Il 24 settembre, dopo avere ventilato l’ipotesi già durante lo scandalo conosciuto con il nome di Russiagate, Nancy Pelosi e i Democratici hanno formalizzato l’inchiesta sul Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, finalizzata all’apertura di una procedura formale di impeachment.
La Casa Bianca, infatti, è stata investita da un terremoto di non poco conto quando, a settembre, un cosiddetto whistleblower – ovvero un informatore segreto – ha rivelato informazioni sul presunto tentativo, da parte di Trump, di esercitare pressioni sul presidente dell’Ucraina affinché questi svolgesse un’indagine sul rivale Democratico, e possibile sfidante nel 2020, Joe Biden. In particolare, Trump ha accusato – senza però alcuna prova concreta – Joe e suo figlio Hunter di corruzione, a suo dire avvenuta tramite la compagnia energetica ucraina per cui Hunter lavora, e ha chiesto a Zelensky, Presidente dell’Ucraina, di investigare.
Da allora, si è avviato un terremoto politico che sta squassando le fondamenta della politica americana e che non accenna a fermarsi. Ogni giorno affiorano nuove notizie, dettagli e conferme, con Trump che si trova ormai in una posizione di grande difficoltà.
La rivelazione del primo whistleblower e lo scoppio del caso
Un riassunto dei fatti, che hanno travolto il flusso di notizie nell’ultimo mese, è necessario, partendo dal momento chiave, ovvero dalla rivelazione del presunto quid pro quo.
A settembre, un informatore anonimo ha rivelato di essere a conoscenza di una telefonata avvenuta tra Trump e Zelensky, in cui il primo ha esercitato pressioni affinché Zelensky iniziasse un’investigazione privata su Biden come “favore personale”. Contestualmente, Trump stava utilizzando la sospensione di 400 milioni di dollari in aiuti all’Ucraina come leva per influenzare la trattativa politica.
Il 24 settembre, la Casa Bianca ha rilasciato un memorandum della telefonata. Non tanto una trascrizione parola per parola, quindi, quanto una testimonianza degli incaricati all’ascolto e alla registrazione delle telefonate. Un documento comunque attendibile, considerata la fonte, che esplicita chiaramente le pressioni esercitate da Trump su Zelensky. Alludendo alla questione degli aiuti, Trump continua poi dicendo «Vorrei che ci facessi un favore». E ancora: «Si parla molto del figlio di Biden, che Biden abbia fermato l’accusa […] quindi qualsiasi cosa tu possa fare col Procuratore Generale sarebbe grandiosa». Chiude, poi, con: «Inoltre, ti chiedo gentilmente se hai ulteriori informazioni che puoi fornirci».
Il trascritto lascia poco spazio ai dubbi. Nonostante ci siano diversi omissis e nonostante sia assicurato che, provenendo dalla Casa Bianca, Trump e il suo staff abbiano cercato di limitare i danni, il testo lascia intendere in modo molto chiaro che Trump ha messo pressione all’Ucraina per aprire un’investigazione su Biden. Il Presidente statunitense ha imposto un quid pro quo a un leader straniero, utilizzando la propria posizione per il proprio tornaconto personale. Lo stesso 24 settembre i Democratici hanno avviato, quindi, un’indagine formale per l’impeachment a Trump.
I fatti successivi al 24 settembre
Nonostante Zelensky, Trump, e altri consiglieri come Pence o Giuliani abbiano negato che la richiesta possa essere considerata un quid pro quo, altre rivelazioni hanno complicato la posizione della Casa Bianca.
Nell’ordine:
– Trump ha rilasciato un video su Twitter in cui ha chiesto a Cina e Ucraina di investigare Biden;
TRUMP calls for Ukraine and China to investigate the BIDENS:
“If they were honest about it, they’d start a major investigation into the Bidens. It’s a very simple answer. They should investigate the Bidens. … Likewise, China should start an investigation into the Bidens.” pic.twitter.com/7tGxTeQVx8
— JM Rieger (@RiegerReport) October 3, 2019
– Sono nati dei sospetti che Trump abbia esercitato lo stesso tipo di pressioni anche su Italia, Australia e Gran Bretagna;
– La Casa Bianca ha annunciato una posizione di “non collaborazione” con le indagini;
– Sempre la Casa Bianca ha provato a imporre il silenzio a un testimone chiave, l’ambasciatore in Ucraina Sondland, che aveva ricevuto un mandato di comparizione;
– Sono stati pubblicati alcuni messaggi tra Trump e Sondland, in cui i due discutono delle pressioni all’Ucraina e in cui Sondland scrive: «Il Presidente è stato chiaro, non c’è nessun quid pro quo»;
– Sondland ha ignorato l’ordine della Casa Bianca di non comparire e testimonierà davanti alla Camera. Probabilmente Sondland dichiarerà che è stato Trump stesso a imporgli di scrivere il messaggio in cui egli nega che l’interazione con l’Ucraina si configuri come quid pro quo.
“The U.S. ambassador to the European Union, Gordon Sondland, intends to tell Congress this week that the content of a text message he wrote denying a quid pro quo with Ukraine was relayed to him directly by President Trump in a phone call.”https://t.co/88ZlxYj1k0
— David Jolly (@DavidJollyFL) October 13, 2019
La posizione dei Democratici e l’inizio dell’inchiesta
La pubblicazione della trascrizione pubblicata dalla Casa Bianca il 24 settembre ha quindi imposto l’avvio, da parte dei Democratici, dell’inchiesta per l’eventuale impeachment a Trump. Tre i motivi principali: in primis, la forte pressione della base, spinta dall’indignazione nei confronti di un Presidente che continua a dimostrare noncuranza per le regole del gioco democratico.
