Da ottobre 2019, in Iraq, migliaia di manifestanti si sono riversati nelle principali piazze del Paese, in quella che può essere definita la più importante ondata di mobilitazione trasversale dall’invasione statunitense del 2003, la cosiddetta Rivoluzione di ottobre («Thawra Tishreen»).
Tra le rivendicazioni del movimento vi erano le dimissioni del governo, del Parlamento e del capo di Stato, così come elezioni anticipate sotto l’egida delle Nazioni Unite, una nuova legge elettorale e l’istituzione di un tribunale speciale per i casi di corruzione.
Le mobilitazioni hanno provocato la caduta del precedente esecutivo e la successiva nomina dell’attuale premier Mustafa al-Kadhimi, il cui mandato ha avuto inizio il 6 maggio 2020. Grazie alle pressioni dei manifestanti sull’esecutivo, l’Iraq si sta preparando per le elezioni legislative anticipate del 10 ottobre.
L’adozione della nuova legge elettorale
La legge elettorale che regolerà le prossime elezioni è stata ratificata dal presidente Barham Salih il 5 novembre 2020. L’adozione di una nuova legge elettorale punta a permettere agli elettori di assegnare la propria preferenza non solo ai partiti politici, ma anche a candidati indipendenti, e a ridurre lo strapotere dei partiti tradizionali.
Dopo aver trasformato le diciotto province del Paese in ottantatré collegi uninominali da diecimila elettori, questa nuova legge non consente più ai partiti di fare campagna elettorale su liste unificate, facilitando la conquista dei seggi da parte dei partiti politici indipendenti. In passato, un partito poteva spazzare via un’intera provincia e scegliere i candidati dalla sua lista. D’ora in poi, i seggi saranno assegnati solo a coloro che otterranno il maggior numero di voti nelle liste elettorali della propria circoscrizione.
I governatorati, inoltre, sono divisi in seggi tali da garantire un 25% di elette donne. A oggi, la Commissione elettorale irachena ha dichiarato di aver registrato quarantaquattro coalizioni, duecentosessantasette partiti autorizzati e 3.523 candidati, di cui 1.002 presentati dalle coalizioni.
Tuttavia, è improbabile che i cambiamenti introdotti dalla legge elettorale possano avere un impatto negativo sui partiti più consolidati, in grado di mobilitare voti in tutte le province. I partiti che sono ben rappresentati a livello locale e hanno reti estese trarranno vantaggio dalla divisione delle province in distretti elettorali e faranno ancora meglio dove avranno forti candidati nelle aree rurali. Questo perché alcuni distretti poco popolati sono stati fusi con altri per raggiungere la soglia dei diecimila elettori.
A causa di tali fusioni, un partito che può mobilitarsi efficacemente in un’area rurale può acquisire un seggio in un distretto elettorale composto da più aree in cui potrebbe non essere altrettanto ben rappresentato. Ciò interesserà anche i distretti urbani con comunità miste. Ad esempio, a Baghdad, alcune aree con una popolazione prevalentemente sunnita sono state fuse con altre a maggioranza sciita e più popolose; questo renderà più difficile per i candidati sunniti conquistare un seggio in quelle aree, mentre prima avevano bisogno solo di voti sufficienti a livello provinciale.
Il frammentato panorama partitico
Dalle elezioni del 2018, il Parlamento è così composto: centottantasette sciiti, settanta arabi sunniti, cinquantotto curdi, quattro turkmeni e nove rappresentanti di altre minoranze.
Lungi dal rappresentare blocchi confessionali unificati, il Parlamento è segnato non solo dalle divisioni esistenti tra i gruppi confessionali, ma anche da quelle che regnano all’interno delle stesse fazioni sciita, sunnita e curda. A ciò si aggiunge la presenza dei gruppi armati che sfuggono al controllo statale e paralizzano il sistema politico.
I partiti sono divisibili in tre macro-gruppi: curdi, sunniti e sciiti. La principale coalizione curda è formata dal Partito democratico del Kurdistan (Pdk) e dall’Unione patriottica del Kurdistan (Upk), che controlla l’esecutivo e il Parlamento nel governo regionale del Kurdistan. Per le elezioni di ottobre, i due partiti hanno preso strade diverse. Il Pdk di Massoud Barzani ha formato una nuova alleanza con il movimento del clerico-sciita Moqtada al Sadr, leader del blocco parlamentare Sairoon, vincitore delle elezioni del 2018.
Delegati dell’Upk, co-guidata da Lahur e Bafel Talabani, sono andati in visita a Baghdad per formare un’alleanza con Fatah, il partito guidato da Hadi al Amiri e braccio politico delle milizie paramilitari legate all’Iran. L’Upk vuole assicurarsi che l’attuale presidente Barham Salih, politico di origine curda, resti in carica. Mentre i primi possono definirsi la coalizione “anti-Iran”, sia Muqtada Al-Sadr che Barzani godono di stretti legami con la Repubblica islamica.
