Le risorse africane: il coltan che distrugge la DRC

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

I territori della Repubblica Democratica del Congo, in particolare la parte orientale, sono estremamente ricchi di coltan, un materiale indispensabile per la costruzione di batterie per strumenti elettronici come cellulari, computer e tablet. Questa potrebbe essere una grande risorsa capace di incentivare lo sviluppo economico del Paese, ma la maledizione delle risorse colpisce tutto il continente africano, nessuno escluso.

L’attuale Repubblica Democratica del Congo ha una storia non dissimile a quella di numerosi altri stati africani: l’indipendenza ottenuta dal Belgio nel 1960 decretò l’inizio delle tensioni.

Nei cinque anni che seguirono l’indipendenza il nuovo potere era debole e frammentato, la fazione guidata dal presidente, Joseph Kasa-Vubu, si scontrava con quella del primo ministro, Patrice Lumumba, e tutto questo era accompagnato da disordini etnici e da sommosse innescate dai militari dell’esercito belga rimasti sul territorio.

Alla fine del 1960, emerse una nuova figura, il capo dell’esercito Mobuto Sese Seko, che prese il potere sciogliendo il parlamento e annullando la costituzione. Nel 1965, la situazione divenne estremamente critica, a causa dei numerosi gruppi secessionisti che agitavano diverse zone del Paese, e Mobutu si fece capo di un colpo di stato con cui si auto-concesse poteri quasi illimitati, grazie prima alla dichiarazione dello stato di emergenza, poi alla costituzione che fece approvare due anni dopo, con la quale i territori dell’ex Congo Belga presero il nome di Zaire.

L’ultima parte del governo dittatoriale di Mobutu, coincise con un nuovo periodo di guerra civile: nel 1994 l’odio etnico tra Hutu e Tutsi, sfociò nel genocidio del Ruanda, a seguito del quale un’ondata di rifugiati Hutu si stabilì in campi profughi nei Paesi confinanti, in particolare in Zaire. Tra questi però erano presenti anche miliziani, organizzati in un gruppo chiamato Interahamwe, con cui collaboravano anche forze provenienti da Burundi e Uganda, che iniziarono presto a perseguitare i Tutsi di origine congolese.

Nel frattempo il governo di Mobutu perdeva la sua antica forza, finché, nel 1997, dopo il fallimento dei colloqui di pace, il dittatore fuggì in Marocco, dove morì il 7 settembre.

I ribelli approfittarono del vuoto di potere e, tramite un colpo di stato, Laurent Desire Kabila, capo dell’Alleanza delle Forze Democratiche per la Liberazione dello Zaire, la quale si era formata dalla collaborazione tra i miliziani dell’Intrahamwe e gli oppositori interni di Mobutu, riuscì a salire al potere.

Ma la parte più sanguinaria della storia congolese è senza dubbio quella che va dal 1998 al 2003, periodo nel quale si svolse una seconda guerra civile che coinvolse anche altri stati africani. Lo scontro avvenne tra il governo di Kinshasa, nuovo nome di Léopoldville, che chiese aiuto a Zimbabwe, Angola, Ciad, Sudan e Namibia e a cui si aggiunsero gli Hutu ruandesi, uniti nelle Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDPL) e, dall’altra parte, il Fronte Patriottico Ruandese (RPF), in collaborazione con gli eserciti di Burundi e Uganda; quest’ultimo stato si operava per il sostegno del gruppo ribelle MLC, Movimento per la Liberazione del Congo.

Una guerra per le risorse

Quello che può sembrare un conflitto etnico di radici profonde, ha in realtà come base una guerra per le risorse senza scrupoli: la parte orientale dei territori dell’odierna DRC, in prossimità del fiume Congo, è estremamente ricca di un materiale molto richiesto nel commercio internazionale: il coltan.

Il coltan è una miscela di columbite e tantalite, con valore commerciale estremamente elevato dovuto al suo essere necessario nella produzione di materiali elettronici, in particolare batterie: dalla sua lavorazione si ricava una polvere metallica molto resistente al calore, il tantalio, capace di sopportare un’alta carica elettrica. Quando la richiesta di strumenti elettronici portatili è salita, il suo prezzo è aumentato esponenzialmente fino ad aggirare i $400 al chilo, rendendo il commercio illegale ancora più fruttifero.

Anche il coltan è una delle cosiddette risorse insanguinate: la sua estrazione, la sua produzione e il suo commercio, essendo scarsamente regolati, sono causa dello sfruttamento di manodopera a bassissimo costo, in condizioni spesso disumane. Come molte altre risorse in Africa, il commercio, specie internazionale, del coltan, permette ai gruppi ribelli di finanziare la propria guerra e le proprie armi, rendendo il conflitto del Congo impossibile da eliminare.

Lo sfruttamento delle risorse congolesi non è nulla di storicamente nuovo: già Leopoldo II, quando nel 1908 aveva annesso i territori alla corona belga, era a conoscenza delle potenzialità della zona, ricca di caucciù, ai tempi indispensabile per la produzione di pneumatici, per l’estrazione del quale aveva provveduto all’istallazione di un regime di terrore e di assoggettamento degli abitanti.

Ora come ieri, nella regione congolese del Kivu, migliaia di uomini, donne e in particolare bambini, piccoli e più adatti ad entrare nei pericolosi tunnel delle miniere, nei quali il rischio di cedimenti è altissimo, soprattutto nel periodo delle piogge, vengono ingaggiati come minatori.

