La Giordania: presunti complotti e la necessità di riforme

@Dimitris Vetsikas - Pixabay - Pixabay License

Lo scorso 4 aprile, il governo giordano ha dichiarato di aver sventato un colpo di stato, architettato con l’obiettivo di minare la sicurezza e la stabilità del Regno. Tra i cospiratori è stato individuato il Principe Hamzah, fratellastro del re Abdullah II di Giordania, che insieme ad altri collaboratori è stato accusato di aver tessuto legami con “nemici stranieri”. 

Gli eventi di aprile sono sintomo della fragilità sociale, politica ed economica del regno della dinastia hashemita; tuttavia, la loro rilevanza va oltre i confini nazionali e si inserisce negli equilibri regionali.

La nascita della monarchia hashemita 

La Giordania, come altri Stati del Medio Oriente, è il frutto dell’Accordo segreto di Sykes-Picot del 1916, con il quale Gran Bretagna e Francia divisero in aree di influenza la cosiddetta Mezzaluna fertile. Tale accordo fu un vero e proprio tradimento ai danni dello sceriffo della Mecca Hussein al-Hashimi, al quale era stato promesso dagli occidentali la creazione di un grande Stato arabo in cambio del sostegno alla lotta all’Impero ottomano.

Nel 1920, infatti, la Francia attaccò il neonato Regno di Damasco di Faysal, figlio di Hussein, per garantirsi il controllo su quelle che sarebbero divenute due nuove entità mandatarie: Siria e Libano. Un anno dopo, nel 1921, la Gran Bretagna, che aveva assecondato la Francia, offrì come forma di risarcimento all’alleato Hussein l’insediamento dei suoi figli a capo dei Mandati Britannici: Abdullah nell’Emiro di Transgiordania, Faysal in Iraq e Ali nel Regno della Mecca e la Hijaz.

Mentre la monarchia hashemita in Iraq fu eliminata dal colpo di stato di Saddam Hussein nel 1958 e quella di Mecca e Hijaz dall’espansione wahabita guidata dai Saud, i discendenti di Abdullah, in particolare Re Abdullah II, regnano ancora oggi nel Regno di Giordania, divenuto indipendente nel 1946.

Il colpo di stato

La crisi di aprile è stata descritta dal re come la più difficile degli ultimi ventidue anni, perché la stabilità del Regno sarebbe stata minata sia all’interno che dall’esterno. Tra i quindici arrestati da parte delle forze di sicurezza giordane, infatti, ci sarebbero Bassem Awadallah, un ex responsabile della corte reale e ministro delle Finanze, e Sherif Hassan bin Zaid, un lontano parente del re Abdullah. A orchestrare la cospirazione sarebbe stato, invece, il principe Hamzah, figura popolare tra le tribù giordane, che ha denunciato più volte la corruzione e il malgoverno dello Stato.

Secondo i servizi segreti giordani, Hamzah avrebbe agito per sovvertire l’ordine e la stabilità della Giordania anche come rivincita personale verso il sovrano che nel 2004 lo spogliò del titolo di principe ereditario a favore del figlio Hussein. Hamzah si sarebbe poi appoggiato ai contatti in Arabia Saudita del cospiratore Awadallah per destabilizzare il Paese in un momento di vulnerabilità dovuto a pressioni internazionali. 

A preoccupare costantemente il Palazzo sono le voci per cui Israele e Arabia Saudita vorrebbero una Giordania come patria per i palestinesi attualmente residenti nella West Bank. Il disegno, sancito in particolare dall’ex presidente statunitense Donald Trump, mirerebbe a rimpiazzare gli hashemiti, custodi della moschea di Al-Aqsa, con i rivali sauditi.

Messo in un primo momento agli arresti domiciliari, il principe Hamzah è stato rimesso in libertà, soltanto dopo aver giurato fedeltà al sovrano. Gli altri due accusati sono stati invece condannati a quindici anni di reclusione con l’accusa di sedizione.

 Un “vero” colpo di stato? 

Diversi esperti della politica giordana hanno commentato le vicende di aprile. Da quanto è emerso fino a ora dalle dichiarazioni governative e dai report dei servizi segreti giordani, ci sono motivi per credere che il presunto colpo di stato sia stato ingigantito e sovradimensionato nella sua narrazione rispetto alle reali conseguenze politiche.

Secondo Tariq Tell, professore di Scienze Politiche all’Università americana di Beirut ed esperto della politica giordana, è difficile credere che sia stato architettato un colpo di stato. Piuttosto si tratterebbe di una mossa del re per risolvere la disputa relativa alla sua successione, ma le informazioni rilasciate dai servizi segreti giordani sarebbero poco chiare. Mohamed Momani, ministro delle Relazioni con i Media e della Comunicazione e portavoce del governo giordano, ha dichiarato che Bin Zaid sarebbe entrato in contatto con alcune ambasciate straniere, con l’intento di ottenere supporto una volta portato a compimento il piano. Tuttavia, Momani non ha saputo identificare le ambasciate in questione.

