Di Giovanni Zorra
Nel corso del 2020, l’Armenia è tornata a fare notizia. Prima per i dati preoccupanti sulla pandemia di Covid-19, poi a causa del riaccendersi del quasi trentennale conflitto con l’Azerbaigian per il controllo del Nagorno Karabakh.
Tuttavia, questi temi rischiano di oscurare le riforme che hanno avuto inizio con la Rivoluzione di velluto della primavera 2018.
La Rivoluzione di velluto in Armenia
Nell’aprile del 2018, la politica del Paese è stata trasformata dalla cosiddetta Rivoluzione di velluto. In seguito ad alcune settimane di proteste pacifiche, la trentennale classe politica proveniente dal passato sovietico rappresentato dal Partito repubblicano e dal suo leader Serzh Sargsyan è stata relegata all’opposizione e, successivamente, esclusa dal Parlamento alle elezioni del dicembre del 2018.
Il principale artefice di questa svolta è Nikol Pashinyan: giornalista, parlamentare e attivista in passato incarcerato e costretto all’esilio. Grazie a una fitta rete di contatti personali e tattiche di protesta molto efficaci – come le marce dichiaratamente ispirate a quelle di Ghandi – il leader armeno è riuscito a organizzare una nuova classe dirigente. Per farlo ha coinvolto giovani professionisti istruiti, che spesso hanno studiato nelle università europee e nordamericane e lavorato nei distaccamenti locali di ONG, istituzioni internazionali e multinazionali.
Questi fatti sono stati il culmine di una serie di sommovimenti politici cominciati nel 2015 come conseguenza di una discussa riforma costituzionale. L’obiettivo dichiarato era il riassetto delle istituzioni in un’ottica più democratica. Dietro questi lodevoli intenti, si nascondeva però quello che i media di opposizione hanno subito definito il Progetto Sargsyan (dal nome dell’allora presidente), ovvero il tentativo di prolungare la permanenza al governo azzerando il suo numero di mandati. La Rivoluzione di velluto l’ha impedito.
Oggi, Pashinyan presiede il governo più liberale che il Paese abbia visto negli ultimi cento anni. È sostenuto da My Step Alliance, una coalizione “pigliatutto” di centro: progressista, europeista, che tuttavia non rinnega la strategica alleanza economica e militare con la Russia pur rimarcando una spiccata identità nazionale.
Superati i momenti di concitazione rivoluzionaria, il governo si è impegnato a istituzionalizzare le richieste provenienti dalle piazze e a ridimensionare il ramificato potere del Partito repubblicano. Le elezioni del dicembre 2018 hanno concesso a Pashinyan una solida maggioranza parlamentare, facendo confluire queste istanze in un programma di governo che pone particolare attenzione al tema della corruzione. L’esecutivo sta portando avanti tre principali interventi: la riforma delle forze dell’ordine, quella dei servizi segreti e la riorganizzazione della Corte costituzionale.
La riforma dei corpi di polizia
La corruzione delle forze di polizia armene è un problema di lunga data, portato alla luce da numerosi osservatori internazionali come l’Organizzazione europea per la cooperazione e lo sviluppo economico (OECD). Il 23 aprile 2020, il governo di Pashinyan ha approvato un documento intitolato Strategia per una riforma della polizia armena, che propone una transizione morbida, in contrasto con le richieste molto nette provenienti dalle piazze della Rivoluzione di velluto. Invece di sopprimere i corpi di sicurezza che si erano macchiati di violenze o corruzione, si è scelto di riorganizzarli, sanzionando solo alcune figure apicali e portando alla luce principalmente casi di corruzione.
Inoltre, sono stati depotenziati alcuni corpi a favore del cosiddetto New patrol service. Questa nuova istituzione, che dovrebbe diventare operativa a inizio del 2021, sarà composta da nuove reclute addestrate grazie a consulenti occidentali e diventerà gradualmente l’unico corpo incaricato della pubblica sicurezza. Gli agenti del New patrol service riceveranno salari sensibilmente più alti, vestiranno nuove divise e saranno muniti di strumentazioni e veicoli all’avanguardia, in linea con l’obiettivo di rilanciare l’immagine della polizia.
Per comprendere l’approccio, è utile soffermarsi sulle motivazioni ufficiali del documento. In una sezione, viene specificato come gli agenti semplici sono considerati a loro volta vittime del sistema, che non li metterebbe nelle condizioni di svolgere il proprio ruolo in maniera consona, esponendoli a tentativi di corruzione anche a causa degli stipendi estremamente bassi. Questa ricostruzione desta sicuramente delle perplessità, ma è presto per valutare una riforma che dichiara intenti strutturali e che entrerà in vigore solo tra qualche anno.
La riforma dei servizi segreti
Al contrario, la riforma dei servizi segreti – largamente pubblicizzata dal governo – è rimasta finora soprattutto sulla carta. Ha pesato probabilmente la centralità dell’agenzia per l’Armenia: un Paese con due confini militarizzati (quelli verso Turchia e Azerbaigian) e una costante presenza russa (nelle basi militari di Gyumri ed Erebuni) deve poter contare su un’agenzia di sicurezza sempre operativa.
Il Consiglio di sicurezza dell’Armenia – organo politico-militare in seno al governo – ha prodotto a luglio del 2020 un documento intitolato Un’Armenia resiliente in un mondo che cambia, in cui viene proposto di abbandonare il sistema ad agenzia unica di eredità sovietica a favore di un più moderno e filo-occidentale approccio basato su due agenzie di servizi segreti: una per gli affari interni e una per gli affari esterni.
La riforma della Corte costituzionale
Un altro punto fondamentale del processo di riforma è il rinnovamento della magistratura. Al pari dei corpi di polizia, anche il sistema giudiziario soffre di una corruzione cronica, come rilevato dall’OECD e da Human Rights Watch. Dopo la Rivoluzione di velluto, è stata proprio la Corte costituzionale a trovarsi al centro di un’aspra battaglia istituzionale.
Dei nove membri della Corte, sette erano stati nominati con le precedenti costituzioni del 1995 e del 2005 che non prevedevano una scadenza per il loro mandato ma solo un pensionamento – rispettivamente a 70 e 65 anni. Inoltre, i giudici erano tutti rappresentanti della decaduta classe dirigente legata al Partito repubblicano e alcuni di loro dimostravano apertamente la propria ostilità alla Rivoluzione.
Nel febbraio del 2020, il Parlamento ha approvato una modifica costituzionale che ha abolito la clausola di non retroattività che permetteva ai giudici nominati prima della riforma del 2015 di rimanere in carica. Nonostante la votazione avesse ottenuto la maggioranza rafforzata richiesta per l’approvazione, il governo ha deciso di indire un referendum confermativo. Il 16 marzo 2020, a causa della pandemia da Covid-19, il referendum è stato rimandato a data da destinarsi.
Sempre nel marzo del 2020, questa nuova riforma aveva già ricevuto un parere dalla Commissione di Venezia che aveva definito il pacchetto legislativo “in linea con gli standard europei e adeguato in un’ottica di lotta alla corruzione”. Tuttavia, diffidava dall’allontanare i giudici contro la propria volontà, in quanto contrario al principio di indipendenza della magistratura. Nel maggio del 2020 il governo armeno ha chiesto un secondo parere alla Commissione di Venezia. Nella richiesta, si sottolineava il forte legame tra la piena attuazione della Costituzione del 2015 e la durata del mandato dei giudici della Corte. Inoltre, il governo ha chiesto se fosse possibile abbandonare la procedura referendaria alla luce dell’emergenza sanitaria in corso.
Il 22 giugno 2020 la Commissione ha risposto favorevolmente, riconoscendo la decadenza dei giudici come conforme all’obiettivo di dare piena attuazione alla Costituzione del 2015, precisando però che la regola si sarebbe potuta applicare solo ai membri della Corte che avessero esercitato il proprio ruolo per un periodo superiore ai 12 anni (cioè la durata del mandato prevista dal testo costituzionale vigente).
Il 30 giugno 2020, il Parlamento armeno ha votato con maggioranza rafforzata una legge che prevede la cancellazione del referendum e l’entrata in vigore degli emendamenti alla Costituzione.
Tre giudici della Corte costituzionale in servizio da più di 12 anni sono decaduti automaticamente, mentre gli altri quattro appuntati prima del 2015 ma in carica da meno di 12 anni andranno gradualmente in decorrenza.
I limiti strutturali
Dal punto di vista costituzionale, il comportamento del governo Pashinyan può essere definito decisionista. La stessa Commissione di Venezia, nei suoi pareri in merito alle proposte di riforma, ha messo in guardia da eccessi che possano ledere l’equilibrio istituzionale. Tuttavia, è innegabile il cambiamento avviato in Armenia da questa classe politica, guidata da una visione più democratica rispetto alla precedente classe dirigente. Il trend è confermato dalle rilevazioni del centro di ricerca Freedom House e della Economist Intelligence Unity, che rispettivamente compilano ogni anno le classifiche mondiali di indice di libertà e di democraticità.
Inoltre, bisogne tenere conto dei limiti di qualsiasi riforma che tocca i rami apicali dello Stato. Processi del genere necessitano di tempo e gradualità per evitare di produrre pesanti effetti collaterali, come la perdita di parte dell’expertise utile al funzionamento delle istituzioni.
Infine, per comprendere le dinamiche locali, non va dimenticato che l’Armenia si trova in una situazione geopolitica assai complessa, che rende l’opera di riforma particolarmente esposta a rischi esterni. L’attuale classe dirigente deve bilanciarsi tra la propria indole liberale, progressista e filo-occidentale e una realtà dei fatti che potrebbe frenare le riforme o, peggio ancora, portare il governo ad assumere atteggiamenti politici autoritari simili a quelli che la Rivoluzione di velluto mirava a estirpare.
Fonti e approfondimenti
Foster Kendrik, Armenia’s Velvet Revolution: Lessons from the Caucasus, Harvard International Review, 29/05/2019.
OECD, 2018, Anti-corruption reforms in Armenia 4th round of monitoring of the Istanbul Anti-Corruption Action Plan
European Commission for democracy through law (Venice Commission), Opinion No. 988/2020, 20/06/2020.
Grigoryan Armen, “Armenia’s constitutional referendum”, The Central Asia-Caucasus Analyst, 29/12/2015.
Editing a cura di Emanuele Monterotti
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