La prospettiva estrattivista: voci dal Brasile sullo sfruttamento del territorio

@Neil Palmer - CC 2.0 - Wikimedia

di Francesco Torri

La Volta Grande del rio Xingu, nello Stato amazzonico del Parà, in Brasile, è l’ultima ansa che il fiume disegna prima di tuffarsi nel Rio delle Amazzoni. Oggi questo territorio, già pregiudicato dagli impatti della diga Belo Monte, è nuovamente minacciato dal maxi progetto minerario firmato BeloSun Mining.

L’inizio dello sfruttamento della Volta Grande: la diga Belo Monte 

L’area che circonda la Volta Grande, abitata sin dalle origini dai popoli Juruna, Chipaya, Kuruaia e Arara e permeata della loro cultura, è di inestimabile ricchezza mineraria ed ecosistemica. Negli anni, questa ricchezza ha attirato l’attenzione di molti: pescatori, contadini e cercatori d’oro prima, ed imprese transnazionali poi.

A partire dai primi anni del ‘900, più la Volta Grande si popolava più le dispute territoriali si facevano frequenti. Inizialmente si “risolvevano” a colpi di pistola e frecce avvelenate e si limitavano a poche vittime. Oggi, in particolare da quando nel 2008 il consorzio pubblico-privato di Eletrobras “Norte Energia” dava iniziò alla costruzione della quarta diga più grande del mondo compromettendo irrimediabilmente l’ecosistema della Volta Grande, i conflitti hanno assunto proporzioni ben maggiori.

Inaugurata nel 2016, la diga non ha causato che problemi alle comunità della Volta Grande. Infatti, la portata del fiume diminuì dell’85%, alterando drasticamente l’equilibrio dell’ecosistema dell’intera regione. Le morti innaturali dei pesci crebbero esponenzialmente, il suolo era sempre meno fertile, i frutti sugli alberi cominciarono a diminuire e le comunità a dividersi. Chi non fu costretto ad abbandonare la propria terra e a trasferirsi nella cittadina di Altamira, presto trasformatasi in un crocevia di trafficanti, alcolizzati e criminali, finì presto per vivere nella miseria. 

La canadese Belo Sun sogna in grande: grandi rischi, grandi danni

Questo è lo scenario generato dalla diga Belo Monte e di cui si sta approfittando la compagnia mineraria canadese Belo Sun: comunità divise, povertà ed ecosistema danneggiato. L’impresa canadese, frutto dell’acquisizione della mineraria Verena da parte della banca Forbes & Manhattan, vuole infatti assicurarsi una parte dell’enorme ricchezza della Volta Grande e non sembra volersi “accontentare”. 

Il suo obiettivo, infatti, è niente di meno che aprire la miniera d’oro a cielo aperto più grande del Brasile. L’impresa ha già pagato più di € 1 milione in royalties allo stato del Parà e prevede di pagare 10 volte tanto in tasse a livello federale, statale e municipale. Il progetto, che propone di estendersi in un’area di 1.800 ettari, ha una capacità estrattiva di 50 tonnellate d’oro nell’arco di 12 anni di attività con una previsione di impiegare 470 metri cubi di acqua (per ora) e di 10.500 tonnellate di cianuro. 

L’estrazione d’oro, infatti, oltre all’utilizzo di metalli altamente tossici come il mercurio, richiede l’impiego anche di cianuro e arsenico, tutte sostanze che, se disperse nell’ambiente, potrebbero avere conseguenze estremamente dannose per l’intero ecosistema. Il mercurio, quando interagisce con certi batteri, viene trasformato in metilmercurio, che in poco tempo è in grado di risalire la catena alimentare fino ai pesci, e quindi all’uomo. Se ingerito da un essere umano, colpisce il sistema nervoso centrale causando insonnia, depressione e malattie alla vista e all’udito. Se ingerito da bambini i potenziali danni comprendono paralisi cerebrali e disfunzioni motorie. 

Dallo studio di impatto ambientale della Belo Sun emerge che l’attività estrattiva produrrebbe una montagna di rifiuti tossici alta circa 200 metri, protetta da un bacino di decantazione che verrebbe eretto sulle rive del fiume Xingu. Un progetto altamente rischioso, che viola gli standard di sicurezza imposti dalla legge brasiliana sulle dighe di decantazione di rifiuti sterili (Portaria No. 70.389).