Inoltre, secondo Adnan Hayajneh, professore di Affari Internazionali all’Università Hashemita di Giordania, è difficile credere che potenze straniere come l’Arabia Saudita o Israele abbiano supportato i presunti cospiratori, viste le buone relazioni che questi Paesi intrattengono con la Giordania. Le relazioni tra Amman e Riyadh, nonostante alti e bassi, non senza tensioni, sono strategiche. La Giordania non può perdere il supporto saudita per le rimesse dei lavoratori giordani all’estero, mentre l’Arabia Saudita, di fronte a degli Emirati Arabi Uniti più deboli e a una nuova amministrazione americana considerata più ostile, ha bisogno di alleati nella regione. Le relazioni tra Giordania e Israele, nonostante impongano scelte impopolari a re Abdullah II, hanno condotto ad accordi che portano benefici in termini economici e di sicurezza, come l’accordo sul gas e il riconoscimento di Israele nell’ambito degli Accordi di Abramo del 2020.

Infine, anche per un altro esperto, Bessma Osmani, professore di Scienze Politiche all’Università di Waterloo e ricercatore presso il Centre for International Governance Innovation dell’Ontario, l’arresto di Awadallah sarebbe stato una distrazione tattica. Awadallah, oltre ad essere visto come un esponente della Giordania corrotta e non democratica, non avrebbe nessun legame con il principe Hamzah.

Le difficoltà di re Abdullah II

Al di là di queste ipotesi, analizzando la Giordania dal punto di vista socio-economico, sono molte altre le problematiche che re Abdullah II deve tenere in considerazione affinché la Giordania mantenga il ruolo di baluardo della stabilità regionale del Medio Oriente sotto la sua guida.

Tra i problemi che affliggono l’economia giordana figurano una crescita stagnante (in particolare nel settore del turismo, che è stato affossato dalla pandemia), l’aumento delle disuguaglianze, la disoccupazione (secondo le stime della Banca Mondiale, il tasso di disoccupazione ha toccato quasi il 25% nel quarto trimestre del 2020, mentre il tasso di disoccupazione giovanile ha toccato il 50%) e la corruzione (la Giordania occupa il sessantesimo posto su centottanta nella classifica di Transparency International). 

Inoltre, a pesare significativamente sull’economia sono i circa 1,3 milioni di rifugiati siriani, che si vanno a sommare ai circa 2,2 milioni di quelli palestinesi. Infine, la scarsità di acqua e la dipendenza da costosi import energetici di greggio e gas naturale, in particolare da Israele (la Giordania, povera di risorse naturali, al momento importa più del 93% delle sue forniture energetiche, spendendo circa 3,5 miliardi di dollari all’anno, circa l’8% del suo PIL).

A questi problemi vanno a sommarsi le proteste contro le restrizioni anti-Covid alla libertà di espressione e movimento, le misure economiche di austerità e le relazioni con Israele (oltre al riconoscimento di Israele e agli accordi sul gas, anche il recente riaccendersi del conflitto israelo-palestinese).

Quale futuro per la Giordania?

La Giordania mantiene il suo importante ruolo di tassello strategico nel Medio Oriente e continua a rafforzare le sue relazioni di cooperazione militare con gli Stati Uniti, rinnovate dal presidente Biden, ma anche quelle economiche instaurate con gli altri attori regionali: Egitto, Israele, Iraq, Palestina, Siria e Libano. Il supporto verso la monarchia, dopo gli arresti di aprile 2021, è arrivato prontamente non solo da tutti gli Stati sopracitati, ma anche da parte dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti.

Tuttavia, il futuro della Giordania non può dipendere esclusivamente dal suo ruolo di mediatore nei conflitti regionali e baluardo dell’Occidente per la sicurezza. Numerose sono, infatti, le sfide che la Giordania deve affrontare al più presto, per il proprio sviluppo sociale, politico ed economico.  

 

 

Fonti e approfondimenti

ACAPS. 2020. Jordan Overview.

Mathews, Mark, “Stable but stagnant: Transforming Jordan’s economy“, Global Risk Insights, 14/09/2021.

Nusairat, Tuqa, “Jordan was never ‘boring.’ A vibrant protest movement has been ignored for too long”, Atlantic Council, 09/04/2021.

Suleiman, Al-Khaleidi, “Jordan energy plan seeks major reduction in fuel imports, minister says”, Reuters, 07/07/2020.

Transparency International. 2020. Jordan Country Data.

UNRWA. 2018. Protection in Jordan.

Vohra, Achal, “Jordan’s King Is His Own Worst Enemy, Foreign Policy, 13/04/2021.

The World Bank. 2021. Jordan Overview.

 

 

Editing a cura di Niki Figus 

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