Di Jasmine Faudone
Dopo aver trattato i caratteri essenziali dell’immigrazione LGBT dal punto di vista antropologico e giuridico, il terzo incontro del seminario “Migro perché sono” ha affrontato il tema delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale nel quadro europeo.
Il tema è stato presentato da Federico Casolari, professore associato di Diritto dell’Unione Europea presso l’Università di Bologna.
In questo contesto, per discriminazioni basate sull’orientamento sessuale s’intende il fenomeno relativo a soggetti che risiedono, legalmente o illegalmente, nel territorio dell’Unione Europea.
Le norme di riferimento vanno ricercate nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, nota anche come Carta di Nizza, fonte di diritto primario dell’Unione Europea.
I diritti enucleati nella stessa devono essere rispettati in tutti gli Stati Membri, tuttavia la Carta non può essere invocata in qualsiasi situazione: è necessario che vi sia un collegamento con il diritto dell’Unione Europea. Se siamo di fronte ad una situazione in cui il diritto europeo non è applicabile, non sarà possibile richiamare la Carta.
Il terzo titolo della Carta è dedicato all’uguaglianza. Le norme di riferimento sono gli artt. 20 e 21 che hanno portata generale. L’art. 20 enuncia il principio di uguaglianza formale, l’art. 21 codifica il divieto di discriminazione. Gli artt. 22-26 riguardano, invece, la tutela di situazioni specifiche come la tutela dei minori, delle persone anziane, dei disabili, la parità di genere, la diversità culturale.
Ci troviamo, quindi, di fronte a norme a carattere orizzontale e a norme a carattere verticale che specificano le prime perché si pensa che, nelle situazioni tutelate da queste ultime, le probabilità di discriminazione siano più elevate. Inoltre, la dimensione verticale, rispetto a quella orizzontale, implica un’azione positiva dell’Unione Europea. Tuttavia, la Carta non è una base giuridica atta a giustificare l’adozione di misure contro la discriminazione: la Carta è solo un parametro. Le basi giuridiche per contrastare le discriminazioni sono, invece, contenute nel TFUE e, inoltre, grazie alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, sono stati enucleati dei principi e delle norme a portata generale, attraverso un’opera di astrazione di strumenti di tutela presenti sia nell’ordinamento UE sia negli ordinamenti degli Stati Membri. Per esempio, l’art. 157 TFUE prevede che il legislatore possa adottare delle misure per contrastare la discriminazione di genere in ambito lavorativo.
La Carta ha dato un valore aggiunto all’adozione di queste misure, che oggi vengono concepite come azioni di tutela dei diritti fondamentali della persona.
Passando ad un’analisi più dettagliata delle norme a portata generale, possiamo affermare che l’art. 20 della Carta enuncia il principio di uguaglianza in senso formale. Si tratta della prima codificazione nell’ordinamento giuridico dell’Unione Europea, precedentemente si trovavano soltanto dei riferimenti in norme di diritto derivato. Il punto centrale da evidenziare è l’ambito di applicazione soggettiva. La norma è infatti destinata a “tutte le persone”, ossia tutti i soggetti sottoposti alla giurisdizione di uno Stato Membro in qualunque situazione essi si trovino. Pertanto, non è rilevante il requisito della cittadinanza e neanche il fatto di essere migranti irregolari.
L’art. 21, invece, sancisce il divieto di discriminazione. Il primo comma riporta alcuni dei casi in cui è vietata la discriminazione, ma trattandosi di un elenco non tassativo il suddetto divieto si può estendere anche ad altre situazioni. Il secondo comma vieta la discriminazione fondata sulla nazionalità. In questo caso, ci si riferisce alla nazionalità di cittadini dei paesi membri e non di paesi terzi.
Si potrebbe affermare che il divieto di discriminazione abbia una dimensione più pratica rispetto al principio di uguaglianza. In realtà, la Corte di Giustizia li prende spesso in considerazione congiuntamente, senza elaborare alcuna distinzione.
Per comporre il giudizio di avvenuta discriminazione, bisogna prendere in considerazione i seguenti elementi:
- Occorre avere situazioni comparabili: non è necessario che siano identiche, ma devono essere comparabili. In casi eccezionali, si opera sulla base di meccanismi presuntivi;
- Se il trattamento rilevante ha determinato un pregiudizio per la persona che lo ha subito, vi è stata discriminazione. Normalmente la persona che denuncia la discriminazione ha il compito di provare l’esistenza dei fatti e del pregiudizio, mentre spetta al convenuto (ritenuto responsabile del comportamento discriminatorio) provare che non c’è stata discriminazione;
- Esistenza delle cause di giustificazione: in alcuni casi la discriminazione è consentita perché vi sono delle cause di giustificazione. Queste possono essere previste dai trattati, dal diritto derivato o da altre ipotesi ammesse dalla Corte di giustizia (per esempio, una classica deroga è l’ordine pubblico).
A questo punto è legittimo chiedersi se esiste una gerarchia tra i fattori discriminanti previsti dall’art. 21 oppure se sono tutti sullo stesso piano.
Alcuni autori hanno sostenuto l’esistenza di una gerarchia. Tuttavia, la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha smentito queste posizioni, come ad esempio avvenuto nel caso Mangold, riguardante la discriminazione sul lavoro fondata sull’età.
L’art. 21 fa riferimento alla discriminazione basata sull’orientamento sessuale, ma non all’identità di genere. Secondo la Corte, questo aspetto è coperto dal divieto di discriminazione in base al sesso e dall’art. 23 della Carta sulla parità di genere. Per il resto, all’interno della disciplina dell’UE non ci sono specifiche disposizioni per contrastare il fenomeno della discriminazione dei migranti LGBT, le cui tutele sono riconducibili agli artt. 20 e 21 della Carta.
In conclusione, possiamo affermare che si tratta di una tutela poco sviluppata in termini specifici, anche se il quadro giuridico di riferimento è molto ampio. Una possibile soluzione può essere valutare se si sono verificate discriminazioni multiple, cioè se si è in una condizione in cui più fattori discriminanti (ad esempio orientamento sessuale, nazionalità, cittadinanza) si sovrappongono.