Ad aumentare la paura degli abitanti della Volta Grande è l’omissione nello studio di impatto ambientale di dati sulla sismicità del territorio dove l’impresa intende costruire il bacino di decantazione. Dati che di norma sono essenziali per stabilire l’affidabilità di un simile progetto. Oggi, grazie ad alcuni studi indipendenti effettuati da partner dell’Ong locale “Xingu Vivo”, sappiamo che tale omissione nasconde una realtà spaventosa: l’area scelta dal progetto è considerata ad alto rischio sismico.

Ma quali sarebbero le conseguenze in caso di cedimento del bacino di decantazione? Per farsi un’idea, basta pensare alla recente storia di disastri ambientali in Brasile. 

Nel 2019, ad esempio, il disastro di Brumadinho, causato da un’impresa che operava con un sistema di decantazione di rifiuti tossici uguale a quello che si propone di usare Belo Sun, ha causato la morte di quasi 300 persone. A Mariana, invece, nel 2015 il cedimento della diga di contenimento dei rifiuti sterili, progettata dalla stessa impresa (VOGBR LTDA) e lo stesso ingegnere (Samuel Paes Loures) scelti per il progetto di Belo Sun, provocò uno dei peggiori disastri ambientali del Paese: 19 morti, 50 feriti, e la contaminazione dell’ecosistema del fiume rio Doce per un totale di 650 km. 

Ma nel caso della Belo Sun le conseguenze potrebbero essere ancora peggiori. I rifiuti tossici generati ammonterebbero a 35 milioni di metri cubi e giacerebbero a meno di 2 km dal rio Xiungu, affluente del rio delle Amazzoni. In caso di cedimento del bacino di decantazione, sarebbe solo una questione di tempo affinché la contaminazione raggiunga l’oceano Atlantico.

Le illegalità di Belo Sun e le non relazioni con le comunità locali 

Ad oggi l’impresa canadese non possiede una delle licenze ambientali necessarie per dare il via alle operazioni. Di fatto il 25 aprile scorso la Corte Regionale ha confermato la sospensione della licenza ambientale che già nel 2017 l’impresa non era riuscita ad ottenere. 

Per poterla ottenere dovrebbe consultare le comunità tradizionali in forma “libera, previa e informata” come definito dalla convenzione ILO 169 che in Brasile ha forza di legge. Sulla base dei colloqui intrattenuti con i membri di alcune comunità della Volta Grande, si può affermare che questo processo non ha mai avuto luogo. Tutti gli intervistati dichiarano di non aver mai visto il personale di Belo Sun e tantomeno di aver dialogato con loro.

Basta però visitare il territorio della Ressaca per rendersi conto che anche senza licenza l’impresa sta già da tempo costruendo le fondamenta del suo progetto ecocida. 

L’impresa di sicurezza “Invictus” contrattata da Belo Sun utilizza i suoi suv blindati e oscurati giorno e notte per monitorare gli spostamenti di chiunque sia sospettato di essere contro il progetto.  Solitamente armati, si appostano dietro agli angoli delle strade e pattugliano le poche strade delle comunità.  “Abbiamo paura a muoverci da soli … sono armati ed è come se sapessero sempre dove siamo … senza dubbio vedo più spesso loro che mia moglie!” scherza Amilson Cardoso, leader dell’accampamento dei senza terra, durante l’unica intervista che mi ha concesso “questo dimostra che nonostante le sue operazioni non siano iniziate ufficialmente, l’impresa sta già avendo un impatto sulle nostre vite… e credimi, non c’è nulla di peggio di vivere col timore che ti possa accadere qualcosa di brutto”.

Un altro passo illecito compiuto da Belo Sun è stato l’acquisto abusivo direttamente dall’INCRA (Organo Federale per l’implementazione della riforma agraria) di 24 km2 di terre pubbliche destinate a progetti agricoli per il beneficio dei piccoli produttori. La complicità dell’INCRA in questo caso aumenta i sospetti su come la Belo Sun stia cercando di appropriarsi del territorio attraverso la corruzione di organi pubblici, probabilmente per poter eludere certe obbligazioni che altrimenti bloccherebbero l’avvio del progetto.

Ma non è solo l’INCRA a far parte di questo gioco. Josefa dell’ONG locale “Xingu Vivo”, racconta che da 4 anni a questa parte il prefetto Biancardi sta attuando un piano di trasferimento di tutti i servizi di base da Ressaca a Mocotò, villaggio appositamente creato 13 km più a sud. L’idea è di disincentivare chiunque a restare a vivere a Ressaca, così che l’impresa possa avere più facile accesso all’area del villaggio, fondamentale per le sue operazioni. Lo stesso prefetto, nel Novembre del 2017, irruppe in un’aula dell’ Università Federal do Parà (UFPA) dove stava avendo luogo un incontro sugli impatti del progetto minerario di BeloSun sulla Volta Grande del Xingu, intimidendo la Professoressa Rosa Marin, organizzatrice dell’ evento, e tutti i partecipanti. 

La resistenza 

Se proprio il progetto deve farsi a tutti i costi, che almeno rispetti gli standard di sicurezza!” dichiara Seu Padeco, membro della resistenza comunitaria contro Belo Sun. Chi vive nella Volta Grande, lo sa bene quanto è alto il rischio di contaminazione che si corre nel permettere l’avviamento del progetto Belo Sun.” 

È uomo sulla sessantina nerboruto e gioviale, che vive qui nella Ressaca da 50 anni. Oggi lotta perché trova ingiusto che un’impresa straniera si appropri dell’enorme ricchezza del suo territorio, lasciando nella miseria centinaia di persone. Per questa ragione è membro dell’accampamento di resistenza dei “Senza Terra” che da un anno occupa un territorio concesso illegalmente dall’ INCRA alla Belo Sun. 

Seduto sulla sua amaca, ci racconta che la resistenza non è affatto facile: “Nell’accampamento non abbiamo né gas né luce, l’acqua potabile è lontana 2 km (a piedi ovviamente), e i soldi ci bastano appena per comprare riso e fagioli… non possiamo nemmeno lavorare perché nessuno ci dà più lavoro… se ne sono andati tutti…

Ad oggi, quello dei “Senza Terra” (da non confondersi con il più ampio “Movimento Sem Terra”) è l’unico movimento di resistenza contro il progetto di Belo Sun nella Volta Grande. I loro obiettivi sono chiari: la rescissione del contratto di compravendita di terra tra l’INCRA e Belo Sun e l’attuazione del piano di riforma agraria a cui quella terra era destinata.

All’inizio, erano una cinquantina le famiglie, indigene e non, coinvolte in questa lotta . Ora, non se ne contano più di 10. “Siamo in pochi e allo stremo delle forze …Tutti gli altri o si sono lasciati comprare dall’impresa accettando un futuro indennizzo o sono andati via per paura” spiega Valdmiro, membro dell’accampamento. “Molti di noi sono stati pedinati e aggrediti dai nostri stessi compaesani. Il signor Piaui, di 75 anni, ha dovuto abbandonare la casa dove viveva dopo la terza minaccia di morte”.

Nonostante gli sforzi della società civile abbiano portato a importanti vittorie legali contro l’impresa, determinando una fase di stallo per il progetto, tra le comunità Arara, Juruna, Chipaya e Kuruaia c’è un clima di rassegnazione. Sono in pochi a credere in una vittoria definitiva dei “Senza Terra”. 

Questi popoli non possono dimenticare la sconfitta della grande lotta contro la diga Belo Monte, che li ha lasciati divisi e spesso in conflitto tra di loro. Senza unità non c’è lotta” mi dice Rafaela Chipaya. E senza lotta non può esserci un futuro per la Volta Grande del rio Xingu, dove Davide sta resistendo con le unghie e con i denti all’assedio di Golia.

 

Fonti e approfondimenti 

 

Tiffany Higgins, Usina de Belo Monte reduziu a vazão do Xingu em 85% – um crime, segundo indígenas, Mongabay, marzo 2021

Steven H. Emerman, Evaluation of the Tailings Dam, Cyanide Use and Water Consumption at the Proposed Volta Grande Gold Project, Pará, Northern Brazil, Amazon Watch, giugno 2020

Ana Carolina Alfinito and Camila Rossi, Massive Belo Sun Gold Mine Project Blocked in Brazil, Amazon Watch, aprile 2022

Catarina Barbosa, Prefeito que defende mineradora Belo Sun ameaça professores em seminário da UFPA, Amazônia Real, 2017

 

Francesco Torri 

Editing a cura di Elena Noventa

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: