Il Brasile si prepara al ballottaggio che il 30 ottobre definirà il futuro presidente. In lista i due candidati che hanno ricevuto il maggior numero di voti durante il primo round, ovvero il leader del Partito dei lavoratori Luiz Inácio Lula da Silva e l’attuale mandatario Jair Bolsonaro. Il clima nel Paese è fortemente polarizzato e tra le ragioni ampio spazio viene dedicato al tema della corruzione.
Diversi sondaggi mostrano infatti come sui continui casi di corruzione che emergono nel Paese ci siano posizioni alquanto contrastanti. Ad esempio, Datafolha ha registrato che il 69% dei brasiliani vede corruzione nel governo di Bolsonaro. Allo stesso tempo, però, non risulta né tra gli elettori di uno né dell’altro come uno dei tre temi centrali per la scelta del candidato. Nonostante sia appurato dalla maggioranza che siano presenti forme di corruzione nei luoghi del potere del Paese, viene data maggiore rilevanza a temi come l’educazione, la salute e il lavoro.
A ogni modo, la corruzione rimane centrale nella campagna elettorale e sia Lula che Bolsonaro sono intervenuti spesso sul tema. Oltre che per ragioni ideologiche, è alquanto delicato in quanto riguarda entrambi i candidati, direttamente o meno implicati nell’ultima legislatura in diversi casi di corruzione.
Nel corso della campagna elettorale entrambi si sono detti pronti a impegnarsi per contrastarla. Analizzando la storia di tutti i processi e quanto finora fornito dalle autorità giudiziarie, però, sembra piuttosto che il problema non sia tanto episodico quanto sistemico. E le continue ingerenze ed escamotage attuati dagli stessi non fanno credere che il prossimo mandatario riuscirà davvero a risolvere un problema che da lungo tempo affligge il Paese.
Corruzione in Brasile: quattro anni di lotta tra Lula e Bolsonaro
I temi alzati in questa agguerrita campagna elettorale si basano in particolare su questioni aperte già dal precedente appuntamento elettorale di quattro anni fa, su cui Bolsonaro ha già dimostrato di saper astutamente giocare.
Il terreno su cui agire gli rendeva la vita semplice. Un anno dopo lo scoppio del caso Lava Jato nel 2016, infatti, il suo diretto contendente d’allora (come di oggi) venne condannato con l’accusa di corruzione e lavaggio di denaro. Nell’aprile del 2018, poco tempo prima delle elezioni, Lula finì in carcere.
La notizia venne quindi usata da Bolsonaro per accertare che finalmente si era arrivati al vertice di un sistema di corruzione che, come già spiegato, riguardava una larga parte dell’apparato pubblico statale. Continuando a cavalcare l’onda giustizialista, il passo successivo fu quello di nominare l’allora giudice di Curitiba Sérgio Moro, fautore della prima condanna a Lula, come ministro della Giustizia.
Nel corso della legislatura però i fatti presero una piega diversa da quella augurata dallo stesso presidente. A 580 giorni dall’incarcerazione (l’8 novembre 2019) Lula venne infatti rilasciato. L’ex presidente si appellò alla presunzione d’innocenza fino all’ultimo grado di giudizio, come prevede uno dei principi della Costituzione brasiliana.
Questo gli permise di uscire dal carcere e organizzare la propria controffensiva in tribunale e sui giornali. Passarono due anni e a marzo del 2021 il Tribunale Supremo Federale (STF) revocò tutte le condanne a suo carico.
Il passato di Lula e la sua scarcerazione
Il leader del Pt approfittò dell’occasione per tornare ad affermare la sua innocenza di fronte al popolo brasiliano. Ma è innegabile che l’annullamento abbia solo radici procedurali. Secondo quanto pronunciato dal giudice del STF Edson Fachin (nominato a suo tempo da Dilma Rousseff), il Pubblico Ministero non è stato in grado di dimostrare che la ditta petrolifera statale Petrobras fosse coinvolta nei due processi per cui il leader socialista è stato giudicato.
