Mercoledì 20 aprile si è chiuso il VII congresso del Partito Comunista Cubano. A chiudere la fase congressuale è stato niente meno che l’ex segretario e leader maximo Fidel Castro. Ormai novantenne, Castro ha dato il suo addio al congresso con un discorso non privo di retorica ma allo stesso tempo carico di emozioni e spazi riflessivi.
“Rimarranno le idee dei comunisti cubani come prova che questo pianeta, se si lavora con fervore e dignità, è in grado di produrre i beni materiali e culturali di cui gli esseri umani necessitano. Ai fratelli dell’America Latina e del mondo, dobbiamo trasmettere che il popolo cubano vincerà”. Con una pioggia di applausi si è cosi chiuso il VII congresso.
Raùl Castro è stato riconfermato segretario, sarà ai vertici del potere fino al 2021 ma già da prima del congresso ha ammesso e confermato che il suo mandato come capo di stato e capo del governo si concluderà nel 2018.
L’annuncio di Castro riguardo la fine della sua amministrazione aveva lasciato spazio a diverse ipotesi riguardo al futuro del paese, in buona parte smentite dall’esito del congresso. La sua elezione a segretario rimette ordine e prova che la presa dei Castro su Cuba è ancora salda. Un congresso a porte chiuse ha ribadito che Cuba gestirà da sola e senza ingerenze estere la nuova fase di transizione ed apertura al resto del mondo. E’ ormai certo che sarà una politica riformista ad accompagnare il graduale ricambio generazionale previsto per il 2018 e non un brusco e immediato cambio di leadership.
La recente visita di Obama a Cuba, 88 anni dopo l’ultima visita di un presidente USA, ha lanciato ai cubani una promessa di apertura e cambiamento nelle relazioni fra i due paesi. “Sono venuto qui a sotterrare gli ultimi rimasugli della guerra fredda nelle Americhe. Sono venuto qui a stendere una mano amica al popolo cubano“. Se la retorica accomodante utilizzata dal Presidente è riuscita nel suo intento di scaldare la platea, la vera carta vincente di Obama è stata la promessa di agire sul congresso affinchè l’embargo (bloqueo per i cubani) adottato nel 1960 venga eliminato, in quanto “rimasuglio della guerra fredda”. L’azione spetta tuttavia al congresso degli Stati Unti, all’interno del quale non sembra profilarsi l’idea di una maggioranza che appoggi tale revoca.
Nonostante el bloqueo sia particolarmente incisivo e nonostante la sua durata oramai sia decennale, l’economia cubana resiste con un tasso di crescita del pil del 4% nel 2015. Forse alla base di un fallimento economico non scaturirà obbligatoriamente un fallimento diplomatico e politico. Cuba dovrà gestire la transizione all’apertura in modo tale da non svendere le conquiste sociali raggiunte (nonostante tutto) in decenni di socialismo, tra queste la sanità e l’istruzione pubblica. Allo stesso tempo dovranno nascere e crescere sull’isola le condizioni da molto tempo richieste di maggiore pluralismo e “svecchiamento”della dirigenza, troppo legata all’elite militare, oramai composta da ultra ottantenni.
Se davvero Castro lascerà la presidenza nel 2018 si aprirà una fase delicatissima di transizione ma non è detto che questa fase sarà sinonimo di allentamento politico.
La costituzione cubana stabilsce che il presidente del consiglio di stato è capo supremo delle forze armate. L’elite militare non resterà certo immobile e cercherà in tutti i modi di mantenere il predominio sulla politica cubana. Resta da capire ovviamente quale sarà la posizione che adotterà il dimissionario Raùl Castro, diverse sono le personalità che emergono già da oggi, da un lato le già citate elite militari, dall’altro volti giovani dell’amministrazione dello stato. Castro dovrà giudicare se appoggiare un candidato allineato alla sua dinastia o puntare su un volto nuovo che tantissimi cubani (soprattutto i giovani) chiamano a gran voce.
Un giovane politico che potrebbe diventare il nuovo volto di Cuba, Miguel Diaz-Canel
Il volto “lindo” della politica cubana, tra i più importanti uomini politici cubani della nuova generazione. I suoi 56 anni sono molto apprezzati dai cubani che hanno visto con Obama per la prima volta un politico lasciare la carica a 54 anni.
Diaz-Canel, già vicepresidente cubano, ha inoltre raggiunto un’ulteriore posizione di rilievo venendo eletto nell’ufficio politico del Partito Comunista, la sua carriera insieme al suo look nuovo lo rendono molto attraente per i cittadini di Cuba. Le sue aperture alla libera navigazione in rete e alla musica occidentale hanno affascinato i giovani, le sue origini e il suo basso profilo gli garantiscono il rispetto sia degli adulti che dei dirigenti sempre guardinghi verso personalità troppo carismatiche.
Il percorso che Cuba sta per intraprendere corre su due binari: il primo verte sulla politica estera mentre il secondo è quello della politica interna. I dirigenti cubani dovranno essere esperti nel combinare le due cose, se da un lato sarà inevitabile un incremento dei rapporti esteri e una nuova organizzazione dell’economia così come l’accettare che i nuovi costumi esplodano fra i giovani, dall’altro senza ingerenze esterne dovranno applicare scelte originali e autonome per una nuova amministrazione. La posta in gioco è alta, sapremo di più nel 2018 con l’elezione del presidente, sapremo ancora di più nel 2021 quando si dovrà eleggere un nuovo segretario del Partito comunista.