L’estrazione avviene in modo semplice, ma faticoso: i lavoratori scavano profondi crateri, eliminando la parte superiore del terreno per poter raggiungere i depositi di coltan che si trovano sotto terra. Nulla più di un piccone e una pala sono necessari per concludere il lavoro. Il fatto che non siano richieste particolari capacità, insieme ai salari estremamente bassi dei lavoratori congolesi, fanno sì che il lavoro in miniera, relativamente ben pagato, sia di forte attrattiva per la popolazione di uno degli stati più poveri del pianeta.

La più grande miniera congolese è quella di Luwow, al confine orientale del Paese, a pochi chilometri dal Ruanda. Qui i minatori lavorano dalle 12 alle 14 ore al giorno. Il processo di estrazione vede i lavoratori impegnati a riempire sacchi di materiale grezzo e terra, che poi verranno passati al setaccio e lavati con acqua corrente, così che il coltan si depositi e possa essere diviso dalle scorie tramite l’utilizzo di una calamita.

Gli interventi internazionali

All’inizio del nuovo millennio le Nazioni Unite, sollecitate dal perpetuarsi delle violenze nei territori congolesi e dai falliti tentativi di rappacificazione degli anni precedenti, hanno promosso il Report of the Panel of Experts on the Illegal Exploitation of Natural Resources and other Forms of Wealth in the Democratic Republic of Congo. Il Report, concluso il 23 ottobre del 2003, ha confermato la presenza di mercati illeciti di risorse naturali, sfruttati in particolare da Ruanda, Uganda e Burundi per finanziare i propri gruppi armati; ad esempio il Ruanda, guadagna sulla carta centinaia di milioni di dollari l’anno nella vendita di coltan, pur non ospitando miniere nei propri territori.

A seguito dei risultati del Report, le Nazioni Unite hanno inviato un corpo militare, il MONUC (Missione delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo), con la risoluzione 1291 del 2004: si trattava di una forza di pacekeeping con il compito di monitorare gli scontri. Il corpo rimase fino al 2006, quando avvennero le prime elezioni libere del Paese.

Nel frattempo la situazione della DRC sembrava migliorata: Kabila era morto a seguito di un attentato e suo figlio aveva preso il suo posto come presidente, cercando di trovare accordi con i governi di Uganda e Ruanda. Con quest’ultimo il nuovo presidente riuscì a firmare il Trattato di Pretoria, nel 2002, che prevedeva il ritiro delle truppe Ruandesi dalla DRC, la quale nel frattempo si impegnava a eliminare gli Interahamwe, attori principali del genocidio del 1994; la pace con l’Uganda venne firmata nel dicembre dello stesso anno.

Tra il 2012 e il 2013, un nuovo gruppo insurrezionale, M23 (Movimento del 23 Marzo), si è stanziato nella regione del North Kivu, la zona con la più grande riserva di coltan, finanziando la propria rivolta con il denaro derivante dal commercio di tale prodotto. Il gruppo prende il nome dal giorno della firma della pace tra i ribelli e il governo congolese, quando si faceva ancora chiamare CNDP (Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo). Grazie all’intervento delle Nazioni Unite, tramite l’invio della missione MONUSCO che ha collaborato con l’esercito regolare congolese (FARDC) la rivolta è stata placata alla fine del 2013, con la resa del gruppo M23 e la firma di una pace a Nairobi, ma le violenze non si sono fermate.

Oggi la Repubblica Democratica del Congo è ancora un paese instabile. Nell’ultimo anno son state numerose le proteste dei cittadini contro il governo di Joseph Kabila, eletto legittimamente nel 2006, che hanno portato alle sue dimissioni e alla previsione di nuove elezioni nel 2018.

Il problema dello sfruttamento del lavoro, in particolare minorile, per l’estrazione del coltan non è ancora stato risolto, e proprio quest’anno Amnesty International ha denunciato, a seguito di un’indagine, che la Apple, la Sony e la Samsung stanno continuando ad importarlo, così come il cobalto, dalle zone del Kivu. Le tre aziende, dopo il richiamo delle Nazioni Unite dei primi anni 2000, avevano dichiarato cha avrebbero agito con l’intento di far cessare il commercio illegale del tanto bramato metallo, ma evidentemente così non è stato.

Le difficoltà riscontrate nella risoluzione della questione del coltan nella DRC è dovuta anche all’inesistenza di un sistema internazionale di riconoscimento della derivazione del coltan (cosi come avviene con il Protocollo di Kimberley per i diamanti), rendendo impossibili sanzioni alle multinazionali non adempienti. In più le riserve congolesi sono estremamente ricche, ospitando la maggior parte del coltan presente al mondo e facendo risultare pressoché impossibile ricoprire il fabbisogno mondiale di tale materiale evitando il commercio della parte derivante dalle riserve presenti nella zona orientale del Paese.

Fonti e Approfondimenti:

http://www.dailymail.co.uk/news/article-3280872/iPhone-mineral-miners-Africa-use-bare-hands-coltan.html#v-6020649662282091248

http://www.difesa.it/InformazioniDellaDifesa/Pagine/congoorientale.aspx

http://www.aljazeera.com/news/africa/2013/08/201382411593336904.html

http://espresso.repubblica.it/internazionale/2015/02/27/news/l-inferno-senza-fine-nelle-miniere-di-coltan-del-congo-1.201671

http://topdocumentaryfilms.com/blood-coltan/

http://www.dailymail.co.uk/news/article-3280872/iPhone-mineral-miners-Africa-use-bare-hands-coltan.html

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