Giovedì è stata pubblicata una versione rimaneggiata, per motivi di sicurezza, del rapporto Mueller sul Russiagate e sulle possibili azioni di interferenza legale perpetrate da Trump sull’indagine. L’attorney general, William Barr, aveva già anticipato qualche settimana fa tutto il rapporto con un breve riassunto di quattro pagine, ma si vedeva come dall’indagine non fossero risultate prove di una collusione tra Russia e comitato elettorale di Trump. Allo stesso tempo si sosteneva che non vi fossero prove per dimostrare un tentativo di ostacolare la giustizia da parte del presidente stesso, escludendo dunque alcuna incriminazione formale, anche se molti aspettavano il rapporto completo per essere sicuri di tutto.
Le oltre 400 pagine hanno infatti dimostrato che non era tutto così limpido e molti eventi scottanti sono stati rivelati dal rapporto. La parola “assenza di prove” è centrale per leggere a pieno questa situazione: non si esclude totalmente la colpevolezza, ma non vi sono abbastanza prove per certificarla.
Per capire a fondo questo dato bisogna tornare al 1972 e allo scandalo Watergate il quale è iniziato con un pezzo di scotch sulla serratura della porta del comitato elettorale democratico a Washington, la quale doveva rimanere aperta per permettere agli uomini di Nixon di piazzare delle cimici.
Questo piccolo pezzetto di plastica è stato un dettaglio che insieme ad altri piccoli elementi ha fatto cadere Nixon. Per quale motivo a 47 anni di distanza dobbiamo tornare proprio a questo piccolo elemento? Perché in fondo il rapporto Mueller ci dice che al Russiagate manca quel pezzo di “scotch” per trasformarsi nel Watergate e dato che, per fortuna di Trump, quell’elemento non è stato trovato, non si trasformerà mai in una valanga come quella del ’72.
Questo non vuol dire che quel documento non ci racconta molto del presidente, della sua amministrazione e che, se letto bene, non possa suggerire ai suoi avversari un modo per sconfiggerlo e una serie di cose da non fare per evitare di consegnargli un nuovo mandato nel 2020.
Il rapporto Mueller
Le 448 pagine del documento ci narrano con attenzione tutte le vicende legate alla Russia, alla squadra di Trump e alle risposte emotive del presidente. Un quadro inquietante non tanto per i possibili crimini, che come abbiamo già detto sono difficilmente perseguibili data la mancanza di prove, ma per la descrizione dell’attuale situazione all’interno della Casa Bianca.
Il presidente degli Stati Uniti, l’uomo più potente del pianeta, viene descritto come un bambino capriccioso che non ha il minimo controllo del proprio staff e che si lascia andare a furiose crisi di rabbia e di disperazione. Un bugiardo cronico che dispensa menzogne al pubblico e che chiede ai propri assistenti di suffragarle una volta dette. Quello che è certo è che Il suo staff sicuramente non fa una figura migliore dato che dalla descrizione fatta esso risulta essere più intento ad arraffare potere e denaro.
I due eventi che più di tutti colpiscono nella vicenda sono forse il momento della nomina di Robert Mueller come special councel per l’investigazione e quello in cui Trump, durante la campagna elettorale, chiede a Flynn di trovare le mail trafugate alla Clinton. Flynn è stato incriminato per questa sua ricerca e per i vari rapporti che ha costruito per mettere in piedi una squadra che potesse portargli i documenti trafugati: Trump non può essere incriminato per questo perché non ci sono altre prove oltre alla testimonianza di Flynn riguardo a questa richiesta. Testimonianze valide non risultano esserci, ma che un candidato presidente possa anche solo pensare di utilizzare questa strategia fa sgomento, anche pensando al fatto che nelle prossime elezioni Trump avrà a disposizione i report dei servizi segreti sui propri avversari.
Il momento della scelta di Mueller come special counsel è forse il passaggio più problematico per la democrazia americana. Trump in una discussione con il suo ex attorney general, Jeff Sessions, lo accusa direttamente di averlo tradito avendo lasciato l’indagine per un rischio conflitto di interessi. Il presidente voleva che Sessions rimanesse al suo posto come supervisore dell’indagine, così da poter scegliere un investigatore amico e poi influenzare e conoscere passo passo lo stato del procedimento. Per la possibilità di incriminazione vale lo stesso ragionamento precedente, ma l’immagine di Trump che individua l’attorney general come uomo da usare contro l’apparato di giustizia fa capire bene come questo gesto rappresenti la distruzione del bilanciamento di potere, ovvero uno dei principi fondanti degli Stati Uniti.
Vincitori e vinti
All’indomani della pubblicazione del rapporto, con tutto il mondo politico americano intento a leggersi le 448 pagine, non resta che chiedersi chi sono i vincitori e gli sconfitti in questa indagine.
Trump è sicuramente, per l’assenza di condanne, tra i vincitori, ma allo stesso tempo è duramente colpito dall’immagine che ha dato. Le vicende raccontate in precedenza non sono state narrate in un bestseller da qualche giornalista che potrebbe aver romanzato, ma sono state descritte da uno dei più seri rappresentanti dell’apparato statale americano, Robert Mueller. Questa certificazione ridicolizza il presidente e in qualche modo avrà effetti a lungo termine su di esso. Il consenso di Trump attualmente cresce grazie all’economia in trend positivo, ma le parole vergate a fuoco di Mueller potrebbero aver già creato una crepa profonda nella narrazione del presidente per la campagna 2020.
Un altro gruppo di vincitori è sicuramente rappresentato dagli uomini dell’apparato giudiziario americano, nelle vesti di Mueller stesso. Il rapporto racconta di vari personaggi a diversi livelli che si sono opposti alle volontà del presidente costringendolo alla famosa frase “I’m fucked up” quando gli fu negata la possibilità di chiudere anzitempo l’indagine. L’unico che potrebbe risultare uno sconfitto di questa situazione è il nuovo attorney general, Barr, che con le 4 pagine di riassunto che annullavano il rapporto Mueller ha distrutto la propria credibilità e ha certificato il fatto che l’attuale Segretario alla Giustizia lavora per il presidente, come ha sempre voluto Trump.
I Repubblicani e i Democratici si possono dividere in parti uguali vittorie e sconfitte per varie ragioni. I primi sicuramente possono bearsi della mancata condanna di Trump, un presidente condannato per queste accuse rappresenta la morte politica del partito che lo sostiene, ma allo stesso tempo sono degli sconfitti della politica in quanto hanno totalmente fallito nel ruolo di corpo intermedio, lasciando il presidente libero di fare qualsiasi cosa. I Democratici, invece, hanno sicuramente perso nella dimensione in cui vedevano nell’inchiesta Mueller un’occasione per distruggere Trump e nel Russiagate una scusa per non ammettere di aver perso le elezioni 2016 per errori propri, ma hanno vinto nella misura in cui quel rapporto è stato fatto ed è adesso nelle loro mani.
Conclusioni
Il Watergate ha segnato un’intera generazione di politici americani e ha lasciato una ferita indelebile nella democrazia americana. Il Russiagate probabilmente non avrà gli stessi effetti, ma resterà a monito di un sistema democratico che ha mostrato delle debolezze cruciali. Riguardo al rapporto tra queste due inchieste forse sarebbe il caso di tornare a quel pezzetto di scotch e chiedersi se gli Stati Uniti hanno veramente compreso che in fondo mancava solo un dettaglio, un pezzo di scotch, per dimostrare che l’intero sistema democratico era stato frodato da una campagna elettorale.
Nonostante questi interrogativi, adesso la partita si giocherà tutta nelle prossime elezioni americane del 2020, anche se potrà svilupparsi prima con una possibile richiesta di impeachment dei democratici per alcuni passaggi del rapporto. Il Russiagate e le vicende del rapporto Mueller saranno ancora argomenti chiave nella narrazione dei Democratici e dei Repubblicani o invece ci si concentrerà su temi più politici?
Fonti e approfondimenti:
IL TESTO COMPLETO DEL RAPPORTO:https://www.nytimes.com/interactive/2019/04/18/us/politics/mueller-report-document.html?emc=edit_cn_20190418&nl=politics&nlid=8796220420190418&te=1.
The Hill, Mike Lillis e Olivia Beavers,Mueller report poses new test for Dems, 19 Aprile. https://thehill.com/homenews/house/439649-mueller-report-poses-new-test-for-dems
The Hill, Brett Samuels, Trump: Some statements about him in Mueller report are ‘total bulls—‘, 19 Aprile, https://thehill.com/homenews/administration/439683-trump-claims-some-statements-about-him-in-mueller-report-are-total
The Hill, Morgan Chalfant and Jacqueline Thomsen, Five takeaways from Mueller’s report, 19 Aprile, https://thehill.com/policy/national-security/439636-five-takeaways-from-muellers-report