Il passo di Papa Francesco verso la Cina di Xi Jinping

Il rapporto tra la Cina e la Chiesa Cattolica è sempre stato molto difficile e aggrovigliato. Una storia che inizia alla fine del XVI secolo grazie al gesuita Matteo Ricci, il cui motto divenne “farsi cinese tra i cinesi” e che portò per primo la fede cattolica all’interno dell’Estremo Oriente. Ma che poi inizia ad oscurarsi sempre di più dopo il 1949 con l’avvento della Repubblica Popolare Cinese. Per più di sessanta anni la Città del Vaticano e la Cina comunista non si sono parlate ma oggi Papa Francesco, un altro gesuita (forse non a caso), ha la possibilità di fare quel passo decisivo per aprire definitivamente il dialogo tra due parti che, per DNA, non hanno nulla in comune.

 

I cittadini cinese vivono all’interno di un Paese che è formalmente laico, perché ancora formalmente appartenente al campo del socialismo reale, ma che nella sua pratica non ha mai dichiarato illegali (se non durante gli anni bui della Rivoluzione Culturale tra il 1966 e il 1976) le cinque grandi religioni praticate dai suoi cittadini: Buddismo, Taoismo, Islamismo, Cattolicesimo e Protestantesimo. 

Le rivendicazioni dei buddisti del Tibet o i musulmani dello Xinjiang (la regione a Nordovest del Paese) sono profondamente diverse da quelle dei cattolici, atomizzati all’interno del vastissimo territorio cinese. Non ci sono richieste di indipendenza o maggiore autonomia, non ci sono attività violente di fondamentalismo cattolico, non può neanche essere considerata una grande minoranza visto che meno dell’1% della popolazione cinese si dichiara cattolica. 

Per capire grande scoglio che oggi Papa Francesco è chiamato a superare, grazie al suo realismo e alla sua maggiore apertura rispetto ai suoi predecessori, bisogna risalire agli anni ’50 dello scorso secolo. Il primo passo verso la sospensione dei rapporti tra le due parti infatti avvenne nel 1951 quando la Città del Vaticano riconobbe Taiwan come Stato sovrano; il secondo passo avvenne nel 1957 quando Mao Zedong decise di instaurare l’Associazione patriottica (anche conosciuta come Chiesa patriottica). Quest’ultima aveva, ed ha ancora, la funzione di controllo da parte dello Stato delle attività e della vita della Chiesa Cattolica all’interno del Paese. Una delle più alte responsabilità che la Santa Sede ha è quella di nominare i suoi vescovi in tutto il mondo e proprio questa è stata (ed è) il motivo dello scontro più violento tra i due Stati perché Pechino, attraverso l’Associazione patriottica, vuole nominare i vescovi del suo Paese.

Questa divisione ha portato una divisione della Chiesa Cattolica in Cina: da una parte ci sono i vescovi illegittimi e dall’altra i vescovi clandestini. I primi sono illegittimi agli occhi del Papa in quanto nominati dall’Associazione patriottica, i secondi sono clandestini secondo la Repubblica Popolare Cinese perché nominati dalla Santa Sede ma non riconosciuti come autorità da Pechino.

Quello che non deve essere frainteso è però il motivo di questa decisone da parte di Pechino, ovvero quella del controllo totale della popolazione, e non quindi come alcuni hanno suggerito, la volontà da parte del governo cinese di creare una “propria Chiesa cattolica cinese”. Non bisogna mai dimenticare la cultura millenaria, profonda e infinita del popolo cinese (sottolineata più volte nella prima intervista di Papa Francesco sulla Cina) che quindi non necessita di una nuova religione, per di più se importata dall’Occidente.

Per cercare di modificare questa situazione molto complessa sono state avanzate molte ipotesi nel corso degli anni a partire dalla fine degli anni ’70. La morte di Mao Zedong (1976) e l’ascesa al potere di Deng Xiaoping nel 1978 coincidono con l’ascesa al pontificato di Giovanni Paolo II, anche egli nel 1978. Il nuovo Papa nomina come Cardinale Segretario di Stato Agostino Casaroli, figura cruciale per l’apertura della Chiesa Cattolica verso i Paesi comunisti dell’Est Europa (Ostpolitik della Chiesa). Casaroli cerca quindi di lavorare su dei piani inclinati, cercando di smussare i dogmatismi delle due parti per mantenere viva la presenza cattolica in Cina senza la paura di uno scisma da parte dell’Associazione Patriottica. L’idea si basa quindi sulla possibilità di autorizzare i vescovi patriottici a ordinare senza mandato apostolico (mantenendo quindi il pilastro centrale dell’unicità della Santa Sede).

Nel 2005 Giovanni Paolo II muore, mentre in Cina al successore di Deng Xiaoping (Jiang Zemin) è succeduto Hu Jintao nel 2003. Due nuove leadership quindi possono confrontarsi nuovamente. Benedetto XVI però non ha una visione diplomatica molto sviluppata e piuttosto che rafforzare l’opzione Casaroli nomina Tarcisio Bertone Segretario di Stato (in netta contraddizione con il suo predecessore) e, in più, nomina Joseph Zen vescovo di Hong Kong. Quest’ultimo ha un profilo di chiusura nei confronti delle politiche diplomatiche tra Santa Sede e Cina Popolare. Zen blocca più di una volta i tentativi degli studiosi vaticani di interagire in maniera positiva con Pechino, di fatto bloccando ogni tipo di sviluppo.

Dal 2013 è cambiato tutto nuovamente con l’elezione del gesuita Papa Francesco, il Papa che sta portando molte novità all’interno della Chiesa Cattolica, e l’elezione di Xi Jinping come Presidente della Repubblica Popolare Cinese, anche lui uomo del cambiamento profondo nella Cina che oggi sfida lo strapotere USA.

La novità più grande è la forte discontinuità con il recente passato. Non più la chiusura di Zen o l’eurocentrismo di Benedetto XVI, ma il cosmopolitismo gesuita di Francesco I e l’apertura diplomatica di un nuovo vescovo di Hong Kong: John Tong Hon.  La soluzione che sembra essere sempre più possibile è quella che ricalca per certi versi quella degli anni Ottanta, ovvero che da parte cinese si continuerà a parlare di “elezione”, ma da parte vaticana si considera l’elezione come una “raccomandazione” della Chiesa locale. Quindi la “proposta” che la Chiesa cinese farebbe a Vaticano che, in seguito, nominerà formalmente il vescovo. In questo modo la Santa Sede continuerà a rimanere la più alta autorità Cattolica mentre Pechino potrà continuare ad esercitare un controllo vasto all’interno del suo territorio.

La necessità di un accordo tra entrambe le parti è necessario per due ragioni. La prima da parte di Pechino, attore che sempre di più sta emergendo all’interno del panorama mondiale e che non può permettersi di rimanere senza un contatto ufficiale con la Santa Sede. La possibilità che l’autorità di Papa Francesco sta dando a Xi Jinping è molto importante ed è nell’interesse del Presidente cinese coglierla per poter attuare ancora di più la politica del soft power. La seconda invece è da parte della Santa Sede che ha la necessità di rimanere attiva, di espandersi e di rinnovarsi (adeguandosi dove ce n’è il bisogno) per poter mantenere quello status di attore fondamentale grazie alla sua capacità diplomatica e di persuasione.

 

 

Fonti e Approfondimenti:

http://www.lastampa.it/2016/08/04/vaticaninsider/eng/world-news/hong-kongs-cardinal-john-tong-hon-writes-on-the-chinaholy-see-dialogue-X8zJXqFVjhaWYOrJVhPZjJ/pagina.html

http://www.limesonline.com/la-prima-intervista-di-papa-francesco-sulla-cina/89412

http://www.limesonline.com/in-che-cosa-credono-i-cinesi/59268

http://www.limesonline.com/rubrica/la-cina-il-vaticano-e-il-rischio-dello-scisma

https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/chiesa-e-cina-parole-e-fatti-nuovi

Johnson, I., “China’s Great Awakening”, Foreign Affairs, vol.96 n. 2, 2017

Ringrazio Alberto Bobbio per le utili note

 

Leave a comment

Your email address will not be published.


*


%d