Free Trade Area: il commercio senza barriere

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Spesso nelle notizie politiche ed economiche si sente parlare di accordi relativi a quelle che vengono definite “Aree di libero scambio” (Free Trade Areas) che paesi di una specifica zona o di continenti diversi decidono di applicare per estendere le proprie potenzialità di commercio. Cerchiamo di analizzare nello specifico cosa intendiamo per Area di libero scambio e quali sono le conseguenze nei rapporti economici tra gli Stati che ne prendono parte.

Tempo addietro avevamo analizzato come fosse organizzato il commercio internazionale concentrandoci sul GATT e il WTO, ora invece ci addentriamo in quelle che sono nel pratico le applicazioni del commercio internazionale.

Quando si parla di Area di libero scambio si fa riferimento ad un gruppo di paesi che si accorda per ridurre, o eliminare, il controllo dei prezzi negli scambi reciproci sotto forma di tariffe (dazi) o sotto forma di quote di prodotti esteri che posso essere esportati all’interno dei paesi. La teoria economica sottostante all’area di libero scambio è quella relativa ai “vantaggi comparati”, secondo la quale in un’area di mercato in cui vengono abbattuti ostacoli all’esportazione e al commercio, i paesi tenderanno a specializzare la propria produzione in quei prodotti in cui hanno un costo opportunità maggiore (sono più competitivi) rispetto agli altri. Padre di tale teoria fu l’economista inglese David Ricardo, che nella formulazione della teoria prese a confronto due Paesi, Inghilterra e Portogallo, e il diverso costo nel produrre due beni, il vino e la stoffa.

 

In sintesi, la specializzazione verrà condotta verso quei prodotti in cui il paese ha un minor costo di produzione (vantaggio assoluto) o verso quei prodotti per cui, sebbene il costo di produzione sia più alto rispetto ad un altro paese, il paese produttore possiede un vantaggio relativo nel produrre tale bene, poiché, ad esempio, non sarebbe conveniente per il produttore con il minor costo di produzione sprecare risorse nella produzione di entrambi i beni. La specializzazione consentirebbe ad entrambi i paesi di aumentare i profitti e, sopratutto, consumare di più entrambi i beni.

Nel ventesimo secolo, la teoria di Ricardo fu perfezionata da Heckscher, Ohlin e Samuelson, che focalizzarono la loro attenzione sulla diversa dotazione dei fattori produttivi, intesi come capitale e lavoro. Il paese che possiede un dotazione relativa di capitale maggiore si specializzerà in produzioni ad alto impiego di capitale. Viceversa, paesi con una dotazione di lavoro maggiore si specializzeranno su produzioni ad alto impiego di lavoro. Ciascun paese, pertanto, trae vantaggio dalla specializzazione nella produzione in cui viene impiegato maggiormente il fattore abbondante. Tale processo condurrà all’esistenza di un unico prezzo internazionale per ciascun bene, il quale, si collocherà nel mezzo tra i due prezzi precedentemente fissati all’interno dei due Paesi per quel medesimo bene. In altre parole, se in un paese il prezzo del bene la cui produzione impiegava la materia scarsa era più alto rispetto a quello che aveva un vantaggio nella dotazione, ora per quel paese il prezzo di riferimento (quello internazionale) risulta minore. Viceversa per l’altro paese con riferimento al bene alternativo. Conclusione logica è che prezzi minori portano una maggior possibilità di consumo per entrambi i paesi.

Ritornando sull’organizzazione di un’area di libero scambio, bisogna sottolineare una distinzione fondamentale. Mentre in quest’ultima i dazi e i contingentamenti vengono solitamente abbattuti per gli scambi effettuati tra i Paesi Membri, le relazioni con i paesi esterni rimangono di competenza di ogni singolo stato. Facendo un esempio, il Canada e gli USA nei reciproci scambi commerciali non applicano alcuna restrizione o aumento dei prezzi per gli esportatori poiché fanno parte di un’area di libero scambio, denominata NAFTA (formatasi nel 1994 di cui fa parte anche il Messico). Tuttavia, nei rapporti commerciali con paesi esteri, si pensi ad esempio al Giappone, entrambi i paesi possono regolare gli scambi a loro piacimento. A questo accordo commerciale si contrappone la c.d Unione Doganale (Custom Union), la quale prevede, oltre all’abbattimento di qualsiasi tipo di barriere tra i Paesi Membri, anche una politica comune rispetto ai Paesi esteri. Viene dunque istituita una tariffa esterna doganale comune. Area di libero scambio e Unione Doganale rappresentano rispettivamente il secondo e il terzo stadio del processo che porta all’integrazione economica.

Tipico possibile problema della mancanza di una politica commerciale comune è la cosiddetta “riesportazione” che alcuni Stati potrebbero attuare sfruttando proprio la loro indipendenza nei confronti dell’estero. Semplicemente, un paese potrebbe decidere di importare un determinato bene dall’estero, riducendo notevolmente i dazi o le altre misure non tariffarie nei confronti del paese da cui acquista il bene. Ciò consente al paese di ottenere una merce ad un prezzo molto competitivo a tal punto da dar margine di riesportarlo, senza aver apportato alcun processo di trasformazione, all’interno dell’area di libero scambio, sfruttandone i vantaggi economici. Al fine di eliminare questa possibilità, si stabiliscono alcune restrizioni alla possibilità di esportazione di un determinato bene, come ad esempio la necessità di certificare che almeno alcuni componenti di tale bene, o comunque un determinato processo di produzione, siano stati effettuati all’interno del paese che vuole esportarlo verso gli altri Membri di un’Area di Libero Scambio.