All’interno della frammentaria mappa elettorale dell’alleanza sunnita sono emersi tre blocchi principalmente radicati nell’Ovest, guidati da uomini d’affari con legami nel Golfo, uno dei quali è il presidente del Parlamento in carica Mohammad al-Halbousi. Tra i leader di partito consolidati, solo l’ex primo ministro Haider al-Abadi e Ammar al-Hakim hanno formato una coalizione, la “Power of the National State Coalition”.
Il “movimento Tishreen” entra in politica
Negli ultimi mesi, alcuni manifestanti della mobilitazione di ottobre sono entrati in politica. Diversi analisti ritengono che questi nuovi gruppi potrebbero determinare un vero cambiamento nel sistema politico del Paese. Uno degli attivisti più noti, Alaa al-Rikabi, ha fondato un partito chiamato “Imtidad”. Hussein al-Gharabi, attivista e avvocato, ha co-fondato il partito National Home.
Un altro giovane attivista, Tallal al-Hariri, ha costituito il “Movimento del 25 ottobre”, nato proprio dalla mobilitazione del mese di ottobre 2019, il primo ad avere un’ampia rappresentanza giovanile. Il movimento si è definito una forza politica liberale, con una visione laica, il cui obiettivo è mettere l’economia e le aspirazioni della popolazione irachena al primo posto. Si propone di ritornare ai valori alla base delle manifestazioni, promuovendo la separazione della religione dallo Stato e opponendosi fermamente alle ingerenze iraniane in Iraq.
Questi tre partiti condividono diversi obiettivi, tra cui quello della revisione del sistema confessionale, ossia la muhasasa tai’fiyya, introdotto in Iraq dopo l’invasione americana nel 2003 per garantire una spartizione degli incarichi governativi proporzionale tra i vari gruppi etno-settari. Da allora, nepotismo e clientelismo sono diventati endemici, impedendo una distribuzione meritocratica delle cariche pubbliche e dei posti di lavoro.
#Who_Killed_Me?: la feroce repressione nei confronti degli attivisti iracheni
L’attuale contesto securitario in Iraq rappresenta uno dei maggiori ostacoli alla partecipazione politica. Dalla fine del movimento di protesta dell’ottobre 2019, la violenza contro gli attivisti è passata da uccisioni indiscriminate a omicidi mirati. Una delle principali richieste, tuttora insoddisfatte, del movimento è stata la giustizia per i manifestanti e gli attivisti uccisi. In totale, dallo scoppio delle proteste, sono circa settecento i manifestanti uccisi, mentre i feriti ammontano a quasi ventisettemila.
L’incapacità del premier al-Kadhimi di rendere giustizia ha innescato nuove mobilitazioni in numerose città, fra cui Babil, Wasit, Dhi Qar e Baghdad, sotto lo slogan «Chi mi ha ucciso?» (#Who_Killed_Me?, #من ـ قتلني؟). La morte dell’attivista di Kerbala, Ihab Al-Wazni, lo scorso 8 aprile, ha ispirato molti dei manifestanti a dichiarare il proprio boicottaggio delle elezioni.
Al-Wazni è stato ucciso a colpi di arma da fuoco fuori dalla sua abitazione, nel corso di un’imboscata tesa da uomini armati a bordo di una motocicletta. Sebbene a oggi non sia ancora chiaro chi siano esattamente i responsabili, si pensa che dietro vi siano i gruppi armati sciiti facenti parte delle Forze di mobilitazione popolare (Pmf), legate alle forze al-Quds iraniane e utilizzate da Teheran per diffondere la propria influenza in Iraq. Il governo iracheno ha quindi proceduto con l’arresto di Qassem Musleh, Comandante della tredicesima brigata delle Pmf, sospettato di essere coinvolto nell’omicidio dell’attivista.
Come Al-Wazni, secondo il Committee to Protect Journalists e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, sono stati uccisi altri trentaquattro attivisti, ottantadue in totale. Gli omicidi sembrano avere lo scopo non solo di porre fine alle mobilitazioni e intimidire il movimento di protesta, ma anche di ostacolare la capacità di quest’ultimo di offrire un’alternativa politica ai partiti in corsa.
Dato il difficile clima economico, securitario e politico, è probabile che la partecipazione elettorale sarà molto bassa. Ciò potrebbe mettere in discussione la legittimità del sistema politico attuale e portare a una nuova ondata di manifestazioni.
Fonti e approfondimenti
Al-Mukhtar, Aamer, New Political Parties Emerge Inspired by October Protest Movement, 1001 Iraqi Thoughts, 24/01/2021.
Al-Mikdam, Ali, The Ongoing Assassinations of Iraqi Activists, The Washington Institute, 26/06/2021.
Alkinani, Zeidon, Karbala’s Response to Leading Protester’s Assassination: Anti-Iran Sentiment and Electoral Boycott, IRAM Center – Center for Iranian Studies in Ankara, 03/06/2021.
Alhassan, Naufel, Changing the rules of the game: Reforming the party system in Iraq, Middle East Institute, 16/06/2021.
Schiavi, Francesco Salesio, Le fragilità politiche e sociali dell’Iraq, ISPI, 19/05/2021.
Editing a cura di Niki Figus