Diritti LGBTQ+ in Brasile: le due facce di una medaglia

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Nel 2020, il Brasile è risultato il Paese con il maggior tasso al mondo di crimini e omicidi motivati da discriminazione nei confronti della comunità LGBTQ+.

Eppure, nel 2006 Human Rights Watch lodava i “progressi esemplari del Brasile nella lotta per il raggiungimento dell’equità rispetto ai diritti della comunità LGBTQ+”, sottolineando il ruolo centrale del Paese nella creazione della normativa internazionale a tutela di questo gruppo.

Diversi fattori hanno contribuito a creare questa contraddizione, che si è acuita negli ultimi dieci anni. Gli avanzamenti legislativi non sono andati di pari passo con le prese di posizione dell’ultimo esecutivo. Soprattutto, la strumentalizzazione del tema LGBTQ+ ha acuito la polarizzazione tra i partiti politici e favorito la destra bolsonarista, a spese della comunità. 

Nonostante gli spiragli aperti dalla recente criminalizzazione di omofobia e transfobia, la sopravvivenza concreta di chi appartiene alla comunità LGBTQ+ è messa quotidianamente alla prova, oggi anche a causa della pandemia.

 

Il paradosso brasiliano: un Paese progressista

Il Brasile è considerato una nazione particolarmente avanzata nel tutelare e nel dare visibilità alla comunità LGBTQ+. Contribuiscono a dare questa immagine l’aver riconosciuto la legalità dell’omosessualità sin dal 1823 e l’essere teatro della più grande parata per il Pride al mondo. 

Il Paese, inoltre, si è distinto a livello internazionale per aver dato numerosi contributi all’eliminazione della discriminazione. Nel 2004, il Brasile ha presentato alle Nazioni Unite la Brazilian Resolution, prima proposta di risoluzione sul tema. 

Nel 2008 è stato il motore dell’approvazione della prima risoluzione su diritti umani, orientamento sessuale e identità di genere dell’Organizzazione degli Stati Americani, gettando le basi per il riconoscimento della dignità della comunità LGBTQ+ in ambito sudamericano. 

Nello stesso anno, il presidente Lula da Silva ha inaugurato a Brasilia la prima “Conferenza Nazionale di Gay, Lesbiche, Bisessuali, Travestiti e Transessuali” del Paese, un confronto diretto tra le istituzioni e le organizzazioni della comunità LGBTQ+ per realizzare politiche pubbliche e interventi volti a migliorare le condizioni di vita e i diritti dei suoi membri.

Secondo Sonia Onufer Corrêa, rappresentante brasiliana della delegazione che ha redatto i principi di Yogyakarta, la società brasiliana stava aprendo un dialogo su questi temi, dando a essi maggiore visibilità. 

 

Il lato oscuro del paradosso

Siamo un Paese che dall’esterno dà l’idea di essere aperto e accogliente, ma in realtà il Brasile è molto violento e conservatore”. 

Questo è il giudizio di Mônica Benício, vedova dell’attivista e consigliera comunale di Rio de Janeiro Marielle Franco, assassinata nel 2018 per il suo impegno nel contrastare gli abusi della polizia nelle favelas.

La violenza del Paese emerge immediatamente dalle statistiche: secondo gli attivisti, tra il 1980 e il 2006, circa 2680 persone omosessuali sono state assassinate per motivi di discriminazione, una media di 103 omicidi l’anno

Recentemente le cifre sono peggiorate: nel 2019, l’Asociação Nacional de Travestis e Transexuais (ANTRA) ha registrato 175 omicidi motivati da omo/transfobia, con condanna dei responsabili solo nel 10% dei casi. Il Brasile quindi risulta la nazione con il più alto numero di vittime al mondo per discriminazione legata all’orientamento sessuale.

Questi elementi permettono di capire perché, dei venti milioni di persone che, secondo le stime, si identificano come membri della comunità LGBTQ+, circa il 61% preferisca occultare questa informazione, almeno nell’ambito professionale.

I dati indicano una grave marginalizzazione soprattutto della comunità trans, che registra tassi altissimi di abbandono scolastico (82%) e di esclusione dal mercato del lavoro (90%).

In queste condizioni, molti membri di questo gruppo finiscono coinvolti nella prostituzione, esponendosi così al coinvolgimento nella criminalità di strada e nello spaccio. 

Questo spiega perché l’aspettativa di vita di una persona trans in Brasile sia fissata a soli trentacinque anni.

 

Intolleranza e strumentalizzazione politica  

La discriminazione verso la comunità LGBTQ+ ha radici profonde e complesse. 

Secondo l’antropologo Don Kulick, essa è legata alla persistenza della mentalità patriarcale e machista in base alla quale coloro che non rispettano i ruoli di genere vanno stigmatizzati e sono etichettati come bichas, termine fortemente dispregiativo usato per identificare le persone omosessuali. 

“La persona LGBT è considerata anormale rispetto allo standard sociale. La persona che ha un corpo politico mette a disagio” afferma Robeyoncé Lima, prima donna trans a ottenere il titolo di avvocato nello stato di Pernambuco.

Il pregiudizio esistente viene potenziato e strumentalizzato da gruppi religiosi di stampo conservatore, soprattutto evangelici, forti dell’influenza che esercitano sul Paese, che vanta il più alto tasso di fedeli cristiani di tutta l’America latina. 

Con il boicottaggio della proposta di legge che avrebbe criminalizzato l’omofobia, nel 2008, questi gruppi hanno inaugurato la loro agenda anti-LGBTQ+.

Per realizzare i loro obiettivi hanno trovato alleati politici in alcune correnti estremiste della destra, pronte a strumentalizzare questi temi per screditare gli avversari.

Secondo Silas Malafaia, leader della chiesa Pentecostale Assembleia de Deus Vitória em Cristo: “Il grande errore della sinistra è stato aver fatto di tutto per appoggiare i temi morali che il fedele cristiano rifiuta, come ad esempio aborto, ideologia gender, matrimonio tra persone dello stesso sesso, liberalizzazione delle droghe leggere, i musei queer. L’unico che parla la lingua dei cristiani evangelici è Bolsonaro. Non possiamo lasciare che la sinistra torni al potere”. Questa visione ha compattato il consenso delle frange conservatrici attorno alla figura di Jair Bolsonaro, attuale presidente del Brasile, ma alcune istituzioni giudiziarie mantengono autonomia e cercano di invertire la rotta.

 

La criminalizzazione di omofobia e transfobia

L’ultimo scontro tra bolsonaristi e potere giudiziario ha riguardato la criminalizzazione delle condotte di istigazione alla violenza e di violazione dei diritti individuali dovute a pregiudizi omo/transfobici.

Tutto è iniziato con due cause intentate, rispettivamente, dall’Asociação Brasileira de Lésbicas, Gays, Bissexuais, Travestis, Transgêneros e Intersexos (ABGLT) nel 2012 e dal Partido Popular Socialista (PPS) nel 2013. 

Queste azioni si rivolgevano al Supremo Tribunal Federal (STF) affinché obbligasse il governo a includere la categoria dei crimini motivati da omo/transfobia nella Lei do Racismo (n°7716/1989). Questa legge, approvata dal Congresso nazionale brasiliano nel 1989, già puniva le violazioni di diritti individuali motivate da discriminazione fondata su razza, colore, etnia, religione e provenienza. 

Il giudizio, iniziato nel febbraio 2019, è stato bersaglio delle critiche dei deputati bolsonaristi, secondo i quali i magistrati non potevano pronunciarsi su temi di costume. Forti polemiche sono arrivate anche dai gruppi evangelici, che hanno visto minacciata la libertà d’espressione dei fedeli che considerano peccato l’omosessualità. 

Nonostante tutto, il STF, con la sentenza emessa il 13 giugno 2019, ha accolto le domande che le erano state rivolte, affermando che omofobia e transfobia sono forme di razzismo nella sua dimensione sociale e che il Congresso deve creare una legge che le sanzioni penalmente.

Nell’attesa di questa normativa, per evitare vuoti di tutela, il STF ha dettato una disciplina provvisoria che estende a omofobia e transfobia le pene previste nella Lei do Racismo. 

E’ anche stabilito che, in caso di omicidio, la motivazione omo/transfobica costituisce motivo futile e quindi comporta un aggravio di pena per il responsabile.

Sembra però che i legislatori brasiliani non abbiano fretta di adeguarsi alla decisione del STF: nel febbraio 2019, la Comissão de Constituição e Justiça (CCJ) aveva redatto un progetto di legge sul tema, il PL 672/2019, ma la sua approvazione si è bloccata nel giugno dello stesso anno e non ha più avuto seguito.

 

Le conseguenze della pandemia

Fuori dai dibattiti che scuotono le alte sfere politiche e giuridiche, la realtà per la comunità LGBTQ+ è una lotta quotidiana per la sopravvivenza, aggravata nell’ultimo anno dall’impatto della pandemia.

Alle difficoltà lavorative proprie, soprattutto di chi è occupato in un settore di lavoro informale e vive di guadagni giornalieri, si aggiunge infatti il peso dell’isolamento.

L’inchiesta condotta da #VOTELGBT ha evidenziato un peggioramento nella salute mentale dovuto al prolungato lockdown, che i membri della comunità hanno vissuto in solitudine o in realtà familiari omo/transfobiche e discriminanti, lontano dalla propria rete di appoggio.  

L’impatto della pandemia sulla salute fisica, inoltre, è stato particolarmente grave sul gruppo trans. 

Il Sistema Único de Saúde nel 2020 riporta una diminuzione del 6,5% nel ricorso alla terapia ormonale e del 70% degli interventi di chirurgia transessuale rispetto al 2019

Con conseguenze molto gravi, secondo lo psichiatra Saulo Vito Ciasca: “Se una persona trans interrompe la terapia ormonale a causa della pandemia, tornerà ad avere le caratteristiche fisiche che non vuole…Ciò genera gravi problemi di salute mentale, aumenta il rischio di suicidio, autolesionismo, depressione e ansia”.

Di questo contesto di fragilità hanno approfittato cliniche poco specializzate, che hanno offerto operazioni chirurgiche a basso costo e con brevi liste d’attesa. 

L’Asociação Nacional de Travestis e Transexuais (ANTRA) ha denunciato come questi enti siano impreparati a dare assistenza specifica durante l’operazione e il decorso post-operatorio, mettendo a rischio la salute e la vita dei pazienti.

La dinamica brasiliana mostra che i progressi politici non bastano a dare tutela effettiva alle comunità discriminate. Nuove leggi non cancellano da sole i pregiudizi, se non accompagnate da una riflessione sociale che impedisca regressioni al mutare delle maggioranze al governo.

 

 

Fonti e approfondimenti 

Adrienne Rosenberg, The Brazilian Paradox: The Lesbian, Gay, Bisexual and Transgender Battle for Human Rights, in Revisiting Human Rights in Latin America Digest, Human Rights and Human Welfare, 2009.

Asociação Nacional de Travestis e Transexuais (ANTRA), Nota pública da ANTRA em luto por Lorena Muniz e sobre a saúde trans, 21/02/2021.

BBC News Brasil, STF aprova a criminalização da homofobia, Rafael Barifouse, 12/02/2019 – 13/06/2019.

Brasil de Fato, 10% dos brasileiros são LGBTI, mas estão sub-representados na política, Mauro Ramos, 19/06/2017.

Brasil de Fato, Violência e ódio na política afetam diretamente população LGBT, diz pesquisador, Cristiane Sampaio, 11/01/2018

El País Brasil, Maioria do STF decide que homofobia é crime, Marina Rossi, 24/05/2019

Jornal da Cidade, Projeto garante vagas para transexuais e travestis, 15/01/2020

Gênero e Número, Cirugias do processo transexualizador caem 70% em 2020 e denúncias de “esvaziamento” na saúde revelam risco para população trans, Vitória Régia da Silva, 29/01/2021

Nodal, LGBTFobia: Brasil es epicentro de otra pandemia, 19/03/2021

Supremo Tribunal Federal do Brasil, Ação direta de Inconstitucionalidade por omissão, 13/06/2019

Editing  a cura di Elena Noventa

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