La Slovacchia, tra Mafia e corruzione

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@ Slavomír Frešo, Wikimedia commons,

L’omicidio del giornalista slovacco Jan Kuciak ha interessato molto l’opinione pubblica nostrana, dato il coinvolgimento della mafia calabrese e l’arresto di diversi italiani. La vicenda ha avuto importanti ripercussioni politiche all’interno del Paese, la cui popolazione ha cominciato a chiedere minore corruzione interna e più trasparenza.

La vicenda

È da circa un mese che la Slovacchia compare più o meno ripetutamente nei telegiornali italiani: caso strano, dato lo scarso peso che il piccolo Paese dell’Europa Centrale, di circa cinque milioni e mezzo di abitanti, ha a livello internazionale. L’improvviso accendersi dell’interesse degli italiani è stato causato dal ritrovamento dei corpi del giornalista Jan Kuciak e della fidanzata Martina Kusnirova, uccisi a colpi di pistola nel loro appartamento lo scorso 21 febbraio. La causa del delitto sembra risiedere nell’indagine ,pubblicata postuma dalla testata per cui lavorava (Aktuality.sk), che il ventisettenne stava conducendo, collegando alcune figure di primo piano del governo di Robert Fico con alcuni italiani appartenenti alla ‘ndrangheta, la nota organizzazione mafiosa di origine calabrese.

Kuciak descriveva nel dettaglio come alcuni collaboratori di Fico fossero in stretto contatto con Antonino Vadala, uno degli italiani trattenuti dalla polizia slovacca. Due tra questi, l’ex modella Mária Trošková e il capo del consiglio di sicurezza nazionale Viliam Jasaň, menzionati direttamente nell’articolo, si sono dimessi dal proprio incarico.

Lo scandalo ha assunto in poco tempo dimensioni nazionali e questo si è riflesso nel numero e nell’importanza delle teste cadute a seguito delle prime due. La popolazione si è infatti riversata in strada, specialmente a Bratislava, in quella che è stata definita come la più grande protesta popolare in Slovacchia dopo la Rivoluzione di Velluto del 1989, che aveva accompagnato il collasso del regime comunista. Inneggiando a una “Slovacchia perbene” (“for a decent Slovakia”), più di 40.000 persone hanno partecipato alle proteste nella capitale. La richiesta principale era che il governo si assumesse le proprie responsabilità e affrontasse una volta per tutte la corruzione, il male principale di uno stato che, altrimenti, sotto la decennale guida dello Smer di Fico, ha conosciuto un impressionante boom economico dall’ingresso nell’Unione Europea nel 2004.

Le conseguenze per il governo

La prima figura di alto rango a perdere il posto è stata quella di Marek Maďarič, Ministro della Cultura. Nel rassegnare le proprie dimissioni egli ha dichiarato di non poter accettare che un giornalista fosse stato ucciso durante il suo mandato, il primo caso dall’arrivo della democrazia in Slovacchia.

Ciò non è bastato e pochi giorni dopo un colpo molto più duro è arrivato al governo di Fico. Su insistenza di un partito membro della coalizione di governo ,che rappresenta principalmente l’importante minoranza ungherese (il Most-Hìd), il Ministro degli Interni Robert Kaliňák, giovane protegé di Fico e da molti indicato come suo successore, ha lasciato il 12 marzo il proprio incarico. In molti, infatti, sottolineavano come ciò fosse necessario per permettere alle indagini di essere il più imparziali possibile: ciò non è chiaramente realistico nel momento in cui il Ministro degli Interni, cui fanno capo le forze di polizia, si trova in una posizione di conflitto di interessi come nel caso di Kaliňák.

Nel constatare come neanche questo passo indietro avesse posto fine alle proteste, il Primo Ministro Fico ha compreso come l’unica cosa rimasta da fare fosse quella di porre fine al proprio governo: ciò è avvenuto il 15 marzo, meno di tre settimane dopo l’assassinio di Kuciak.

Esperto uomo di stato e principale protagonista della politica slovacca negli ultimi dieci anni, Fico ha cercato di limitare i danni. Egli ha infatti indicato come proprio successore per un nuovo governo Peter Pellegrini, membro dello Smer e figura a lui vicinissima. L’idea era quella di abbandonare formalmente il potere, ma di mantenere in pratica il controllo del partito e del parlamento. La strategia ha dato i suoi frutti: il 21 marzo il Presidente slovacco Andrej Kiska, rivale politico nonché vincitore delle presidenziali del 2014 in una corsa proprio contro Fico stesso, ha accettato la proposta di nuovo governo di Pellegrini.

Kiska ha sottolineato di aver rifiutato una prima proposta, che vedeva un Ministro degli Interni troppo vicino a Kaliňák per poter essere imparziale, e di non essere soddisfatto in ogni caso dalla squadra di governo presentata, troppo simile a quella precedente. Il nuovo governo non avrà vita facile nell’ottenere la fiducia della popolazione: numerosi si sono dichiarati scettici nei confronti di questo apparente rinnovamento. Pellegrini è infatti un uomo di fiducia di Fico, e tutti i (pochi) sostituti fanno parte dello Smer, partito principale slovacco al centro dell’indagine condotta da Kuciak.

Il problema della corruzione

Il cuore delle proteste si trova nella voglia di rinnovare una classe politica che da molti è ormai percepita come inadeguata e corrotta. L’assassinio di Kuciak è stato la proverbiale goccia che ha fatto traboccare un vaso che già da tempo era al limite della propria capienza. Infatti diverse organizzazioni, come la Fair Play Alliance – con sede a Bratislava – e la Transparency International Slovakia, hanno condotto indagini e ricerche con lo scopo di mostrare come quello della corruzione sia un problema che, in Slovacchia, ha ormai assunto una portata nazionale. Significativa una dichiarazione di Peter Kunder, membro della FPA, nella quale egli ha affermato come le istituzioni pubbliche siano use a vari tipi di abusi, con lo scopo di sopprimere la competizione tra vari gruppi e assicurare loro contratti governativi, controlli blandi e impunità legale.

Il governo ha attuato nel corso degli anni una serie di misure anticorruzione, tra cui protezione per chi denuncia comportamenti illeciti o non etici da parte dei colleghi e maggiore trasparenza nell’identificare chi conduca affari con il governo tramite la creazione di liste di partner del settore pubblico. La già citata TIS ha osservato come queste misure siano insufficienti e blande, spesso utili in casi estremamente specifici e non in grado di risolvere un problema sistemico. Inoltre, Bratislava non ha legiferato del tutto in alcuni casi specifici, come nel caso delle normative Europee volte al contrastare il riciclaggio di denaro: misure a tutt’oggi non esistenti che avrebbero dovuto essere implementate entro l’estate del 2017.

Interessante notare come, nonostante le misure di facciata e l’evidente problema di corruzione interna, il governo Smer di Fico, di stampo social-democratico, ma che ha conosciuto negli ultimi anni una svolta populista – sebbene di minor entità rispetta alle vicine Polonia e Ungheria – sia riuscito a rimanere al potere per dieci degli ultimi dodici anni. Questo è dovuto al favorevole momento storico in cui Fico si è trovato a governare: a seguito del crollo dello stato comunista dell’ingresso nell’Unione Europea, la Slovacchia ha conosciuto un periodo di notevole crescita economica, tale da farle accreditare, attorno al 2010, il soprannome di “Tigre del Tatra”, da una catena montuosa al confine con la Polonia.

Il ruolo del giornalismo

Da sempre l’omicidio di giornalisti e, in generale, la riduzione della libertà di stampa sono associati a una maggiore ingerenza dell’esecutivo negli equilibri statali. È presto per dire se ciò sia vero anche nel caso della Slovacchia, ma lo scopo primario delle proteste di piazza è proprio quello di evitare che una situazione ancora poco chiara possa sfociare in una più esplicitamente negativa. D’altronde lo Smer è il principale slovacco da anni; le numerose buone politiche portate avanti nel corso del tempo non cancellano il fatto che un periodo così lungo al potere ha necessariamente ripercussioni a livello di corruzione interna.

Non è la prima volta che l’assassinio di un giornalista porta all’attenzione dell’opinione pubblica i problemi interni di un paese, ma era opinione comune che un simile evento non potesse più accadere nella civile Europa. Invece non è il primo caso negli ultimi tempi: dall’inizio del 2017 ben cinque giornalisti sono stati uccisi. Due di questi omicidi sono avvenuti in Russia, dove le condizioni in cui versa la libertà di stampa sono note, e un altro ha visto una giornalista svedese probabilmente uccisa da un ricco cittadino danese. Ha fatto particolare scalpore, invece, l’omicidio di Daphne Caruana Galizia, giornalista investigativa maltese uccisa da una bomba piazzata in un’automobile mentre indagava su casi di corruzione e riciclaggio di denaro nella piccola isola mediterranea.

Ad ogni modo, diversi commentatori hanno osservato come le proteste in Slovacchia abbiano un forte peso: l’interesse della popolazione dimostra come alcuni valori, tra cui la libertà di stampa e di parole, siano ancora fondamentali. Resterà da vedere se la svolta promessa dallo Smer sarà effettiva o solo di facciata.

 

 

Fonti e Approfondimenti:

Blood on Their Hands?

https://www.economist.com/news/europe/21738912-murder-investigative-reporter-threatens-prime-minister-can-slovakias-government

https://spectator.sme.sk/c/20777274/kiska-and-fico-unable-to-find-common-ground.html

https://www.reuters.com/article/us-slovakia-crime-president/slovak-president-urges-government-shakeup-in-wake-of-murder-of-journalist-idUSKBN1GG0R3

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