Le midterm election sono uno degli appuntamenti cruciali della politica statunitense: il prossimo 8 novembre gli elettori saranno chiamati alle urne per scegliere 435 rappresentanti e 35 senatori che andranno a formare il prossimo Congresso e altre cariche elettive nel Paese.
Nonostante non sia in gioco la Casa Bianca, il voto ha delle implicazioni molto forti anche per il potere esecutivo e non solo. Le midterm election, infatti, rappresentano un momento importante sia per tracciare un bilancio della presidenza democratica, sia per comprendere se il Partito repubblicano, sconfitto alle elezioni presidenziali, è riuscito a guadagnare terreno nell’opinione pubblica.
In particolare, per il GOP (il Partito repubblicano, noto come “Grand Old Party”), si tratta di un momento doppiamente decisivo. Da un lato, un esito elettorale positivo può portare a un nuovo equilibrio nei due rami del Congresso, ora in mano a un’esigua maggioranza democratica. Dall’altro, i repubblicani stanno affrontando un processo di evoluzione interna, per cui le urne saranno fondamentali per comprendere la direzione in cui si dirigerà il Partito repubblicano.
Il “nuovo” volto del Partito repubblicano
Pochi giorni dopo la sconfitta elettorale del ticket Trump-Pence, Reed Galen scriveva sul “Washington Post” che i repubblicani avrebbero dovuto decidere su che binario giocare: quello di Trump o quello degli Stati Uniti.
Le parole di Galen delineano la divisione emersa negli ultimi anni all’interno dei repubblicani. Galen infatti è uno dei co-fondatori del Lincoln Project, un PAC (“Political action committee”) formato da membri del Partito repubblicano in contrapposizione a Donald J. Trump, che in occasione delle scorse elezioni presidenziali ha deciso di schierarsi apertamente a sostegno dei candidati democratici.
A seguito dell’assalto a Capitol Hill, le divisioni si sono ulteriormente esacerbate. Tuttavia, la corrente critica nei confronti dell’ex presidente è stata progressivamente marginalizzata: uno dei momenti più significativi di questo percorso è forse la sconfitta di Liz Cheney nelle primarie repubblicane in Wyoming.
Dopo avere inizialmente promosso le politiche dell’amministrazione trumpiana, l’insurrezione ha trasformato Cheney in una delle voci più ostili a Trump nel Congresso, dove la rappresentante ha ricoperto il ruolo di vicepresidente della commissione d’inchiesta sui fatti del 6 gennaio. Sebbene avesse trionfato facilmente contro il suo avversario democratico nella tornata precedente, prima del voto Cheney è stata sfiduciata dai vertici del partito, per poi cedere il posto a Harriet Hageman, una seguace di Trump.
La presa di Trump sul GOP è più forte che mai. Lo si può comprendere guardando in tante direzioni diverse, a partire dalla Big Lie (“grande falsità”), ovvero la delegittimazione delle elezioni del 2020, sostenuta da una crescente maggioranza di candidati repubblicani in corsa per le cariche pubbliche a novembre. Oppure, restando in tema, dalla clamorosa impennata di leggi sulla voter suppression, volte a limitare il diritto di voto delle comunità di colore e più povere negli Stati a guida repubblicana.
Allo stesso tempo, è bene tenere a mente che la radicalizzazione del partito non è iniziata con Trump. Alcuni studiosi, come lo storico Jelani Cobb, fanno risalire l’alba dell’attuale GOP alla campagna elettorale di Barry Goldwater, negli anni Sessanta, quando si registrò il passaggio dei vecchi Stati confederati sotto i vessilli dell’elefante, in reazione al movimento per i diritti civili. Altri, come la storica Nicole Hemmer, vedono negli anni Novanta e nella delusione “da destra” rispetto alle presidenze Reagan e Bush I da parte delle frange religiose più estremiste il punto di svolta.
I repubblicani sul binario dell’autoritarismo
In ogni caso, non c’è dubbio che il Partito repubblicano sia oggi caratterizzato da un cortocircuito autoritario. Prendiamo ancora l’esempio della Big Lie: se i candidati repubblicani sostengono la tesi della frode, questo può essere dovuto a due ragioni.
La prima è di natura ideologica: mettono in discussione l’esito elettorale del 2020 perché convinti “in buona fede” della parola del leader.
La seconda è legata a un mero interesse personale, che si sviluppa in due sensi. Verso Trump, in quanto mostrarsi leali a chi tiene le redini può portare a un guadagno elettorale, anche alla luce della storia di Cheney. E verso gli elettori, perché la stragrande maggioranza dei sostenitori del GOP non riconosce la vittoria del ticket Biden-Harris.
In questo quadro, è difficile stabilire dei confini netti tra le due opzioni. Ciò che conta, però, è che entrambe queste spinte portano in una direzione ben distante dalla democrazia. I processi istituzionali vengono semanticamente svuotati: al loro posto, come mostra l’analisi del Center for Media Engagement dell’Università di Austin sulle ragioni che portano gli elettori a credere alla Big Lie, si è fatto strada “l’accumulo di sospetti” come scorciatoia informativa ed escatologica.
Inoltre, Trump e il Partito repubblicano sono diventati il “ponte” dei movimenti suprematisti bianchi verso la sfera pubblica mainstream, riconosciuti dal Dipartimento di Sicurezza Nazionale come “la minaccia più persistente e letale per la Patria”. Non si tratta affatto di un problema ancorato a gruppi marginali: l’utilizzo della violenza, dopo la costante legittimazione degli attacchi e degli attentati degli ultimi anni, è divenuto una questione centrale del dibattito.
