Il lungo cammino della cittadinanza inclusiva

Ogni individuo ha diritto a una cittadinanza“. Poche e chiarissime parole che vengono iscritte nella Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e del cittadino.

A partire da questa premessa si può analizzare quanto sta accadendo nel nostro Paese già da tempo. C’è da dire che la questione della cittadinanza può, allo stato attuale delle cose, essere osservata da due punti di vista diametralmente opposti: si può guardare ciò che ancora non è stato fatto oppure si possono osservare i piccoli risultati raggiunti.

Qualche mese fa è (ri)iniziato un iter legislativo di lontanissima origine – risalente al 2003 – che riguarda la riforma della cittadinanza. Atavica è la sua necessità e ancora più antiche sono le difficoltà che ha incontrato nel suo cammino per l’approvazione e la sua conseguente promulgazione. L’ultima attività degna di nota si registra a inizio ottobre scorso quando, dopo uno stallo durato ben quattro anni, la proposta di riforma è passata nuovamente all’attenzione della Commissione per gli affari costituzionali della Camera dei Deputati.

La proposta, che introduce il cosiddetto ius soli, dovrebbe andare a modificare l’attuale normativa vigente in materia di cittadinanza, la legge 91/1992, che presenta alcuni problemi.

In primo luogo perché è una legge ormai obsoleta, mal legata alle necessità e al panorama sociale attuale. Secondariamente perché in questo momento è necessario prendere una posizione decisa in materia di diritti civili.

Lo Ius Sanguinis

Lo ius soli, letteralmente “diritto alla terra”, rappresenta infatti un tassello del processo di integrazione che da anni subisce forti battute d’arresto da vincere una volta per tutte.

La legge al momento in vigore prescrive una regola assai semplice: la cittadinanza si acquisisce dai genitori per nascita, il cosiddetto ius sanguinis. Pertanto, il padre o la madre – e questa specificazione è il frutto di una serie di sentenze della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale – trasmettono, come se fosse un’eredità privata, la cittadinanza al figlio, ovunque sia nato.

Ben inteso che questo metodo non comporta assolutamente nulla di sbagliato, ciò su cui si concentra oggi l’attenzione delle proposte di riforma riguarda l’ampliamento delle situazioni alle quali viene ricondotto il riconoscimento della cittadinanza. È evidente che il legislatore di venti anni fa non ha tenuto in considerazione, anche per un quadro politico e sociale molto differente, della presenza crescente di ragazzi nati sul suolo italiano da genitori non italiani ai quali si dovrebbe comunque riconoscere il diritto alla cittadinanza italiana.

Pertanto la legge – ancora – attuale prevede, nell’articolo di apertura, che in linea generale un soggetto è cittadino italiano grazie alla discendenza da genitori cittadini italiani. È quindi stabilito in maniera chiara e inequivocabile che la cittadinanza si trasmette iure sanguinis.

Sono menzionate anche due fattispecie di cittadinanza iure soli, ma riguardano casi del tutto eccezionali. Viene infatti stabilito che il soggetto nato sul territorio italiano, figlio di apolidi o genitori ignoti, o che non possa avere la cittadinanza dei genitori, acquista di diritto quella italiana. Quindi esiste già una prima bozza dello ius soli, ma legata a situazioni talmente particolari che non possono essere considerate possibilità di riferimento onnicomprensive.

Viene poi trattata la materia dell’acquisizione della cittadinanza da parte di un soggetto straniero, cioè un soggetto che non ha genitori di cittadinanza italiana ma che è nato sul territorio dello Stato. Il secondo comma dell’art. 4 dispone infatti che “Lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dalla suddetta data”.

In questo caso il soggetto deve fare una richiesta specifica di acquisizione di cittadinanza italiana entro un anno dal compimento della maggiore età. Cercando di capire la reale portata di questa disposizione emergono alcune problematiche: quella più lampante riguarda il fatto che venga richiesto un soggiorno “legale”. Questo fa sì che, negli anni precedenti al compimento dei 18 anni, il soggetto deve ottenere e regolarmente detenere un permesso di soggiorno nel proprio Paese, quello in cui è nato, quello in cui studia, in cui coltiva la sua vita e le sue passioni e dove vorrebbe costruire un proprio futuro. Appare evidente l’assurdità della situazione. È inoltre stabilito che, per far sì che si acquisti la cittadinanza, i suoi genitori debbano essere stati in possesso del permesso di soggiorno e abbiano prontamente iscritto il figlio nel nucleo familiare, così da certificare l’acquisizione della residenza, elemento fondamentale per la futura cittadinanza. C’è da aggiungere che, fortunatamente, a questo proposito è stata prevista una specifica elasticità sul criterio della residenza, e infatti questa può essere provata anche in modo diverso dal certificato di residenza.

Arriviamo dunque al momento dei 18 anni. A questo punto la legge richiede che l’interessato faccia richiesta all’Ufficio di stato civile del comune di residenza. Una nuova introduzione ex lege 98/2013 ha previsto una norma di favore che pone, a carico dell’Ufficiale dello stato civile, il dovere di avvisare 6 mesi prima del compimento della maggiore età della possibilità di richiedere la cittadinanza, ed estende la possibilità di fare richiesta fino al compimento dei 19 anni; inoltre, se dovesse mancare questo avviso, il richiedente ha a disposizione dei termini più lunghi.

Il lungo cammino della proposta di riforma

Bisogna quindi domandarsi se questa riforma c’è stata o no e bisogna comprendere come rispondere senza argomentazioni non sarebbe corretto a causa del complesso percorso che sta affrontando la proposta.

Nel caso specifico la questione è ancora più spinosa: nel 2015 la Camera ha approvato, con 310 voti favorevoli, 66 contrari e 83 astenuti, il disegno di legge. Come da prassi, a questa fase sarebbe dovuta seguire quella dell’esame al Senato, e qui l’intoppo. Le Camere sono state infatti sciolte prima che si arrivasse all’esame e ciò ha portato il tutto nel dimenticatoio, anche guardando il periodo politico appena trascorso.

Al momento però la stessa proposta è in esame alla Commissione affari costituzionali della Camera dei Deputati, da circa un mese. È ovvio che la strada per poter arrivare a una concreta riforma è segnata da lungaggine e da mille difficoltà, ma è una riforma ormai necessaria e attesa da molti.

Al momento, infatti, secondo le stime di UNICEF, il numero di soggetti “stranieri” risiedenti in Italia che potrebbero beneficiare di questa novità si aggira sugli 800.000.

Ius Soli, Ius Culturae e Ius Soli Temperato

La proposta di legge prevede che lo ius sanguinis sia integrato da una nuova tipologia di iure civitatis. In particolare si stanno affrontando i temi dello ius soli e dello ius culturae e, come posizione mediana, quello dello ius soli temperato.

Lo ius soli ha sollevato polemiche ripetute e, a tratti, pesanti ed è stato contestato soprattutto da chi lo ritiene il lasciapassare per bande di criminali.

Ovviamente non sarebbe affatto questo il suo intento e nello specifico la proposta promette di riconoscere la cittadinanza a chiunque sia nato sul territorio italiano, i cui genitori abbiano residenza regolare in Italia da almeno un anno o abbiano, anche solo uno dei due, la cittadinanza italiana.

La proposta prevede anche la possibilità di acquisire la cittadinanza per tutti coloro che, avendo una residenza regolare in Italia da almeno 5 anni, rispettano un criterio reddituale, e viene anche posta l’attenzione alla figura dei rifugiati, per i quali il periodo di residenza si abbassa a 3 anni.

Nella prima categoria di ipotesi, cioè quella riferita a genitore italiano o a genitori residenti, questi saranno parte attiva dell’iter, avendo infatti la possibilità di richiedere, ancor prima che il figlio compia 18 anni, che lo stesso acquisti la cittadinanza italiana.

C’è da dire che, in assenza della richiesta da parte dei genitori, la persona nata qui potrà autonomamente provvedere alla richiesta alle autorità competenti e godrà di un termine di 2 anni a seguito del compimento della maggiore età per presentare istanza, a fronte dell’anno unico prescritto dalla normativa attuale.

Lo ius culturae ha come perno la formazione scolastica. Viene infatti proposto di riconoscere come cittadini italiani quei bambini che sono nati in Italia e che vi abbiano frequentato e concluso un ciclo di formazione obbligatoria, cioè la scuola primaria o primaria secondaria, a seguito della richiesta fatta da un genitore. Per coloro che invece non sono nati in Italia ma hanno frequentato parte delle scuole dell’obbligo è richiesta anche la residenza ininterrotta per almeno 3 anni, avendo frequentato e concluso il ciclo di scuola primaria.

Una posizione mediana viene assunta dallo ius soli temperato, che poi è risultato quello realmente preso in considerazione dalla Camera.

Questo figura come un mix tra i due precedenti iures e prevede che chi è nato in Italia e ha compiuto un ciclo di studi ha diritto alla cittadinanza. Quindi trae le parti fondamentali di entrambe le proposte e le unisce per creare un ampio spettro di possibilità. La richiesta per la cittadinanza può essere fatta anche dai genitori, purché gli stessi siano in possesso di un permesso di soggiorno permanente, ovvero di un permesso di soggiorno di lungo periodo, e che abbiano risieduto qui per almeno 5 anni. Parimenti, un minore nato o arrivato in Italia prima del compimento dei 12 anni che ha frequentato le scuole per almeno 5 anni, ovvero corsi professionali per almeno 3, acquista la cittadinanza italiana.

Il punto di interesse di tutta questa disamina sta in un fatto semplice ma non banale: la cittadinanza, oltre che essere un diritto espressamente riconosciuto anche da Carte di valore internazionale, è la base del vivere sociale all’interno di uno Stato. Dalla cittadinanza dipendono infatti i famosi diritti e doveri dei cittadini, quelli che consentono a chiunque di essere partecipe della vita politica, sociale, economica e culturale di un Paese, e sono gli stessi che riconoscono obblighi di collaborazione sociale ed economica a carico dei consociati. La cittadinanza crea vita, progetti e anche denaro, e ritenere che ancora oggi possano esistere delle limitazioni così radicali e lontane dalla realtà significa non voler guardare in faccia la trasformazione culturale del Paese.

Fonti e approfondimenti

Be the first to comment on "Il lungo cammino della cittadinanza inclusiva"

Leave a comment

Your email address will not be published.


*


%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: