Un anno di Macron: intervista a Francesco Maselli

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Il 7 Maggio 2017 Emmanuel Macron veniva eletto Presidente della Repubblica francese vincendo al secondo turno delle elezioni presidenziali. Si era presentato nella competizione come elemento di novità rispetto al tradizionale sistema politico con il movimento En Marche! da lui fondato. Alla fine del primo anno del suo mandato siamo tornati ad intervistare Francesco Maselli per tracciare un bilancio di questi primi mesi all’Eliseo.

Francesco Maselli è un giornalista. Si occupa di politica francese scrivendo per Il Foglio e IL del IlSole24Ore. Collabora, inoltre, con il quotidiano francese L’Opinion. Dal Settembre 2016 cura la newsletter Marat, nata per seguire le elezioni presidenziali francesi, nella quale, dal Gennaio 2018 racconta cosa accade nella Francia di Macron.

Quali promesse fatte durante la campagna elettorale sono state mantenute e quali invece Macron sta incontrando difficoltà a realizzare?

La principale promessa fatta in campagna elettorale da Macron riguardava il mercato del lavoro, in particolare aveva promesso che lo avrebbe reso più flessibile, cambiando alcune delle modalità di contrattazione all’interno delle aziende. Questa, possiamo dire, è una cosa che ha realizzato subito attraverso una legge-delega al governo di Edouard Philippe votata dal Parlamento ad Agosto. Da lì poi si è continuato ad agire attraverso dei decreti. Ci sono state delle proteste ma non troppo ampie. Altra importante promessa riguardava un abbassamento delle tasse sui grandi patrimoni mobiliari, affinché quanto risparmiato venisse investito nell’economia. Ha, poi, soppresso l’Imposta sulla fortuna (ISF), che riguardava i più ricchi, attirando in questo modo molte critiche, ma si tratta in realtà di una cosa che aveva promesso. Aveva infatti dichiarato di voler spostare la tassazione dai beni mobili su quelli immobili, sulle case.

Ha chiesto uno sforzo ai pensionati, facendo pagare loro una parte dei contribuiti sociali destinati alla sanità o alle pensioni riducendo in questo modo il carico che gravava sui lavoratori dipendenti. È in pratica stata fatta una compensazione, e, sebbene i pensionati siano arrabbiati e votino, è anche vero che sono coloro che  non scendono in piazza.

Lui aveva portato avanti una campagna elettorale dicendo «io libero e proteggo». Finora si è vista tutta la parte del «libero», mancano quindi delle misure con cui lo Stato si fa carico della protezione di chi perde il lavoro e di chi è più penalizzato dall’apertura alla globalizzazione. Ha promesso che agirà anche in questo senso, ha promesso di fare una grande riforma delle pensioni e questo fin dalla campagna elettorale, ha promesso una riforma delle assicurazioni e della gestione della disoccupazione. A tal proposito, infatti, vorrebbe che anche i liberi professionisti fossero in grado di accedervi. Vorrebbe garantire il diritto alla disoccupazione anche in caso di dimissioni dopo 5 anni, favorendo così coloro che vogliono cambiare lavoro. Ad oggi, riguardo la disoccupazione, non esiste un solo sistema gestito dallo stato, ma diversi sistemi a seconda del lavoro che si fa. Ciò che vorrebbe fare Macron è creare un unico sistema, in cui possa rientrare chiunque perda il proprio lavoro.

Tutte queste misure rimangono delle promesse che non sono state ancora realizzate. Per ora il suo agire si è spostato piuttosto verso destra, anche rispetto  a quanto annunciato durante la campagna elettorale. Prendiamo per esempio il caso dell’immigrazione: in Francia sono state approvate delle leggi abbastanza dure, son stati ridotti i termini per poter presentare domanda di asilo e quelli per presentare ricorso rispetto alla domanda di asilo eventualmente respinta. Ma è anche vero che, oggi, fare politiche dure sull’immigrazione non penalizza a livello elettorale.

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Macron aveva anche parlato di liberalizzazione del mercato e difendeva sicuramente un’apertura verso la globalizzazione. La riforma dei trasporti ha però provocato grandi proteste nel paese, portando i ferrovieri ad un lungo sciopero di tre mesi.

La riforma della SNCF, che sarebbero le ferrovie francesi, in realtà non rappresenta un punto del suo programma elettorale, ma risale ad Hollande l’inizio dell’apertura delle ferrovie al mercato. Va detto che si tratta in realtà dell’attuazione di una direttiva europea. Macron si è trovato nella situazione in cui, da Presidente in carica, ha dovuto portare avanti quanto deciso. Stando ad un sondaggio, più del 60% dell’opinione pubblica francese è d’accordo con questa misura, ma è anche vero che i ferrovieri possono creare più problemi, bloccando il paese. Certo, è vero che si tratta di uno statuto privilegiato: possono andare in pensione molto prima e non possono essere licenziati se non per colpa grave. Macron lo ha definito anacronistico, non essendo necessario come in passato uno statuto che li protegga così tanto.

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Parliamo invece della situazione europea. Come si è mosso Macron in questo ambito?

Macron nasce come grande europeista, e così veniva percepito sia a livello interno sia  dall’esterno. E questo era evidente se pensiamo alle bandiere e agli slogan durante i suoi comizi. Dopo la sua elezione ha pronunciato tre o quattro discorsi molto belli, ma nessun  paese europeo gli è andato dietro. La situazione europea prevede che, per portare avanti delle idee, si debbano creare delle alleanze con gli altri stati membri, si devono convincere gli  altri che la strada di riforma dell’Europa da te proposta sia la migliore.

In questo primo anno di Macron Presidente la situazione europea è stata caratterizzata da un lato dagli stati del Nord Europa, che in un documento comune, hanno mostrando di non essere d’accordo con la visione di Europa di Macron, in particolare per quanto riguarda l’idea di un budget comune alla zona euro, dall’altro dagli stati dell’Est hanno un rapporto diverso con l’Europa, rispetto agli altri. L’Italia e la Spagna sono in situazioni di instabilità politica tale da non poter fare delle alleanze durature. Il Portogallo e la Grecia sono paesi deboli.  La Germania rappresentava per Macron il paese con cui avrebbe potuto collaborare dopo aver fatto dimostrazione delle riforme realizzate sul piano interno. Ma in realtà l’opinione pubblica tedesca è piuttosto fredda verso l’idea di Europa espressa da Macron e la Merkel non ha intenzione di spendere il suo capitale politico a favore del Presidente francese.

Va anche detto, però, che la visione francese di Europa una visione «bonapartista», ovvero l’Europa viene percepita come una grande Francia.  Di fronte alle nuove regole mondiali, gli stati europei appaiono come stati piccoli, ed hanno quindi bisogno di associarsi con gli altri per contare di più. La Francia, a differenza di altri, è un paese mondiale. Basti pensare che ha parte del suo territorio in tutti i continenti (domini di oltre mare). La Francia, di fatto, vede nell’Europa una cassa di risonanza della sua potenza per restare mondiale. Questa visione risale agli anni ’50 quando la Francia perde prima l’Indocina e poi l’Algeria e intravede quindi nell’Europa la possibilità di usarla per per supplire a questa perdita.

In questo primo anno, Macron si è comportato un po’ come portavoce ufficioso dell’Europa quando è andato in giro. Ma il fatto è che gli altri paesi non ci tengono affatto a vedersi rappresentati da lui.

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Anche dal punto di vista militare, però, la Francia si differenzia dagli altri paesi. Come si è comportato o si comporterà Macron?

La Francia mantiene in Mali circa 4.000 soldati quando nessun altro stato europeo può permettersi di mantenerne così tanti in una sola missione. La Francia ha capacità militari molto forti rispetto agli altri stati europei, anche se non comparabili agli Stati Uniti, alla Cina o, per quanto riguarda la marina, al Giappone.

Sul piano miliare l’obiettivo è quello di aumentare le spese militari per arrivare al 2% del PIL nel giro di 5 o 6 anni. Questo dato è fondamentale per mantenere un ruolo mondiale, e la Francia vuole giocare un ruolo mondiale. Pensiamo alla geopolitica francese che si basa su due elementi principali. Il primo è la lingua: si ha l’idea che il francese debba diventare la prima lingua parlata al mondo e se pensiamo che mezza Africa, un continente in ascesa demografica, parla francese, pensiamo a che grande mercato rappresenti, e condividere la lingua può avvicinare dal punto di vista culturale. Il secondo elemento è invece la demografia, visto che la Francia è l’unico paese in Europa che cresce per quanto riguarda il numero di abitanti. Questo perché, da un lato, da cinquant’anni vengono portate avanti delle politiche favorevoli alla natalità, dall’altro c’è il fattore immigrazione. Di conseguenza la Francia presenta un saldo positivo, mentre paesi come l’Italia o la Germania sono in calo.

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Quindi, in termini di influenza, quale è il ruolo della Francia in Europa?

La Francia non ha un bacino di influenza naturale in Europa. Lo ha in Africa, ma appare isolata in Europa. Questo a differenza della Germania, che si presenta come il perno del sistema. L’economia tedesca è interconnessa con le altre, basti pensare all’Olanda,  alla Polonia, alla Repubblica Ceca e al Nord Italia. Ha un bacino naturale di influenza e questo anche grazie alla lingua: si parla tedesco in Austria, ma ci sono popolazioni germanofone anche in Polonia e nella Repubblica Ceca.

Quando Macron deve agire in politica estera, chiama Washington. Ha costruito  un rapporto personale con Trump, che ha assistito lo scorso anno alla parata del 14 Luglio a Parigi. Ottima è anche la percezione dell’opinione pubblica americana: Macron ha fatto colpo.

Concludiamo con un riferimento ad un tuo articolo scritto l’ 8 maggio 2017, esattamente il giorno successivo alla sua elezione: «e se tra un anno scoprissimo che Macron, così giovane ed inesperto, non è quell’uomo politico salvifico che stamattina tutti i giornali internazionali celebrano?». Come commenteresti questo punto?

Per ora ha certamente dimostrato di essere un uomo politico formidabile. Ha abbastanza confermato le aspettative che si avevano nei suoi riguardi. È riuscito a far saltare il sistema politico e non ha un’opposizione. In un anno è riuscito a fare molte delle cose che aveva promesso, ora resta da vedere se funzionano. La Francia è tornata al centro delle relazioni internazionale e rappresenta il paese a cui si guarda quando si verifica una crisi internazionale. Questo ai Francesi piace, e lo riconosco a Macron.

Certo, un anno è molto poco per giudicarlo pienamente. Macron concepisce il suo mandato su cinque anni se non dieci.

Posso aggiungere che ha, però, dimostrato una sostanziale indifferenza verso chi non l’ha votato, e non ha dato motivi di ripensamento a chi aveva scelto altri candidati al primo turno. Se oggi si votasse, prenderebbe sopra al 30%. Esiste una parte della popolazione costituita da chi si sente messo in discussione dalla globalizzazione, precario in un mondo con cui non sta al passo, e si tratta della metà della popolazione. A queste persone non riesce a parlare. Sarà da vedere se ci riuscirà in futuro. Le ipotesi potrebbero essere che non gli interessa o non è capace.

Ad Aprile, dopo aver tenuto un discorso sull’Europa al Parlamento Europeo a Strasburgo, Macron è andato ad Épinal, una cittadina a due ore di distanza. Mi aspettavo anche in quel caso un bel discorso, invece c’è stato più un botta e risposta con il pubblico. Si trattava di persone laureate, un publico molto En Marche!, e per nulla rappresentativo della periferia francese che soffre. Posso dire che questo schema si riproduce ovunque egli vada. Forse, semplicemente, spostare la sua attenzione a questa parte di paese a cui non riesce a parlare, non gli serve per essere rieletto.

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