Come rivela un report del Public Religion Research Institute, il 30% dei sostenitori repubblicani ritiene che “i veri patrioti statunitensi potrebbero essere costretti a ricorrere alla violenza per salvare il Paese”. Una percentuale che sale al 39% se si prendono in considerazione quanti credono che le elezioni del 2020 siano state falsate, a testimoniare il profondo legame tra i diversi aspetti.
Le questioni chiave: l’economia favorisce il GOP?
Negli ultimi decenni negli Stati Uniti è aumentata molto più che altrove la polarizzazione tra i sostenitori dei partiti ed è diventata molto più netta la suddivisione geografica del consenso dei partiti all’interno degli Stati. Secondo un recente studio, quest’ultima sarebbe addirittura ai massimi storici dall’era post-guerra civile.
Del resto, come recita un famoso adagio sul voto, negli Stati Uniti “all politics is local”, tutta la politica è locale. Sul tema, un’interessante analisi di Axios mostra attraverso le ricerche su Google significative differenze tra le priorità dei cittadini statunitensi: differenze che emergono solo tra Stati e Stati e, in alcuni casi, anche tra distretti contigui all’interno della medesima area geografica.
Tuttavia, anche in un contesto iper-polarizzato come quello a stelle e strisce, ci sono alcune questioni che prendono la scena a livello federale, poiché incontrano una preoccupazione largamente condivisa. Un sondaggio svolto da “New York Times” e Siena College rileva come, nelle fasi finali della campagna elettorale, abbiano guadagnato terreno soprattutto le problematiche di natura economica.
Lo stato dell’economia e dell’inflazione sono oggi le prime preoccupazioni dei cittadini statunitensi: rispettivamente, il 26% e il 18% della popolazione le individuano come le issues più importanti. Di conseguenza, possiamo aspettarci che avranno un grande impatto nelle considerazioni di voto.
A questo proposito, come mette in luce una recente rilevazione demoscopica di CNBC, i repubblicani hanno un certo vantaggio nei confronti dei democratici, venendo identificati come il partito che farebbe meglio nel gestire l’inflazione (42% v. 27%) e nel creare le condizioni per un aumento dei posti di lavoro (43% v. 33%). Due questioni strettamente collegate: per fare fronte all’aumento del costo della vita, una parte crescente di lavoratori statunitensi sta pensando di svolgere una seconda mansione.
Il paradosso del crimine, tra locale e federale
Un altro tema che potrebbe avere un ruolo determinante nel decidere la prossima tornata elettorale è quello della risposta al crimine. È giusto sottolineare che la percezione dei cittadini in merito viene molto influenzata dal dibattito politico: storicamente, i repubblicani hanno deciso di giocare la carta del crimine per accreditarsi agli occhi dell’elettorato bianco come l’unica forza politica in grado di garantire sicurezza.
In vista delle midterm, i repubblicani non hanno perso l’occasione di polarizzare nuovamente l’opinione pubblica. Se con le grandi ondate di proteste contro il razzismo sistemico e la brutalità poliziesca, le parole chiave di Black Lives Matters si sono imposte con forza nel dibattito, la propaganda repubblicana è tornata sui vecchi cavalli di battaglia, puntando con forza sull’ormai tradizionale retorica “legge e ordine”, mai abbandonata dal partito.
Le manifestazioni, oltretutto, non sono riuscite a influenzare che in minima parte le azioni dei democratici, l’unica forza in cui, grazie alle correnti più progressiste, è stata almeno sollevata una discussione sul tema. Per esempio, sui finanziamenti delle forze di polizia, molte città hanno optato per un deciso passo indietro davanti alle proposte emerse dopo l’omicidio di George Floyd.
Ciononostante, i repubblicani continuano a dipingere la controparte come debole sul tema del crimine, sperando che questo paghi alle urne: un comportamento paradossale, considerando la complicità sulla diffusione delle armi e nei confronti della minaccia estremista.
Come sottolineava Vox qualche mese fa, vista la centralità delle amministrazioni locali sul tema, il crimine potrebbe effettivamente rientrare tra i fattori determinanti del voto, ma su una scala più bassa. Se davvero “all politics is local”, lo si vedrà anche da qui.
Fonti e approfondimenti
Axios. “Midterm elections 2022: The issues that matter to Americans”, 24/10/2022.
Boxell, Levi, Matthew Gentzkow, and Jesse M. Shapiro, 2020, Cross-country trends in affective polarization. The Review of Economics and Statistics: 1-60.
Brennan Center. 2022. Information Gaps and Misinformation in the 2022 Elections.
Cobb, Jelani. “What Is Happening to the Republicans”, The New Yorker, 8/03/2021.
Hemmer, Nicole. 2022. Partisans: The Conservative Revolutionaries Who Remade American Politics in the 1990s. Basic Books.
Kaplan, Ethan, Jörg L. Spenkuch, and Rebecca Sullivan. 2022. “Partisan spatial sorting in the United States: A theoretical and empirical overview”. Journal of Public Economics 211: 104668.
Lemann, Nicholas, “The Republican Identity Crisis After Trump”, The New Yorker, 29/10/22.
Murray, C., Duchovnay, M., & Stroud, N. J. June, 2022. “Understanding election fraud beliefs: Interviews with people who think Trump likely won the 2020 election”. Center for Media Engagement.
New York Times, “Cross-Tabs for October 2022 Times/Siena Poll of Registered Voters”, 18/10/2022.
Philippe, Joyce, “High inflation pushes half of American workers to consider second jobs”, ABC news, 26/10/2022.
PRRI. 2021. Competing Visions of America.
Southern Poverty Law Center. 2022. The Year in Hate & Extremism Report 2021.
Zimmer, Thomas, “Republicans always choose radicalization to energize their electoral base”, The Guardian, 22/10/22.
Editing a cura di Emanuele Monterotti
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