L’OPEC e i suoi nuovi aspiranti padroni

La foto della riunione dell'OPEC del 11 dicembre 2010
@Cancillería del Ecuador - Flickr - Licenza CC BY-SA 2.0

Il primo dicembre l’Organizzazione dei Produttori di Petrolio (OPEC) ha raggiunto un accordo sull’abbassamento della produzione di petrolio di 1.2 milioni di barili di greggio al giorno. L’ottanta per cento del taglio si avrà in Kuwait, Emirati Arabi, Arabia Saudita e Iraq e ha portato ad un innalzamento del prezzo del 15%. Per la prima volta anche i paesi Non-Opec hanno aderito al taglio e ridurranno la produzione di 600 mila barili al giorno.  Questo accordo è arrivato dopo due anni e mezzo di veti incrociati e di strategie predatorie dei prezzi intese ad eliminare rivali dal mercato, che avevano portato al crollo del prezzo del petrolio.

Cos’è l’OPEC

L’OPEC è l’organizzazione dei paesi produttori del petrolio, nata nel 1960, quando il petrolio era diventata la materia prima più importante al mondo. Ha il ruolo di cartello tra i maggiori paesi produttori di greggio: serve a decidere il limite di produzione, che inevitabilmente si riflette sul prezzo, e a negoziare contratti generali e rapporti dei paesi produttori di greggio con i non membri dell’OPEC. I paesi membri dell’OPEC sono 12: Algeria, Angola, Arabia Saudita, Ecuador, Emirati Arabi Uniti, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Nigeria, Qatar, Venezuela, Gabon, Indonesia.

Gli accordi interni all’OPEC hanno sempre portato verso decisioni favorevoli alla maggioranza “sunnita” raggruppata intorno all’Arabia Saudita. Le riunioni hanno sempre portato a discussioni divise tra paesi del Golfo da una parte e dall’altra l’Iran, l’Iraq e gli altri outsider (come il Venezuela). Gli stati minori si sono sempre lasciati attrarre dalla parte che gli offrisse più vantaggi. Negli anni la leadership, grazie ad enormi finanziamenti verso i paesi minori, è sempre stata tenuta saldamente nelle mani dei sauditi.

L’assenza di un accordo e il colpo di mano Saudita

Era stata proprio frutto di questa leadership la decisione di lasciare la produzione immutata dal 2008 quando era iniziato il crollo del prezzo del petrolio. L’obiettivo era cercare di eliminare dal mercato le aziende del fracking americano, che hanno un costo di produzione molto superiore ai concorrenti mediorientali, per cercare di ritirare l’America all’interno del mercato del petrolio dopo che si era definita indipendente grazie al fracking.

Questa sovrapproduzione di petrolio volta a colpire i produttori più piccoli non ha avuto gli effetti desiderati e anzi i paesi del Golfo si sono ritrovati più sensibili ad un crollo del prezzo del petrolio di quanto immaginassero. Se andiamo ad analizzare i dati di BRENT e WTI, indici finanziari del prezzo del petrolio, notiamo come dal 2012 il prezzo sia incominciato a crollare. Nel 2012 il prezzo era intorno a 104 dollari a barile poi è iniziato crollare fino a raggiungere il 28 dollari a barile a marzo del 2015 e poi stabilizzarsi intorno ai 34 dollari. Questa tecnica ha messo in ginocchio paesi fragili con economie molto legate al prezzo del petrolio, come il Venezuela, e ha sicuramente messo in serie difficoltà le aziende americane del fracking che però hanno stretto i denti cercando di resistere alla tempesta.


Le monarchie del Golfo, che hanno enormi quantità di riserve di moneta estera, hanno scommesso sull’esplosione del mercato pensando che sarebbero uscite indenni dalla tempesta, ma così non è stato.
L’Arabia Saudita, il Kuwait e il Qatar  hanno assottigliato notevolmente le proprie riserve di moneta estera ma sono riusciti a rimanere in linea di galleggiamento, mentre invece alcuni paesi come il Bahrain e l’Oman, che non avevano enormi riserve di moneta, hanno dovuto usare debito estero per poter pensare di gestire la situazione. Nel grafico sottostante vediamo il gap, colmato dallo stato, per ogni barile di petrolio tra il prezzo più alto del 2014 e quello attuale. Questo significa che le grandi potenze del Golfo sono state duramente colpite da questa dinamica predatoria dei prezzi imposta da loro stessi.

Questo grafico deve essere inoltre letto nell’ottica dell’aumento di spesa che negli ultimi due anni i governi del Golfo, che ricordiamo non hanno sistemi di tassazione, hanno dovuto sostenere. Tutti hanno aumentato le proprie spese militari e di sicurezza dopo le Primavere Arabe e le guerre in Siria e Yemen, ma anche quelle sociali, con l’aumento della popolazione a cui deve essere dato un sistema di welfare e anche per i grandi eventi come i Mondiali del 2020.

