamentata, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto». Così recita il secondo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti. E qui trova fondamento la possibilità di operare e difendere i propri interessi da parte della NRA. Ma non solo.
La questione del controllo delle armi torna, come già detto in precedenza, ciclicamente, in un arco di tempo più o meno lungo, al centro del dibattito pubblico a stelle e strisce. Il 26 giugno 2008 la Corte Suprema, in precedenza chiamata a dirimere la questione, emise una sentenza spartiacque che pose una cesura tuttora profonda.
A Washington D.C. infatti, la Corte Suprema impose il bando sul possesso delle armi da fuoco ad uso personale, creando un caso giudiziario in grado di arrivare fino alla Corte più alta. Il bando venne dichiarato incostituzionale con una sentenza a suo favore di 5 a 4 (i giudici della Corte Suprema sono 9).
L’allora giudice Antonin Scalia, nell’opinione di maggioranza da lui redatta, scrisse che «il Secondo Emendamento protegge la libertà individuale di possedere un’arma da fuoco, non connessa con la prestazione del servizio militare, e di usare quest’arma per scopi tradizionalmente legali, come la legittima difesa personale all’interno della propria abitazione».
Il caso, noto come District of Columbia v. Heller, derivava da una causa promossa dal funzionario di polizia Dick Heller contro il governo cittadino della capitale statunitense, che aveva rifiutato a questi di tenere una pistola in casa per la difesa personale.
Radici storiche
Superate le questioni legali, tuttavia, restano quelle politiche che impattano inevitabilmente sulla vita delle persone ogni giorno. Il secondo emendamento, redatto nel 1791, trovava ragion d’essere nella storia degli Stati Uniti dell’epoca. L’emendamento affonda le sue radici infatti nelle occupazioni da parte degli imperi britannico e spagnolo. Il possesso di un’arma da parte delle milizie cittadine, durante gli anni delle grandi colonizzazioni europee, era l’unico strumento che gli statunitensi avessero per difendere territori, case e famiglie.
Tali radici storiche, utilizzate nella contemporaneità per giustificare il possesso e la libera vendita di armi, vengono utilizzate nel dibattito pubblico da un lato, per rivendicare il diritto di possessione, dall’altro, per sottolineare l’obsolescenza di tale diritto non essendoci ragioni di difesa interna.
Questo, tornando alla politica, contribuisce all’ormai sempre più grande polarizzazione nel dibattito interno fra progressisti-liberali e conservatori, fra democratici e repubblicani. Se i primi infatti vorrebbero maggiori restrizioni, i secondi restano fedeli all’interpretazione rigida del secondo emendamento e in linea di massima contrari a qualsiasi provvedimento di controllo.
Ciò, in mancanza di forti maggioranze al Congresso (al Senato specialmente), porta a uno scontro muro contro muro che non produce mai alcun effetto positivo sul controllo delle armi, il quale puntualmente viene reclamato ogni qualvolta una strage, omicidi plurimi o attacchi armati si verificano.
I numeri
Secondo un rapporto dello Small Arms Survey, gli Stati Uniti, con meno del 5% della popolazione mondiale, detengono al loro interno il 46% delle armi di proprietà civile del mondo. Sono al primo posto per il possesso di armi pro-capite nel mondo e hanno anche il più alto tasso di omicidi per armi da fuoco fra le nazioni più sviluppate.
Le stime indicano inoltre che per ogni 100 abitanti ci siano negli Stati Uniti 120,5 armi da fuoco, il che proietta il Paese al primo posto di questa “speciale” classifica. Ma molti sostenitori dei diritti sulle armi affermano che queste statistiche non indicano una relazione causale.
Negli ultimi anni, tuttavia, il numero di vittime e di stragi è aumentato in maniera sempre più preoccupante, a partire dalla strage alla Columbine High School del 1999 (cui è liberamente ispirato il film Elephant di Gus Van Sant, o presa come spunto di partenza per il documentario di Michael Moore Bowling a Columbine) dove due studenti uccisero 13 persone prima di suicidarsi a loro volta, fino alla più sanguinosa avvenuta a Las Vegas nel 2017 in cui un uomo di 64 anni, utilizzando 23 armi da fuoco diverse, sparò dalla finestra di una stanza d’hotel sulla folla radunatasi per un concerto in strada. Ben 61 persone persero la vita e altre 851 rimasero ferite.
Le uccisioni di massa sono inoltre aumentate durante la pandemia di COVID-19. A luglio, si è stimato che più di 8.000 persone sono state uccise in sparatorie nel 2021 fino a quel momento. Si tratta di circa 54 vite perse al giorno, 14 in più rispetto alla media giornaliera dei sei anni precedenti.
La forza della NRA
Secondo molti sondaggi, la maggioranza degli statunitensi sostiene un maggiore controllo delle armi. Eppure, per molte difficoltà, il Congresso non riesce a inasprire leggi e restrizioni, nonostante sparatorie di massa e numeri di omicidi che nessun altro Paese occidentale raggiunge.
Ad oggi, nel 2021, la NRA ha speso 4.250.000 di dollari in attività di lobbying, ma questo non basta per spiegare perché l’associazione sia così potente. La sentenza Citizens United v. FEC della Corte Suprema, ha infatti dato la possibilità di aprire i rubinetti per “spese indipendenti” che consentono a gruppi e individui di sostenere – o attaccare – i candidati, a condizione che tali campagne non siano condotte in collaborazione con, o su richiesta di, un candidato.
La NRA ha scommesso molto sulle elezioni presidenziali del 2016, facendo spese indipendenti per un valore di 53,4 milioni. L’associazione ha speso 14,4 milioni per sostenere 44 candidati che hanno vinto e 34,4 milioni contro 19 candidati che hanno perso, non nascondendo la sua maggiore affiliazione al Partito repubblicano.
Lo stesso tipo di operazione è stata fatta alle ultime presidenziali del 2020, ma la NRA, nel pieno di una crisi aziendale dove ha affrontato una causa di bancarotta che in ogni caso non ha portato al definitivo fallimento, ha sostenuto comunque un investimento di 23 milioni. Una cifra chiaramente minore rispetto a quella del 2016 in cui aveva fortemente appoggiato Donald Trump, primo presidente in carica a presenziare alla conferenza annuale dell’associazione dopo Ronald Reagan nel 1983.
Nonostante non sia la più prodiga delle lobby del panorama statunitense, la rete di contatti politici e finanziari stabilita a Washington, permette all’associazione di mobilitare la base di un certo tipo di elettorato in grado di portare a sua volta al voto altri elettori. I 5 milioni di iscritti (numero controverso per la mancata chiarezza sui dati) riescono a fungere da moltiplicatore elettorale, raggiungendo così i rappresentanti statali.
Attività contro l’amministrazione attuale
Negli scorsi mesi la NRA ha lanciato piani per fare pressione sul Congresso contro le misure di controllo delle armi che il presidente Biden e i democratici vorrebbero provare ad attuare. Ad aprile, il gruppo per i diritti delle armi ha annunciato, infatti, una campagna da 2 milioni di dollari per combattere l’agenda di Biden, inclusa l’opposizione al suo candidato a direttore del Bureau of Alcohol, Tobacco, Firearms and Explosives.
Più di 400.000 dollari sono stati investiti nel Maine, in West Virginia e nel Montana in pubblicità televisive che dicono “Stop al furto di armi di Biden”. Gli annunci sono progettati per influenzare i senatori i cui voti potrebbero essere in gioco mentre si svolge il dibattito sul controllo delle armi. Gli annunci pubblicitari sono diretti ad esempio al senatore democratico Joe Manchin (noto per le sue posizioni centriste), ma anche al repubblicano Patrick Toomey della Pennsylvania.
Altri sono indirizzati a Susan Collins e all’indipendente Angus King, entrambi del Maine. Altri colpiscono invece direttamente Biden, la Speaker della Camera Nancy Pelosi e il Leader della Maggioranza al Senato Chuck Schumer.
Oltre alle pubblicità televisive, la NRA ha annunciato che altri 600.000 dollari andranno alla pubblicità digitale anche in Arizona, North Carolina, Florida e Pennsylvania. Un altro mezzo milione di dollari sarà dedicato a una campagna di direct mail che colpirà anche Utah, Alaska, Wisconsin, Ohio e Indiana.
E in tutto questo, anche se una qualsiasi proposta passasse alla Camera controllata dai democratici, l’ostruzionismo repubblicano al Senato potrebbe bloccarla a sua volta, nonostante l’appoggio di tutti i democratici, che non è comunque certo. Alcuni democratici potrebbero infatti preoccuparsi dell’impatto che un dibattito sulle armi avrebbe sulle elezioni di medio termine del 2022.
Fonti e approfondimenti
Hamburger, T., “NRA launches $2 million campaign to oppose Biden gun-control agenda”, The Washington Post, 21/04/2021.
Masters, J., “U.S. Gun Policy: Global Comparisons”, Council on Foreign Relations, 14/07/2021.
Nass, D., Dugan, K., Kutsch, T., “The NRA and Gun Reform: Results in Key 2020 Races”, The Trace, 03/11/2020.
Rush, D., “Why is the National Rifle Association so powerful?”, The Guardian, 04/05/2018.
“America’s gun culture in charts”, BBC, 08/04/2021.
“Gun Rights: Lobbying, 2021”, Open Secrets.
Editing a cura di Cecilia Coletti