Definita l’organizzazione e i vantaggi che, secondo la teoria economica, la realizzazione di una Area di Libero Scambio produrrebbe, è necessario analizzare brevemente due tra le più importanti critiche mosse dalla letteratura.

Il più noto e antico argomento a favore del protezionisimo è sicuramente relativo a quello di’industria nascente (si pensi ad un paese in via di sviluppo) che per ovvie ragioni non può competere con un Paese sviluppato. Secondo la letteratura “protezionista”, a tale industria serve imporre dazi alle importazioni per tutto il tempo che serve per consolidarsi e crescere. Tuttavia, per la validità di questa affermazione è necessario assumere che il paese riesca effettivamente a diventare concorrenziale con quelli più sviluppati e che i le perdite derivanti dal protezionismo siano più che compensate dalla futura apertura del mercato. La letteratura concorda che non si possa affermare con certezza quale sia l’effetto di una protezione di questo tipo (vantaggioso o meno), tuttavia, ad oggi si concorda che esistono metodi più efficaci per risolvere tale problematica come ad esempio l’erogazione di sussidi da parte dello Stato verso la propria industria nascente, in modo da non far salire il prezzo interno oltre quello internazionale.

Un argomento sicuramente più scottante è la ricaduta sul mercato del lavoro derivante da una apertura del mercato. Appare scontato che, una volta ridotte le barriere per importare i prodotti, le imprese cerchino di delocalizzare i propri impianti produttivi nei paesi in cui il costo del lavoro è minore o dove ci siano meno controlli. Ciò porta inevitabilmente alla perdita di numerosi posti di lavoro, specialmente per i paesi sviluppati poiché essi si specializzeranno in quei prodotti ad alto impiego di capitale o in quelli in cui è necessario il lavoro specializzato. Ecco quindi che i lavoratori non qualificati, godendo implicitamente di un tenore più alto di vita, costano di più e non possono competere con il basso costo del lavoro di paesi più poveri.

Le teorie precedentemente descritte assumono che i lavoratori, in seguito alla specializzazione del paese, riescano senza problemi a passare da un lavoro all’altro. Ciò avviene perché il mercato riesce, almeno nel lungo periodo, a raggiungere l’equilibrio. E’ chiaro che per un lavoratore non specializzato riciclarsi in un lavoro in cui servono maggiori conoscenze e capacità non è cosi semplice e scontato. Un esempio riguarda le maquiladoras messicane, stabilimenti produttivi di proprietà di società multinazionali straniere, situati al confine tra Messico e Stati Uniti. Questi stabilimenti importavano dagli USA beni intermedi, i quali venivano finiti di assemblare in Messico, e poi riesportati come prodotti finiti nuovamente negli USA.

La nascita di questo tipo di stabilimenti era dovuta a due ragioni:
1. il basso costo del lavoro messicano;
2. un regime doganale vantaggioso: il Messico permetteva alle imprese multinazionali l’ importazioni di beni intermedi esenti da dazi e altre barriere. Allo stesso tempo il governo degli Stati Uniti applicava un dazio sull’importazione di beni finiti solo sul valore aggiunto del lavoro messicano.

Una volta istituito il NAFTA, queste facilitazione vennero gradualmente ridotte. La maggior parte delle maquiladoras chiusero, poiché le multinazionali iniziarono a spostare gli stabilimenti in altre regioni messicane o in altri paesi in cui il costo del lavoro era ancora minore. Il Messico perse circa 280.000 posti di lavoro. Dal 2004 tuttavia la situazione è mutata grazie alla svalutazione del peso messicano e ad una nuova attenuazione del regime tariffario nella regione di confine tra i due paesi. Nel 2006, circa il 45% delle esportazioni messicane provenivano dalle maquiladoras.

Ecco dunque che parlare di Area di Libero Scambio e credere ciecamente nella forza risolutiva del mercato, e delle specializzazione regionali, rischia di perdere di vista quelli che sono i bisogni della collettività. Certamente è vero che un’apertura del mercato possa aumentare la ricchezza dell’industria di un paese, ma c’è da chiedersi quanti effettivamente riescono a godere di tale miglioramento se non vi è una redistribuzione della ricchezza. E soprattutto, si diventa ricchi perché gli altri sono poveri o costano meno. Queste sono le regole del mercato. Serve, dunque, necessariamente uno stadio ulteriore a quello dell’Area di Libero Scambio e una regolamentazione molto precisa. 

 

Fonti e Approfondimenti:

G. Gandolfo, M. Belloc, 2012, Fondamenti di Economia Internazionale, Utet Università

http://www.treccani.it/enciclopedia/area-di-libero-scambio_(Dizionario-di-Economia-e-Finanza)/

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