di Cecilia Nardi
Tra il 2021 e il 2022, nove delle principali potenze mondiali responsabili da sole di circa il 30% delle emissioni globali, inclusa l’Unione europea (UE), hanno messo a punto le loro strategie energetiche per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, come previsto dagli Accordi di Parigi. Nel farlo, hanno attribuito all’idrogeno un ruolo centrale nella transizione energetica, mettendo così apparentemente fine all’accesso dibattito che negli scorsi decenni aveva visto alternarsi momenti di entusiastico ottimismo per le potenzialità dell’idrogeno, con altri di profondo scetticismo.
Per fare chiarezza
Per poter analizzare la “questione dell’idrogeno” è necessario partire dalla natura stessa di questo elemento. Infatti, l’idrogeno (H2) non è una vera e propria fonte energetica, bensì un vettore energetico. In quanto tale, presenta alcune caratteristiche specifiche che le fonti energetiche tradizionali non hanno: è leggero, reattivo e ha un elevato contenuto di energia per unità di massa. Inoltre, può essere facilmente prodotto su scala industriale ed è facilmente immagazzinabile a lungo termine.
Ciò che lo rende rilevante per la transizione energetica è che la sua combustione permette di produrre energia senza generare emissioni di anidride carbonica (CO2). Inoltre, la combustione può essere condotta in maniera complessivamente più efficiente rispetto alla combustione termica e senza l’emissione di ossidi di azoto attraverso l’elettrolisi in celle a combustibile.
Ci sono, poi, anche dei “ma”. I giacimenti di idrogeno adatti alla produzione di energia elettrica sono rarissimi in natura, mentre sono molto più frequenti quelli di idrogeno combinato con altri elementi. Di conseguenza, l’idrogeno non può essere estratto, bensì deve essere prodotto, scindendolo dagli altri elementi con cui si trova in combinazione. Per farlo, i processi più comuni sono lo steam reforming e l’idrolisi. Mentre il primo consiste nello strappare l’idrogeno dagli altri idrocarburi con cui è legato, il secondo prevede l’estrazione dell’idrogeno dalla molecola d’acqua, tramite la divisione nei suoi due elementi costitutivi – l’idrogeno e l’ossigeno. Entrambi i processi hanno bisogno di energia elettrica, che può provenire da fonti rinnovabili – come l’energia eolica o quella solare raccolta nei pannelli fotovoltaici – ma che molto più frequentemente proviene da fonti non rinnovabili, come i combustibili fossili.
Tutti i colori dell’idrogeno
Attualmente la maggior parte dell’idrogeno viene prodotta da combustibili fossili, quali gas naturale o carbone. La dipendenza dell’idrogeno, cosiddetto grigio (grey hydrogen), da fonti energetiche non rinnovabili e inquinanti si traduce nell’emissione di un quantitativo elevato di CO2, che non rende questa “tonalità” di idrogeno utile al raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050.
Dagli stessi processi di reforming dell’idrogeno grigio viene ottenuto anche l’idrogeno blu (blue hydrogen), per la cui produzione si integrano le modalità tradizionali di produzione con alcuni sistemi di cattura e sequestro della CO2 che si genera durante il processo. Alla luce del fatto che le emissioni dirette di CO2 nel processo di produzione sono più basse del 10% di quelle generate per produrre l’idrogeno grigio, l’Unione europea ha incluso l’idrogeno blu tra i processi produttivi a basse emissioni. Un successo dell’intensa attività lobbistica messa in atto dall’industria del gas naturale (una delle principali fonti energetiche da cui l’idrogeno blu viene prodotto), se si considera che la quota di emissioni derivanti dalla dispersione del metano durante il processo di produzione dell’idrogeno blu supera addirittura quella delle emissioni rilasciate dalla produzione dell’idrogeno grigio.
Ad oggi, l’idrogeno verde (green hydrogen), prodotto tramite elettrolisi da fonti rinnovabili, quali energia eolica o solare, è l’unico idrogeno effettivamente pulito, visto che la sua produzione non genera alcuna emissione, diretta o indiretta. Proprio per questa ragione, la produzione di idrogeno verde è oggetto di ricerca e approfondimento a livello internazionale, soprattutto per quel che riguarda la produzione da biomasse e calore solare, oltre che da biogas o biometano, che si potrebbero sostituire ai combustibili fossili nei tradizionali processi di reforming.
Un’altra questione che si è posta recentemente in relazione alla produzione di idrogeno da fonti rinnovabili è quella legata all’energia nucleare. Nel 2020, l’Unione europea ha avviato la discussione sulla produzione dell’idrogeno viola, ossia quello estratto per elettrolisi con energia elettrica prodotta da impianti nucleari. Questo tipo di elettrolisi non produce emissioni di anidride carbonica e, di conseguenza, l’idrogeno prodotto in questo modo può essere classificato come idrogeno rinnovabile, come afferma Paula Abreu Marques, capo dell’Unità per le Energie Rinnovabili presso la Direzione energia della Commissione europea. Allo stesso tempo, due sono i principali rischi legati a questo processo di produzione: le scorie nucleari prodotte al termine del processo, e la possibilità che, autorizzando l’utilizzo dell’energia nucleare per la produzione di idrogeno, i Paesi violino il principio di “do not harm” , ossia di non nuocere agli altri Paesi sancito dal European Green Deal.
La strategia dell’ Unione europea per l’idrogeno
A luglio 2020, l’Unione europea ha presentato la sua strategia per l’idrogeno, puntando su questo vettore energetico per la decarbonizzazione. L’obiettivo è quello di produrre 10 milioni di tonnellate di idrogeno verde entro il 2030 e soddisfare il 13% del fabbisogno energetico europeo entro il 2050. Tuttavia, nel documento si specifica che nelle fasi iniziali di implementazione della strategia, verranno utilizzate anche altre forme di idrogeno, mentre si supporteranno tutti gli investimenti necessari per raggiungere questi obiettivi.
In effetti, la strategia dell’UE per l’idrogeno si articola in tre fasi:
- nella prima fase (2020- 2024), si prevede di produrre 1 milione di tonnellate di idrogeno verde destinate alla decarbonizzazione dei settori chimico, dell’acciaio e della raffinazione, tramite l’installazione di almeno 6 GW di elettrolizzatori;
- nella seconda fase (2025-2030), l’idrogeno diventerà parte integrante del sistema energetico dell’UE, con 40 GW di elettrolizzatori. In questa fase, ci si aspetta anche che l’idrogeno verde diventi più competitivo e, quindi, più appetibile per un numero più ampio di settori, a partire da quello dei trasporti terrestri e marittimi. Cruciali per il successo di questa seconda fase saranno la costituzione di una rete di trasporto paneuropea che si appoggi sia sui gasdotti esistenti sia su nuovi impianti di stoccaggio;
- nella terza e ultima fase (2030-2050), l’idrogeno verde sarà utilizzato su ampia scala in tutti i settori, e in modo particolare nei settori difficili da decarbonizzare. Di conseguenza, ci si attende un forte aumento della produzione a livello europeo di elettricità da fonti rinnovabili, visto che, secondo la strategia europea, il 25% dell’idrogeno dovrà essere prodotto in questo modo entro il 2050.
Per la realizzazione di questo piano, si stimano investimenti tra i 24 e i 45 miliardi di euro per gli elettrolizzatori entro il 2030, oltre che investimenti per circa 65 miliardi di euro per le reti di trasporto, stoccaggio e rifornimento stradale. Queste risorse verranno attinte dal Recovery Fund, da InvestEU e dal Fondo per l’Innovazione finanziato dalla certificazione ETS, il sistema di compravendita di quote sulle emissioni istituito in Unione europea.
All’interno di questa cornice generale rappresentata dalla strategia per l’idrogeno, come spesso succede all’interno dell’Unione europea, i singoli Stati membri si stanno muovendo in maniera diversa l’uno dall’altro. La Spagna e i Paesi Bassi sembrano ambire a diventare un polo di riferimento per la produzione e lo smistamento internazionale dell’idrogeno verde. Tra i Paesi più ambiziosi ci sono, poi, sicuramente la Germania, che ha fissato il suo obiettivo per il 2030 a 5 GW, e la Francia con 6,5 GW. Rispetto a questi Paesi, l’Italia sembra aver assunto una posizione meno decisa, decidendo di investire meno risorse nella produzione dell’idrogeno. Recentemente, però, proprio lo scorso marzo, sono stati stanziati 450 milioni di euro a sostegno della produzione integrata di idrogeno da fonti rinnovabili ed energia elettrica rinnovabile in aree industriali dismesse.
Diversi umori si registrano anche in relazione alla questione dell’idrogeno viola, sulla quale l’Unione europea non ha ancora assunto una posizione chiara. A spingere maggiormente per l’autorizzazione a produrre idrogeno da energia nucleare sono Francia (dove nel 2021 il 42% dell’energia elettrica prodotta proveniva da fonti nucleari), Romania, Bulgaria, Polonia, Slovenia, Croazia, Ungheria e Repubblica Ceca, che l’1 febbraio 2023 hanno inviato una lettera alla Commissione europea per chiedere l’inserimento dell’idrogeno viola tra gli obiettivi della strategia energetica dell’UE. La posizione di questi Paesi si basa sui concetti di sovranità energetica, ossia l’autonomia degli Stati membri di determinare indipendentemente la composizione del loro mix energetico, e di neutralità tecnologica, vale a dire adottare un approccio non discriminatorio alla regolazione dell’uso delle tecnologie, lasciando il mercato deciderne la combinazione ottimale.
Chi ha paura dell’idrogeno?
Nonostante l’idrogeno sia stato riconosciuto a livello internazionale come una risorsa per la decarbonizzazione e sia diventato uno dei protagonisti della transizione energetica dell’Unione europea, questo vettore energetico conta ancora un nutrito gruppo di detrattori, le cui argomentazioni enfatizzano principalmente i limiti dell’idrogeno.
Il primo ostacolo è l’indisponibilità dell’idrogeno in natura. Per produrre idrogeno vengono utilizzate ingenti quantità di energia, spesso da fonti fossili, che in gran parte si disperdono durante il processo, rendendo la produzione dell’idrogeno inquinante e inefficiente. Dati alla mano, che sia blu o verde, produrre idrogeno può richiedere dalle 3 alle 7 volte il quantitativo di energia necessaria alla produzione diretta di elettricità.
Il secondo limite è che solamente l’idrogeno verde può permettere la decarbonizzazione, essendo l’unico la cui produzione non genera emissioni. Tuttavia, la produzione di idrogeno verde non potrà sostituire rapidamente e completamente le altre a causa dei costi elevati. Infatti, produrre idrogeno da fonti rinnovabili costa il doppio che da metano. La faccenda si complica, poi, se tra le fonti rinnovabili viene incluso anche il nucleare, il quale aumenterebbe la quantità di idrogeno verde, ponendo però il problema delle scorie e il rischio di violazione del principio “do not harm”.
Infine, ci sono le difficoltà legate alle applicazioni dell’idrogeno nei vari settori, primo fra tutti quello dei trasporti. Per mettere in funzione un veicolo a idrogeno verde è necessario il triplo/quadruplo dell’energia di un normale veicolo elettrico, le cui batterie sono in media più efficienti di quelle dei veicoli a idrogeno. Per quel che riguarda, poi, l’utilizzo dell’idrogeno per il riscaldamento domestico, molti sono i pareri autorevoli (dall’IPCC all’IEA fino al Potsdam Institute) che mettono in guardia rispetto alla marginalità dell’idrogeno nella transizione energetica di questo settore, suggerendo di optare per altri metodi, quali le pompe di calore o l’isolamento termico.
Fonti e approfondimenti
ENEA (2020) I colori dell’idrogeno nella transizione energetica.
Environmental Defense Fund (2023) Rule 1 of deploying hydrogen:electricity first
EU (2020) An hydrogen strategy for a climate-netural European Union.
Howarth R.W., Jacobson M.Z. (2021) How green is blue hydrogen?
Hydronews (2023) Idrogeno viola da energia nucleare: 9 Paesi europei in pressing su Bruxelles
IEA Report (2022) Hydrogen
IRENA Report (2018) Hydrogen from renewable power: Technology outlook for the energy transition
Rosenow J., (2022) Is heating homes with hydrogen all but a pipe dream? An evidence review
SNAM (2019) The Hydrogen challenge: the potential of hydrogen in Italy