La Spagna fu governata dal generale Francisco Franco dalla vittoria nella Guerra Civile del 1939 fino alla sua morte, avvenuta nel novembre del 1975. Questo ne fa la più longeva e l’ultima dittatura dell’Europa occidentale. La transizione alla democrazia avvenne pacificamente, in una storia costellata da contraddizioni, ma anche da grande coraggio e lungimiranza.
Breve storia del Franchismo e del suo leader
La vittoria dello schieramento conservatore nella guerra civile del 1936-39 portò alla guida dello Stato spagnolo il generale Francisco Franco, all’epoca capo dell’esercito nella colonia del Marocco. Il futuro Caudillo era solo uno dei tanti generali protagonisti dell’Alzamiento, la sollevazione contro il governo di sinistra uscito vincitore dalle elezioni del 1936. La morte o la cattura dei principali leader militari, però, spinse il Consiglio dei Generali a dare il comando supremo a Franco, per via delle sue capacità di mediazione e per il suo non essere particolarmente ideologico. Lo schieramento conservatore era infatti tutto meno che omogeneo: c’erano fascisti, nostalgici della monarchia, cattolici e moderati, che disapprovavano le politiche marxiste del nuovo governo e la sua tolleranza per la violenza verso i religiosi.
All’interno del suo partito, il Movimento Nazionale, Franco cambiava spesso gli equilibri delle varie correnti politiche, creando tra loro costanti rivalità. Il Caudillo era dunque un vero maestro del divide et impera, qualità che gli permise di governare per 36 anni sostanzialmente senza opposizione interna. Il Generalissimo si tenne fuori dalla seconda guerra mondiale, nonostante il decisivo aiuto che Hitler e Mussolini gli diedero per la vittoria nella guerra civile, a causa dello stato di distruzione in cui versava il suo Paese.
Il regime franchista non fu (se non per un brevissimo periodo dopo la guerra civile) un regime fascista: gli storici preferiscono parlare di “nazional-cattolicesimo”, un’ideologia fortemente nazionalista e tradizionalista, con un ruolo decisivo per la Chiesa di Roma. Dopo un periodo di isolamento, di vendetta verso i Repubblicani sconfitti e di stagnazione economica, Franco si avvicinò agli Stati Uniti (pur senza mai entrare nella NATO) e incaricò un gruppo di tecnocrati legati all’Opus Dei di avviare le basi per la modernizzazione della Spagna, fino ad allora tra i Paesi più poveri d’Europa. L’operazione ebbe successo e, per tutti gli anni ’60, Madrid ebbe una spettacolare crescita economica, seconda nel mondo solo a quella del Giappone.
Una volta esaurita tale spinta però, il regime entrò in crisi. Tale difficoltà era dovuta sia all’età avanzata del dittatore sia alla fine dell’appoggio della Chiesa Cattolica, che attraversava una fase di profondo rinnovamento dopo il Concilio Vaticano II. Alcuni membri del regime erano convinti che fosse necessario un ammodernamento, con l’apertura a un moderato pluralismo politico e la restaurazione di alcune libertà personali. Franco non fu mai di questa idea: ancora due mesi prima di morire, nel settembre del 1975, firmò la condanna a morte di alcuni prigionieri politici baschi e catalani e aveva organizzato la sua successione con l’obiettivo di perpetuare il suo regime anche dopo la sua morte.
La successione a Franco e l’ascesa di Adolfo Suárez
L’erede designato da Franco era il principe Juan Carlos di Borbone, nipote del deposto re Alfonso XIII. Il Generalissimo scelse lui e non suo padre, il conte Juan, perché ritenuto più plasmabile in quanto educato sotto la sua custodia. Il 22 novembre 1975, due giorni dopo la morte del Caudillo, Juan Carlos giurò “sui Sacri Vangeli di rispettare le leggi franchiste e l’integrità del Movimento Nazionale”. La monarchia tornava dunque a Madrid dopo 44 anni. Tuttavia, apparve chiaro fin da subito che il nuovo re non si sarebbe comportato secondo le aspettative di Franco, e che supportava la corrente moderata del regime. In particolare, Juan Carlos si mostrò subito vicino al nuovo segretario del Movimento Nazionale, Adolfo Suárez, che nominò capo del governo nel luglio 1976.
Suárez era una figura ambigua: fedele fino all’ultimo al Franchismo, era però convinto che l’unica strada possibile fosse quella della democratizzazione del Paese. Per raggiungere tale obiettivo, era consapevole che fosse necessaria la collaborazione dei partiti della sinistra fino ad allora fuorilegge: il Partito Socialista (PSOE) e il Partito Comunista (PCE). Suárez prese dunque i contatti con i loro leader, il giovane sivigliano Felipe González e il veterano della Guerra civile Santiago Carrillo.
Se il primo non intendeva accettare una democrazia “concessa” dagli eredi del Franchismo e la restaurazione della monarchia, Carrillo collaborò attivamente con Suárez, facendo accettare ai membri del suo partito questa posizione sorprendentemente moderata. Il capo del governo, con l’aiuto di un altro autorevole ex membro del regime, il professor Torcuato Fernández Miranda, riuscì nell’impresa di far votare al parlamento franchista la “Legge per la riforma politica”. Essa istituiva il principio della sovranità popolare, aboliva le leggi liberticide e introduceva il suffragio universale. Nonostante l’opposizione di esercito, Chiesa e larghi settori degli ex franchisti, Suárez legalizzò il Partito Comunista nel marzo del 1977.
La Costituzione e il consolidamento della democrazia
Nel giugno del 1977, per la prima volta dopo 41 anni, i cittadini spagnoli tornavano a votare in un’elezione democratica. Il partito di Suárez (Uniòn del Centro Democràtico, UCD) vinse e il presidente venne confermato alla guida del governo. Il nuovo parlamento si occupò di redigere la Costituzione democratica, che venne approvata anche tramite referendum alla fine del 1978. Il testo prevede che la Spagna sia una monarchia costituzionale, con un parlamento bicamerale in cui il solo Congresso dei Deputati dà la fiducia al governo (con la possibilità della sfiducia costruttiva), mentre il Senato ha poteri minori. La Costituzione prevede inoltre che la Spagna sia uno Stato decentrato in cui le minoranze linguistiche sono tutelate, dopo 40 anni di persecuzioni franchiste.
Nonostante questo grande successo, la parabola politica di Suárez durò poco. Alle prese con una crisi economica e con un partito che guardava sempre più a destra e meno al centro, fu costretto alle dimissioni nel febbraio del 1981. Al momento del giuramento del suo successore, Leopoldo Calvo Sotelo, alcuni militari occuparono il parlamento e tentarono un colpo di stato. L’emiciclo fu occupato per alcune ore e i carri armati invasero le strade di alcune delle principali città del Paese.
Il golpe venne sventato, oltre che per le divisioni interne ai militari, dal deciso intervento televisivo in cui re Juan Carlos, con indosso l’uniforme di capo supremo delle forze armate, condannava decisamente l’azione dei militari, che invece speravano in un suo supporto. Anche il governo di Calvo Sotelo scontò un’evidente debolezza e, nelle elezioni dell’anno successivo, fu sconfitto dalla chiara affermazione del Partito Socialista. Sette anni dopo la morte di Franco, la sinistra tornava così al governo in Spagna, nella figura di Felipe González, che sarebbe stato capo del governo per i successivi 14 anni.
Conclusioni
La transizione democratica avvenuta in Spagna è profondamente diversa da quella avvenuta negli altri Stati europei. A Madrid si ebbe il caso unico di una monarchia restaurata per la volontà di un dittatore e di una democrazia concessa dai suoi eredi attraverso le istituzioni formali del regime. Il principale partito di centrodestra in Spagna, il Partido Popular (PP) è l’erede di Alianza Popular, il partito che prese il posto del Movimento Nazionale di Franco.
Nonostante queste particolarità, è innegabile che questa sia una storia di successo. La collaborazione tra uomini profondamente diversi per origine e ideali fece sì che non si ripetessero gli errori che portarono alla tragedia della guerra civile. Allora, la ricerca del compromesso non era parte dell’agenda né dei partiti di sinistra né di quelli conservatori, con il risultato della diffusione della violenza e del feroce odio tra le due parti. La lungimiranza e il coraggio di Suárez, Carrillo e di re Juan Carlos hanno fatto sì che oggi la Spagna sia annoverata tra le democrazie europee e che i fantasmi della guerra civile rimanessero tali.
Fonti e approfondimenti:
Javier Cercas, Anatomia di un istante, Guanda, Milano, 2009
Carmelo Adagio, Alfonso Botti, Storia della Spagna democratica, Mondadori, Milano, 2006
Guy Hermet, Storia della Spagna nel Novecento, Il Mulino, Bologna, 1999
Josefina Martínez del Álamo, Entrevista inédita a Adolfo Suárez, “ABC”, 25 settembre 2007
Victoria Prego, Un Anticomunista Inteligente ,”El Mundo” il 9 aprile 2002
Paul Preston, Juan Carlos: a People’s king. Círculo de lectores, Barcellona, 2006
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