In secondo luogo, c’è la percezione che sia responsabilità dei Democratici quella di proteggere la democrazia americana da un presidente che sta abusando del suo potere. Il momento richiede di imporre dei limiti alle azioni al presidente, utilizzando l’impeachment non solo come strumento legale – dopotutto Trump ha infranto la legge – ma anche come strumento politico, ovvero come strumento di accountability nei confronti del Presidente statunitense.
Infine, il Partito Democratico si sta muovendo forte di numeri che segnalano un consenso crescente, tra l’elettorato, per l’avvio della procedura di impeachment. A proposito di quest’ultimo punto, è interessante analizzarlo in relazione a quanto successo durante il Russiagate, perché il consenso sulla messa in stato d’accusa di Trump sta aumentando anche oltre i confini del solo elettorato democratico.
Durante il dibattito sul Russiagate, infatti, l’ago della bilancia sull’eventualità di avviare la procedura di impeachment non si era mosso sensibilmente. Lo scandalo sull’Ucraina, invece, sta avendo una portata maggiore e il consenso sull’impeachment sta diventando più ampio e trasversale: la maggioranza degli americani supporta questa misura, il trend è in ascesa e, soprattutto, sta coinvolgendo sia gli Indipendenti (il 45% ritiene che Trump abbia commesso un abuso di potere) sia i Repubblicani (30%).
By a 52-21 margin, Americans think asking Ukraine to investigate Biden is an abuse of power, per USAToday poll.
The gap among independents is huge: 45%-16%.
It’s even close among Republicans: 30%-40%.
Doubling down like this is … unbelievably risky. https://t.co/PDVrJrMxSB
— Derek Thompson (@DKThomp) October 3, 2019
Il ruolo dei Repubblicani nell’impeachment a Trump
Qualche parola merita di essere spesa anche sul ruolo che i Repubblicani giocheranno nella partita politica dei prossimi mesi che, con ogni probabilità, porterà all’avvio della procedura formale di impeachment.
Se Trump dovesse essere messo in stato d’accusa, e se la Camera (controllata dai Democratici) dovesse esprimere un parere favorevole alla deposizione del Presidente una volta chiusa l’indagine, la palla passerebbe al Senato. La camera alta è però sotto il controllo dei Repubblicani, 53-47, e per confermare l’eventuale risultato della Camera servirebbe una maggioranza qualificata dei 2/3 dei voti: 20 senatori del GOP dovrebbero quindi votare per destituire Trump.
Ad oggi, non ci sono segnali particolari che questo possa succedere. Nessun senatore Repubblicano, per ora, ha fatto dichiarazioni o rilasciato commenti che aprano all’eventualità. Lo stesso, però, si può dire del contrario: i Repubblicani sembrano più che altro in attesa di avere un quadro chiaro, e sviluppi futuri nelle indagini o una crescita del consenso tra l’elettorato potrebbero portare alla formazione di una maggioranza silenziosa nel Partito per, eventualmente, collaborare coi Democratici sull’impeachment.
Sono stati gli stessi Repubblicani, d’altronde, a dichiarare durante il Russiagate che l’impeachment a Trump sarebbe stato una misura accettabile, certo, ma solo in caso di quid pro quo. Al contempo, il fatto che il loro elettorato stia dando i primi, tenui segni di vita sul tema potrebbe portare parte del GOP a riconsiderare la propria posizione. Ad oggi l’eventualità è ben lontana dal concretizzarsi, ma l’inchiesta sta prendendo una piega estremamente sfavorevole per Trump, e non è detto che il Partito Repubblicano sarà disposto a immolarsi per la difesa di un presidente che non ha mai nascosto di non avere molto a cuore gli interessi del GOP.
Conclusioni
I prossimi mesi saranno molto combattuti, senza alcun dubbio. L’impeachment è un tema delicato, considerato estremamente divisivo in quanto extrema ratio politica in un sistema democratico. Inoltre, è difficile immaginare che Trump non userà ogni mezzo, anche non del tutto lecito, se necessario a mantenere la propria posizione. La Casa Bianca probabilmente cercherà di ostacolare le indagini e il Presidente non esiterà a utilizzare la retorica divisiva che lo contraddistingue per provare a mobilitare il suo elettorato e rendere la partita politica il più dura possibile.
Come detto, due saranno i punti chiave: gli sviluppi dell’indagine e il ruolo dei Repubblicani. Sul primo, tutto sembra apparecchiato per raccogliere un numero più che sufficiente di prove per legittimare l’apertura della procedura di impeachment da parte dei Democratici. C’è da scommettere infatti che nelle prossime settimane affioreranno nuovi dettagli in grado di mettere in ulteriore difficoltà Trump.
I Repubblicani sono invece la variabile più difficile da prevedere, nonché quella più importante per il successo dell’operazione politica. Senza un loro voto favorevole, Trump manterrà la carica di Presidente, a prescindere da quella che sarà la verità che uscirà fuori dalle indagini. Se, però, Trump dovesse riuscire a uscire indenne anche da un quid pro quo comprovato, a essere messo in discussione non sarebbe più il Presidente degli Stati Uniti, ma l’intero apparato democratico americano e la sua tenuta istituzionale. Anche nell’ottica di un’ipotetica sconfitta di Trump alle elezioni del 2020, riportare l’attuale Presidente a sottostare alle regole del gioco democratico potrebbe essere fondamentale per assicurare una transizione politica e istituzionale priva di conflittualità.
Fonti e approfondimenti:
“14 Answers to the Impeachment Inquiry, and What May Come Next”, The New York Times, 26/09/2019
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