di Martina Cera
“Il 2019 sarà ricordato come l’anno in cui si terranno le elezioni legislative e comunali” ha dichiarato il presidente del Chad Idriss Déby nel tradizionale discorso di fine anno, condensando in un’unica frase tutte le problematiche di un Paese che da anni deve confrontarsi con una crisi endemica.
Il Chad occupa il 183esimo posto su 187 nella graduatoria dell’Indice di sviluppo umano stilata annualmente dalle Nazioni Unite, l’analfabetismo è oltre il 65 percento, la speranza di vita media non supera i 50 anni mentre il tasso di mortalità infantile è tra i più alti del pianeta. Ad aggravare la situazione, negli ultimi anni, la presenza del gruppo armato di matrice jihadista Boko Haram e quella, capace di mietere ancora più vittime, del fenomeno della desertificazione che sta svuotando il lago Chad e costringendo migliaia di profughi ambientali alla fuga.
Chi è il presidente Idriss Déby, al potere dal 1990
Idriss Déby, alla guida del Paese dal colpo di stato contro l’ex dittatore Hissène Habré – recentemente condannato all’ergastolo da un tribunale senegalese su mandato dell’Unione Africana – è una figura controversa. Sopravvissuto a innumerevoli tentativi di rovesciamento e a ribellioni interne che non ha mai smesso di reprimere nel sangue, è stato soprannominato dai media del continente “il gendarme dell’Africa Centrale”, a causa del suo interventismo nella risoluzione di molteplici crisi regionali.
Il fatto che Déby si sia riferito alle elezioni come a un evento storico è sintomatico di quanto consideri la contesa elettorale come un fatto straordinario, nonché una concessione personale al Paese. A porre l’accento sulla gravità delle affermazioni del presidente è intervenuto il leader dell’opposizione Saleh Kebzabo, il quale ha sottolineato: “Non spetta affatto ad Idriss Déby fissare la data delle elezioni. Dovrebbe essere la Commissione elettorale indipendente, attiva da gennaio, a farlo”.
Le ultime elezioni legislative si sono svolte nel 2011, il mandato del Parlamento si sarebbe dovuto esaurire nel 2015, ma una legge costituzionale lo ha prorogato. Le presidenziali negli ultimi dieci anni si sono tenute regolarmente, anche se gli evidenti brogli e le pesanti accuse rivolte a Déby, probabile mandante dell’omicidio di alcuni avversari politici, hanno reso l’appuntamento una farsa.
Le critiche dell’opposizione e il sostegno internazionale
“Il discorso brilla per la sua mancanza di dati, soprattutto economici. Il Paese sta sprofondando nella miseria” ha dichiarato Kebzabo in un’intervista a Le Monde Afrique “Déby non ha parlato delle libertà costantemente violate né del desiderio di migliorare la trasparenza elettorale, spera solo di ottenere i miliardi promessi dalla comunità internazionale per cavarsela ancora una volta. Come si fa a pensare che quest’uomo, che non ha mai fatto nessuna riforma per sviluppare il suo Paese, cambierà dopo ventotto anni di potere? Chi porta questi soldi in Chad conosce perfettamente Déby, ma non gli importa: hanno deciso che lui è la persona su cui puntare”.
Saleh Kebzabo è il leader dell’Unione Nazionale per la Democrazia e il Rinnovo. Sulla scena politica dal 1997, da quando cioè il multipartitismo ha iniziato a essere tollerato dal regime, l’Unione Nazionale per la Democrazia e il Rinnovo è una formazione politica di ispirazione socialista. Nonostante nell’ultima tornata elettorale, quella del 2002, sia riuscito a portare all’Assemblea Nazionale solo 10 deputati su 155 è considerato il principale partito di opposizione e il perno attorno a cui si muove il Coordinamento dei Partiti Politici in Difesa della Costituzione che cerca di limitare lo strapotere di Déby.
L’arena politica del Chad, a dispetto delle gravi carenze democratiche nel Paese, è affollatissima: sono 78 i partiti politici registrati, la maggior parte dei quali sostengono il Movimento Patriottico per la Salvezza del presidente Déby. Lo stesso Coordinamento dei partiti all’opposizione consta di ben 35 formazioni politiche, tutte ispirate a un generico socialismo, e di 10 gruppi che pur non essendone formalmente parte ne hanno appoggiato le azioni negli anni passati.
Non bisogna dimenticare, inoltre, l’importanza rivestita dai gruppi tribali all’interno del Paese: ne è un esempio l’autorità indiscussa dei Zaghawa e del sottoclan dei Bideyat di cui lo stesso presidente fa parte, che continuano a dominare il settore pubblico e a essere sovrarappresentati nelle istituzioni-chiave dello Stato, tra cui quelle militari. Spesso, fanno notare gli osservatori internazionali, i cittadini esprimono una preferenza su base etnica e non rispetto al credo politico del partito che scelgono di votare.
Il sostegno internazionale è stata una carta importantissima per la presidenza e di fatto gli ha permesso di superare indenne un 2018 che ha visto il Paese infiammarsi per le proteste contro le misure di austerità imposte dal governo centrale per rispondere alla crisi petrolifera.
I leader europei, in particolare il presidente francese Emmanuel Macron, considerano Déby come il principale alleato della regione. Una settimana prima del discorso presidenziale, durante una visita alle truppe francesi in Chad, Macron ha promesso di contribuire a finanziare il Paese per organizzare gli scrutini elettorali, un’iniziativa criticata dai partiti di opposizione. Anche in tempi recenti il Fondo Monetario Internazionale e l’Unione Europea hanno fornito ingenti aiuti per evitare che la disastrosa situazione economica del Paese diventasse la scintilla per una rivolta simile a quelle che hanno provocato la fine del regime di Blaise Compaoré, ex presidente del Burkina Faso e alleato di Déby nel quadro dell’iniziativa G5 Sahel contro il terrorismo.
La lotta al terrorismo, un punto di forza della presidenza Déby
Negli ultimi cinque anni la lotta contro il terrorismo è stata, come spesso accade, l’ancora di salvezza per un regime che si pensava avrebbe risentito enormemente di altre rivolte nella regione. L’aver individuato un nemico, esterno ma ormai radicato sul territorio, ha permesso al presidente Déby di utilizzare spesso la retorica dello stato di emergenza per rimandare le elezioni e appellarsi all’unità nazionale.
Nonostante il G5 Sahel sia stato fortemente voluto da Francois Hollande, è l’attuale presidente francese ad aver scommesso molto su questo gruppo. L’idea alla base della creazione di una partnership tra i cinque Stati del Sahel – Burkina Faso, Mali, Mauritania, Niger e ovviamente Chad- è stata lanciata alla conferenza di Nouakchott il 16 febbraio 2014. All’epoca non era chiaro quale fosse il motivo reale di questo sodalizio tra il Paese europeo e i cinque Stati del Sahel, ma dopo cinque anni appare evidente che la promozione dello sviluppo nella regione sia stata utilizzata soltanto come slogan.
Il vero obiettivo del gruppo è il contrasto al terrorismo, con la creazione di una “Sahel Force” che il 17 luglio 2017 ha incassato un voto unanime al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, malgrado le perplessità di Inghilterra e Stati Uniti sui costi esorbitanti dell’intera operazione.
Le autorità del Chad, secondo quanto riportato dai documenti del G5 Sahel, hanno intensificato gli sforzi per la lotta contro il terrorismo, ma a causa della crisi finanziaria si sono spesso trovate nell’impossibilità di corrispondere ai membri delle forze armate uno stipendio adeguato. Questo, nonostante il contributo francese all’esercito, ha provocato numerose defezioni.
Nel 2017 il parlamento di N’Djamena ha approvato una serie di leggi controverse riguardanti soprattutto le pene, tra cui quella capitale, richieste per i reati di terrorismo. Gli osservatori internazionali hanno più volte denunciato il modo in cui le autorità locali hanno utilizzato lo spauracchio delle pene previste per i reati legati al terrorismo per spaventare attivisti e oppositori politici. Questo, insieme ai continui attacchi di Boko Haram e alla nascita dello Stato Islamico del Grande Sahara nel 2016, hanno portato a una situazione di perenne crisi nelle aree coinvolte che ha reso impossibile il realizzarsi della contesa politica, permettendo a Déby di restare saldamente al potere.
Il ruolo della società civile per il futuro del Chad
A rendere ancora più caotica la situazione sono proprio i partiti che lottano contro lo strapotere di Déby. Le fratture tra la National Union for Democracy and Renewal del settantaduenne Kebzabo e la galassia di movimenti che rappresentano la minoranza, sono diventate insanabili nell’ultimo anno. La NUDR è stata accusata di appeasement per aver interrotto il boicottaggio del Quadro nazionale per il dialogo politico (CNDP), organismo nel quale i partiti di opposizione e la maggioranza discutono gli affari politici del Chad.
Secondo Abdelkrim Yacoub Koundougoumi, dell’associazione Internet sans Frontières: “I giovani non credono più in Kebzabo. Durante l’anno passato la sua credibilità ha subito un duro colpo”.
Il Chad è un Paese giovane, molti degli attivisti che oggi si battono contro le politiche repressive di Déby sono nati dopo il colpo di stato e vedono Kebzabo come un leader troppo coinvolto nelle dinamiche di potere per essere parte di un vero rinnovamento.
“Chi lotta contro Déby si trova nei sindacati e nelle associazioni per i diritti umani, non nei partiti”
ha sottolineato Evariste Ngarlem Tolde, economista e ricercatore all’Università di N’Djamena.
Il percorso verso libere elezioni è fondamentale per la democratizzazione del Paese, ma è ormai chiaro che non saranno queste a mettere fine allo strapotere di Déby, quanto piuttosto l’opposizione di una società civile capace di guardare oltre gli aiuti a pioggia dei Paesi occidentali e le promesse elettorali.
Fonti e Approfondimenti
Le Monde, “Dans la région du lac Tchad, le vide politique bénéficie à Boko Haram “,
Jeune Afrique, Tchad : Idriss Déby Itno annonce la tenue d’élections législatives et municipales, 01 janvier 2019
ISPI, Sahel, il “nuovo approccio” di Macron per combattere il terrorismo, Andrea de Georgio, 3 luglio 2017
FAO, Plan d’action pour le Tchad 2011 – 2012