Il nuovo accordo

Questo tentativo ha portato all’attuale accordo dell’OPEC, il quale cambierà molto la situazione. L’attuale produzione verrà ridotta di 1,2 milioni di barili al giorno. I maggiori tagli avverranno sulle coste occidentali del golfo: i Sauditi taglieranno 486 mila barili al giorno, 300 mila i suoi alleati (Kuwait Qatar e UAE). L’Iraq ha accettato di abbassare la propria produzione di 210 mila barili al giorno. Il resto verrà tagliato dagli altri paesi, mentre c’è un regime speciale per Nigeria e Libia, che essendo considerati paesi dentro un conflitto, sono esentati. L’Iran invece ha ricevuto il calcolo di riduzione sui vecchi dati pre sanzioni, totalmente inaffidabili, e non su gli attuali, su cui comunque c’è scetticismo data la mancanza di controllo estero. Non riceverà dunque alcun taglio, ma gli sarà permesso di salire di 90 mila barili al giorno data la sua lunga situazione di oppressione sotto le sanzioni.

L’accordo del primo dicembre ha per la prima volta annunciato che anche la Russia, paese Non OPEC, abbasserà la sua produzione di 600 mila barili al giorno. Molti analisti sono scettici sulla volontà di Putin di mantenere questo accordo, mentre altri notano come questo sia stato un primo passo russo verso una maggiore influenza negli affari dell’OPEC, magari per sponsorizzare una nuova leadership iraniana.

I nuovi padroni dell’OPEC?

L’OPEC è tornato a vivere” questo è stato il commento più letto sui giornali economici all’indomani dell’accordo, ma forse questo non solo ha ridato vita all’OPEC, ma potrebbe essere il primo segno di un passaggio di potere.

L’Iran  è sicuramente uno dei vincitori di questo patto. Il fatto che solo il paese guidato da Rouhani abbia portato a casa un aumento di produzione ci dice molto,anche se gli analisti affermano che comunque la produzione resta molto bassa per le sanzioni, ma è un messaggio che è stato mandato ai paesi del Golfo sunnita, i quali, non solo non sono riusciti ad annientare i propri avversari, ma che hanno rischiato di rimanere strozzati dalle proprie politiche di abbassamento del prezzo. La produzione di petrolio iraniana è ancora a livelli relativamente bassi confrontati con la produzione saudita, ma allo stesso è in grande ascesa e ha una potenzialità infinità, alcuni sostengono che se scatenata, grazie alle tecnologia e all’alta possibilità di investimenti, potrebbe facilmente gareggiare con i 10 milioni di barili al giorno prodotti dai sauditi.


L’Iraq è stato uno dei paesi che, nonostante sia in guerra, ha deciso di abbassare la produzione di petrolio, ma la sua è una parziale sconfitta
. Il governo di Baghdad è infatti il grande fautore, insieme al Venezuela, di questo accordo per cercare di riportare all’origine il prezzo del greggio. Inoltre l’Iraq a maggioranza sciita è molto vicino all’Iran e sa che una leadership nuova potrebbe portare un nuovo equilibrio all’interno dell’OPEC, trasformando proprio il paese iracheno in quello che adesso è il Qatar per l’Arabia Saudita.

La Russia e gli USA sono dei parziali vincitori di questo accordo. La Russia dimostra sempre di più di poter influenza tutto quello che tocca, aumentando ancora di più la propria figura di potenza geopolitica mondiale, e inoltre sa di poter condividere la riduzione, di circa 600 mila barili al giorno, con i paesi come il Kazakistan rendendola meno pesante sul bilancio unico. Gli USA hanno dimostrato di poter essere indipendenti dal punto di vista energetico, nonostante soffrano sicuramente per gli alti costi ambientali e finanziari dello Shell Oil.

La guerra del petrolio è appena iniziata e bisognerà valutare chi avrà la meglio. Le Monarchie del Golfo credono di poter rientrare ai livelli del 2014, nonostante l’abbassamento della produzione, perché prevedono un grande innalzamento del prezzo (molti analisti tra cui Bloomberg definiscono questa prospettiva troppo ottimista). Dall’altra parte l’Iran e gli outsider sanno che è finito il monopolio della maggioranza sunnita, e di conseguenza Ryad non è più padrona del prezzo del petrolio, e di poter pesare sulle decisioni dell’OPEC.

Fonti e Approfondimenti:

Perché crolla il prezzo del petrolio – http://www.vox.com/2016/1/12/10755754/crude-oil-prices-falling

https://www.bloomberg.com/news/articles/2016-12-05/oil-falls-from-16-month-high-as-opec-seeks-wider-cut-cooperation

http://www.mei.edu/content/article/monday-briefing-opec-deal-win-iran

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