Il 27 giugno scorso, si è tenuto un summit a Baghdad tra l’ormai ex Primo ministro iracheno Mustafa al-Kadhimi, il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi e Re Abdullah II di Giordania. Si è trattato del quarto di una serie di incontri, organizzati a partire dal marzo del 2019, e miranti a stabilire un nuovo asse di cooperazione economica e politica, definita in termini giornalistici “Nuovo Levante” (in arabo “Al-Mashreq al-Jadeed”). Inoltre, dopo più di trent’anni, un presidente egiziano si è recato in visita ufficiale in Iraq.
I motivi che hanno spinto questi tre Paesi a cooperare sono diversi e fanno parte di un progetto che ha visto l’Iraq come principale promotore di un piano diplomatico-economico che punta a coinvolgere l’intera area mediorientale. Questo ambizioso progetto affonda le proprie radici nella storia delle relazioni tra gli attori coinvolti, mentre i possibili benefici passano, per forza di cose, anche dalle politiche delle potenze internazionali, gli Usa di Joe Biden in primis.
Il Consiglio di cooperazione araba (CCA) e le relazioni tra Iraq, Egitto e Giordania
Le origini di questa partnership trilaterale risalgono agli anni Ottanta, quando la Giordania ha iniziato a importare petrolio iracheno facilitando gli scambi attraverso il porto di Aqaba, sul Mar Rosso, e l’Iraq rappresentava la più grande fonte di rimesse per l’Egitto.
Nel 1989, è stata la volta del Consiglio di cooperazione araba (CCA), un’iniziativa promossa da Saddam Hussein per rafforzare la cooperazione economica tra Iraq, Egitto, Giordania e Yemen del Nord, in opposizione al Consiglio di cooperazione del Golfo, sostenuto dall’Arabia Saudita. Il CCA, tuttavia, ebbe vita breve a causa della sconfitta dell’Iraq nel 1991 nella Guerra del Golfo.
Negli anni Novanta, l’Iraq ha continuato a essere il secondo più grande mercato per l’export egiziano, specialmente nell’ambito del programma ONU “Oil for food” (che permetteva all’Iraq di vendere petrolio in cambio di beni umanitari, nonostante le sanzioni imposte dalla comunità internazionale); mentre la Giordania ha continuato a dipendere dal petrolio iracheno per poi rompere i legami con Saddam, con una certa riluttanza, a causa dell’invasione americana dell’Iraq nel 2003.
Non è un caso che Egitto e Giordania siano stati i primi Stati a ristabilire i legami con l’Iraq post-Saddam, prima attraverso la diplomazia e poi attraverso nuovi accordi commerciali. Nonostante ciò, lo sviluppo delle relazioni economiche tra i tre Paesi arabi è stato rallentato dalla nascita dello Stato islamico in Iraq (2014), ma già nel 2017, l’Egitto (e nel 2019 anche la Giordania), dopo la sconfitta del califfato, aveva iniziato nuovamente a importare petrolio dall’Iraq, in modo da supplire ai tagli operati dall’Arabia Saudita.
Dopo trent’anni, dunque, l’Iraq continua oggi ad avere un forte interesse a cooperare economicamente con la Giordania e l’Egitto e a rappresentare, per questi ultimi, un partner economico di primaria importanza. Tuttavia, la novità del recente partenariato risiede nel fatto che il progetto si pone anche obiettivi strategici e una visione progettuale per l’intera area del Medio Oriente, elementi prima mancanti.
Vantaggi e limiti della cooperazione economica
Da un punto di vista economico, l’Iraq vorrebbe fornire a Egitto e Giordania le sue immense risorse di petrolio e gas naturale in cambio di investimenti e manodopera. L’Iraq, infatti, nonostante la sua ricchezza di idrocarburi, resta ancora dipendente dalle importazioni di gas ed energia dall’Iran, a causa di un debole settore privato, una scarsa diversificazione della propria economia e un sistema di infrastrutture energetiche deficitario. Baghdad punta dunque a rafforzare l’integrazione economica nella regione e la sua sicurezza energetica.
La nuova partnership mira a raggiungere gli ambiziosi obiettivi prefissati sviluppando tre strategie integrate. La prima punta a collegare la città irachena di Bassora ad Aqaba, in Giordania, attraverso un oleodotto che potrebbe essere esteso, in futuro, fino all’Egitto; la seconda strategia consiste nell’elaborazione di progetti di ricostruzione in Iraq, soprattutto a livello di infrastrutture; mentre, la terza ha come obiettivo connettere la rete elettrica di tutti e tre i Paesi per ridurre la dipendenza energetica irachena dall’Iran.
Tuttavia, la situazione economica di Iraq, Egitto e Giordania potrebbe essere un ostacolo per la realizzazione di questi progetti. Lo scenario economico iracheno appare tanto complicato quanto quello politico e sociale, con un’economia quasi totalmente dipendente dalle esportazioni petrolifere alla mercé di fluttuazioni di mercato dovute al complicato panorama interno. L’Egitto ha visto un rapido sviluppo delle proprie infrastrutture, ma a fronte di un forte indebitamento verso il Fondo monetario internazionale (FMI), mentre l’economia giordana resta in una condizione di stagnazione. A fine 2020, Egitto e Iraq si sono già accordati per commerciare il petrolio iracheno con l’assistenza egiziana per la ricostruzione. È chiaro però che nel lungo periodo sarebbe necessario trovare nuove fonti di finanziamento.
Nuovi equilibri politici
Da un punto di vista geopolitico, questi accordi permetterebbero alla Giordania di eludere le conseguenze economiche dell’isolamento subìto da parte dei Paesi del Golfo – la Giordania non riceve aiuti bilaterali dall’Arabia Saudita dal 2014 – e di riacquisire importanza nelle dinamiche regionali, dopo essere stata estromessa dall’amministrazione Trump e dagli accordi di Abramo dal suo ruolo di mediatore. Anche per l’Egitto, che da sempre si considera il Paese leader del mondo arabo, sarebbe un’occasione per riproporsi come protagonista all’interno delle dinamiche regionali, un obiettivo fin dalla presa del potere di al Sisi. L’Egitto, infatti, ha avuto un ruolo di secondo piano in diversi scenari come quello siriano e yemenita. Inoltre, l’Egitto e la Giordania, vorrebbero ridurre la loro dipendenza da Riyadh, soprattutto in termini energetici e finanziari. La necessità, nel caso di Amman, invece, viene dai timori di re Abdullah II che i sauditi abbiano ordito un complotto ai suoi danni la scorsa primavera.
L’Iraq, estromesso dalle vicende mediorientali a causa della forte instabilità interna, oggi ha acquisito un nuovo ruolo di mediatore, seppure ancora debole, nella disputa tra Iran e Arabia Saudita, grazie anche alla graduale distensione dei rapporti tra Riyadh e Baghdad avvenuta negli ultimi anni attraverso accordi economici, visite diplomatiche e la riapertura della frontiera ad Arar dopo trent’anni. Con un eventuale nuovo assestamento in termini geopolitici, l’Iraq potrebbe diventare protagonista delle dinamiche mediorientali cooperando con Egitto e Giordania per ridurre la sua dipendenza, anche politica, dal vicino Iran.
Il “Nuovo Levante” e le possibili conseguenze sullo scenario regionale
È importante sottolineare che il progetto del “Nuovo Levante” fa riferimento a una regione geografica di cui fanno parte anche la Siria e il Libano. Implicitamente, dunque, come non escludeva nemmeno la visione del CCA, il progetto potrebbe mirare a coinvolgere anche questi due Stati nel lungo periodo. Gli Stati Uniti e il nuovo presidente Biden hanno accolto positivamente l’idea del progetto trilaterale e questa visione complessiva del Medio Oriente.
Il “Nuovo Levante”, infatti, potrebbe essere ben inserito nella Build back better world (B3W), la nuova iniziativa di cooperazione infrastrutturale nata nell’estate 2021 e promossa dagli USA e da Stati del G7 per contrastare la Nuova Via della Seta cinese (BRI).
Tuttavia, ci sono alcune difficoltà per la realizzazione di un “Nuovo Levante”. Innanzitutto, il coinvolgimento della Siria nel progetto è attualmente molto difficile dal momento che il regime di Bashar al-Assad rimane saldo al potere a Damasco. In secondo luogo, l’Iraq vuole continuare a mantenere un buon rapporto con l’Iran, visti i legami sociali ed economici che legano i due Paesi. Il rischio però, è che l’Iran percepisca le mosse di Egitto, Giordania e Stati Uniti unicamente come un modo per isolare Teheran.
Le ultime elezioni irachene, fissate per il 2022, ma anticipate a causa delle proteste in corso dal 2019 e condizionate da un alto tasso di astensione, hanno consegnato il Paese agli sciiti di Muqtada al-Sadr, nonostante le difficoltà riscontrate nel formare un esecutivo. Il partito di al Sadr (il Movimento Sadrista, zoccolo duro del Blocco Sairoon) è noto per le sue posizioni contrarie a ogni interferenza straniera sia americana che iraniana. E nonostante la coalizione “Alleanza di Fatah”, composta principalmente da milizie paramilitari sciite, abbia perso ben 34 seggi rispetto alle elezioni del 2018, la “Coalizione dello Stato di diritto”, anch’essa sciita e legata all’Iran, è oggi la terza forza politica irachena.
Bisognerà quindi attendere la formazione del nuovo governo per iniziare a capire quale potrebbe essere il futuro del progetto del “Nuovo Levante”.
Fonti e approfondimenti
Al-Maleki, Yesar, The promise and the pitfalls of Iraq’s tripartite New Mashreq, Middle East Institute, 29/06/2021.
De Luca, Alessia, Elezioni in Iraq: ha vinto il boicottaggio, ISPI, 13/10/21.
Harvey, Katherine & Riedel, Bruce, Can Iraq play the role of a bridge in the Gulf?, Brookings Institution, 22/04/2021.
Harvey, Katherine & Riedel, Bruce, Egypt, Iraq and Jordan : A new partnership 30 years in the making?, Brookings Institution, 02/07/2021.
Muasher, Marwan, Jordan: Fallout from the End of an Oil Era, Carnegie Endowment for International Peace, 09/06/20.
Editing a cura di Carolina Venco
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