Questo rese il processo, tenutosi a Curitiba, sede della Corte che ha seguito la maggior parte dei casi legati all’investigazione Lava Jato, nullo. Non avendo giurisdizione nel Distretto Federale di Brasilia (ma a Paraná), dove sarebbe avvenuto il reato attribuito a Lula, la stessa non avrebbe avuto potere di intervenire. Lo stesso giudizio venne quindi confermato in secondo grado, aggravato dalle intercettazioni legate al caso Vaza Jato che aggravarono la posizione del giudice Moro.
I critici dell’ex presidente, tra cui Deltan Dallagnol (allora procuratore capo dell’operazione Lava Jato) hanno continuato quindi a ricordare che questo annullamento non aveva di fatto provato l’innocenza di Lula. “La Corte Suprema non ha scagionato Lula. Non ha detto che non c’erano prove. Non è andata a fondo della questione” ha ribadito in un video sui social Dallagnol (ora deputato nelle fila del neonato Podemos).
Dal canto suo l’ex presidente non ha aspettato altro per appellarsi al principio costituzionale della presunzione d’innocenza: grazie a ciò una volta che viene annullato il processo viene annullata la colpa. Così Lula è tornato libero e si è potuto candidare alle elezioni di questo 2022.
La fragile e controversa risposta di Bolsonaro
Mentre Lula si prodigava nel riappropriarsi della propria credibilità di fronte al Paese, Bolsonaro non ha mai smesso di attaccare personalmente il suo avversario. Approfittando anche del sostegno del giudice Moro, l’ex militare si è autoproclamato difensore della giustizia brasiliana, affermando in più occasioni che con il suo governo si era finalmente messa la parola “fine” alla corruzione in Brasile.
I fatti, però, anche in questo caso raccontano una storia ben diversa. Nel corso del mandato i nomi dei quattro figli del presidente, Flávio, Carlos, Eduardo e Jair Renan (tre dei quali con diverse cariche pubbliche), quello dell’attuale first lady Michelle de Paula Firmo Reinaldo e quello dell’ex moglie di Bolsonaro Ana Cristina Valle (solo per citare quelli più vicini al presidente) sono finiti nel registro degli indagati della Polizia Federale. Le accuse su cui tutt’oggi si sta indagando trattano sia di corruzione ed estorsione che di casi legati alla diffusione di fake news, avvenuti per la maggior parte nei dieci anni precedenti all’elezione di Bolsonaro.
Il caso Queiroz e le conseguenze politiche
Il primo a finire sotto i riflettori fu proprio il primogenito Flávio (oggi senatore), in quello che nel corso del tempo divenne conosciuto come il “caso Queiroz”, primo e più importante dei tanti casi che riguardano il “clan” Bolsonaro. Durante dei controlli fiscali al Fabrício Queiroz, ex collaboratore e autista di Flávio, il Consiglio per il controllo delle attività finanziarie (Coaf) rilevò delle transazioni sospette destinate all’attuale first lady.
Bolsonaro rispose che si trattava della restituzione di un prestito che lo stesso aveva concesso al collaboratore, ma la sua versione non fu molto convincente. Si iniziò a pensare si trattasse dell’ennesimo caso di rachadinha, un termine già noto al pubblico brasiliano che consiste nella pratica di estorsione per cui un dirigente pubblico chiede a dipendenti e collaboratori di decurtare una parte di stipendio per mantenere la propria posizione.
Le diverse indagini ebbero un forte eco nel Paese e crearono non pochi problemi nel governo. Maurício Valeixo, l’allora direttore della Polizia Federale, venne deposto dal suo incarico per volere del presidente. La decisione, secondo alcuni dovuta dalla volontà di Bolsonaro di proteggere la sua famiglia e il suo entourage, avvenne dopo che nel mirino della polizia finirono per tante altre questioni anche gli altri suoi tre figli.
Il ministro della giustizia Moro non accolse favorevolmente questa interferenza. Preoccupato per l’ingerenza politica del presidente, lo stesso decise di dimettersi dal suo ruolo. L’attuale mandatario si ritrovò così senza una delle figure di riferimento del suo governo e punto cardine della sua narrativa anti-corruzione.
Nel frattempo, nonostante il nome del presidente sia uscito raramente durante le indagini, non sono pochi i timori che riguardano la sua rielezione. Si teme infatti che l’attuale mandatario possa intervenire nelle indagini e che usufruisca dell’immunità presidenziale per evitare di rimanere direttamente coinvolto nei numerosi casi tutt’oggi aperti.
I diversi posizionamenti in vista del ballottaggio
Di fronte a questa situazione, parlare apertamente di corruzione rimane un terreno scivoloso per entrambe le fazioni. Durante la campagna elettorale in più occasioni Lula ha ammesso che durante il suo governo quanto raccontato sulla Petrobras fosse effettivamente accaduto, mantenendo comunque ferma la sua posizione in merito alla sua innocenza.
Bolsonaro, d’altro canto, nonostante tutto ha continuato a professarsi difensore della giustizia brasiliana, sposando le tesi già espresse sul perché Lula non si possa realmente dichiarare innocente. Allo stesso tempo non si è mai però soffermato sulle sue ingerenze passate e sui casi su cui si continua ancora adesso a indagare.
I protagonisti “esterni” del caso Lava Jato, l’ex procuratore Dallagnol e l’ex giudice Moro, sono invece scesi direttamente in politica candidandosi, con successo, a un posto da parlamentari del nuovo Congresso.
Nonostante la loro burrascosa relazione passata, hanno espresso per il ballottaggio la loro preferenza per il presidente uscente. Come ricordato durante un dibattito dall’ex giudice, lui e il presidente hanno “un avversario comune”, cioè il Pt di Lula.
Lo scandalo del “Bilancio Segreto” e le implicazioni future
A favore del leader socialista si è invece schierata la terza candidata, per numero di voti, del 2 ottobre: Simone Tebet. Sul tema della corruzione è anche intervenuta in un’intervista parlando di un’altra questione che la stessa ha definito “il maggior schema di corruzione della Terra”.
Si tratta di quello che è definito “Bilancio Segreto”, ovvero una parte del bilancio federale destinata ai parlamentari per acquisti vari ma con una rendicontazione alquanto opaca. La pratica, seppur codificata da anni nel Congresso, manca di trasparenza su destinatari e motivazioni delle spese.
Tebet ne ha parlato sulla scia di un’inchiesta pubblicata da Estadão in merito all’acquisto di trattori sovrapprezzati, che ha riportato il Bilancio Segreto agli onori della cronaca. Secondo quanto affermato dalla senatrice potrebbe essere uno strumento utile per la compravendita di voti nel Congresso.
Lula, interrogato in merito, ha così affermato: “La vita politica stabilita in un regime democratico è la convivenza democratica nella diversità. Nessun presidente della Repubblica in regime presidenziale governa se non instaura un rapporto con il Congresso Nazionale”.
Fonti e approfondimenti
Mariana Schreiber, Por qué Lula pasó 580 días en la cárcel y luego su condena fue anulada, BBC news, 29/09/2022
Chris Dalby, Un breve recuento de la ‘Rachadinha’: el esquema de corrupción que agobia a Bolsonaro en Brasil, InSight Crime, 07/07/2021
Giuliana Vallone, O que é a ‘rachadinha’ e por que é tão difícil investigar casos como o de Queiroz, BBC news, 19/12/2019 (modificato il 18/06/2020)
Redazione, ‘Rachadinha’: o que aconteceu com caso que envolve filho de Bolsonaro, BBC news, 13/10/2022
Alberto García, La corrupción del clan Bolsonaro, Atalayar, 19/03/2021
Mattia Fossati, Elezioni Brasile, i magistrati di Lava Jato si schierano con Bolsonaro nonostante i sospetti di corruzione, Il Caffè Geopolitico, 20/10/2022
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