La Politica Europea di Vicinato a Est: Il Partenariato Orientale

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

La nostra analisi riguardo la Politica Europea di Vicinato si sposta a est, con il Partenariato Orientale. Quest’approccio multilaterale verso sei Paesi ex-sovietici ha ottenuto diversi successi, soprattutto in campo economico. Allo stesso tempo, però, non si è dimostrato in grado di contrastare potenze più militarizzate e realiste come la Russia dal punto di vista della sicurezza.

Creazione e scopo

Il Partenariato Orientale (noto anche con l’acronimo inglese EaP, Eastern Partnership) è un’iniziativa politica nata nel maggio 2009 nel contesto della Politica Europea di Vicinato (PEV). Creata su iniziativa polacca e con il fondamentale supporto del Governo svedese, il suo scopo ufficiale è quello di rafforzare le relazioni politiche ed economiche tra l’Unione europea e i sei Paesi post-sovietici a est: Armenia, Azerbaijan, Georgia, Bielorussia, Moldavia e Ucraina.

L’EaP rappresenta la componente multilaterale della PEV nella zona, supportata finanziariamente dallo Strumento Europeo di Vicinato. L’obiettivo dichiarato è quello di fornire venti “prodotti finali”, inseriti nelle macro-categorie Economia, Governance, Connettività e Società. A livello regionale, si parla soprattutto di garantire stabilità, sviluppo sostenibile, sicurezza e gestione dei conflitti.

La gran parte dell’attività europea, come vedremo nei prossimi articoli, viene svolta tramite accordi bilaterali personalizzati. A differenza di quanto avvenuto per l’Unione per il Mediterraneo, però, l’Unione ha cercato di dare più importanza all’aspetto regionale e multilaterale. Questo perché, nelle varie reiterazioni del Partenariato, la componente politica si è fatta sempre più spiccata – abbracciando temi come la good governance e il rispetto della democrazia, nel contesto di una crescente rivalità con Mosca. Inoltre, sebbene molto lontana, la prospettiva di integrare questi Paesi nell’Unione è quantomeno contemplabile, a differenza di quanto avviene per i Paesi dell’Unione per il Mediterraneo.

I risultati di due logiche contrastanti

Come spesso accade quando si analizzano politiche europee – soprattutto in caso di relazioni esterne – i risultati sono contrastanti. A livello socio-economico, si può certamente dire che il Partenariato si sia dimostrato utile ed efficace. L’integrazione economica dei sei Paesi con l’enorme mercato europeo ha portato dei buoni frutti, così come la convergenza a livello normativo con l’acquis comunitario. Accordi di Associazione (AA) sono stati conclusi con Georgia, Moldavia e Ucraina, garantendo la creazione di Aree di Libero Scambio. L’Armenia ha siglato il CEPA (Comprehensive and Enhanced Partnership Agreement), preferendolo al più impegnativo AA a causa dei suoi rapporti con la Russia. La creazione di commercio transnazionale – tanto regionale quanto con l’Unione stessa – è aumentata, anche grazie all’eliminazione di numerose barriere al commercio conseguente alla ratifica di tali accordi.

Quando si lascia l’ambito economico, però, i successi dell’EaP sono molto più limitati. Molti osservatori ritengono che l’azione europea non sia di fatto mai stata in grado di risolvere o prevenire minacce alla sicurezza nella zona, nonostante le ambizioni in tal senso. L’Unione è ancora troppo disunita al suo interno, e presenta troppe mancanze a livello istituzionale per poter essere un attore efficace in politica estera. Specificamente riguardo al Partenariato, questa inefficacia è aggravata dalla presenza di due logiche, spesso contrastanti l’una con l’altra.

La prima è quella normativa, attraverso cui l’Unione enfatizza concetti come vicinanza, cooperazione e amicizia con i vicini orientali. Secondo questa visione, le problematiche nella zona sarebbero comuni e andrebbero affrontate insieme. L’Ue e i Paesi EaP verrebbero posti dunque allo stesso livello nell’identificazione delle politiche necessarie. Il secondo approccio è invece legato alla logica delle minacce esterne: le relazioni con il vicinato orientale comportano una serie di rischi, per i quali l’Unione deve trovare soluzioni – spesso unilaterali. Tali problemi sono quelli tipici dei rapporti con Stati deboli: terrorismo, corruzione, traffici illeciti. I due approcci suggeriscono politiche differenti e contrastanti e l’Unione, nell’adottare incoerentemente entrambi, ha spesso compromesso l’efficacia delle proprie azioni. Questa esitazione ha permesso ad attori più assertivi, come la Russia, di espandere la propria influenza nella Regione.

I rapporti con la Russia

In effetti, Mosca si è imposta negli ultimi anni come l’attore davvero in grado di disegnare i confini della mappa nel vicinato orientale. L’Unione europea gode sicuramente di maggior attrattiva a livello economico, grazie al potenziale del suo mercato unico. La Russia, però, agisce in modo coerente e realista grazie alla ferrea leadership di Vladimir Putin, e non si è fatta scrupoli, in passato, a usare lo strumento militare. I casi più noti sono la guerra con la Georgia, nel 2008, e l’invasione della Crimea a seguito dell’AA siglato tra Kiev e Bruxelles.

La Russia infatti percepisce la politica di vicinato europeo come una minaccia per la propria sfera di influenza. Quest’ultima è considerata fondamentale, l’unico modo che ha Mosca per mantenere il proprio status di grande potenza in un mondo multipolare. Mantenere una forte influenza sull’Est Europa assicura infatti a Putin, al di là dei benefici geopolitici, anche supporto interno, rafforzando la propria posizione agli occhi degli elettori.

Perciò, Mosca ha sviluppato un modello alternativo di integrazione regionale, l’Unione Economica Eurasiatica (UEE), che comprende Bielorussia, Armenia, Kazakistan e Kirghizistan. È stato sottolineato come la Russia abbia utilizzato metodi alquanto controversi per convincere alcuni dei membri dell’UEE ad entrare a farne parte. Questo è il caso dell’Armenia, che ha preferito aderire all’Unione Eurasiatica invece che siglare un AA con l’UE, temendo ritorsioni russe.

Sicuramente la contemporanea presenza del Partenariato Orientale e dell’Unione Economica Eurasiatica ha istituzionalizzato la situazione quasi bipolare nella zona. L’Unione europea e la Russia propongono ciascuna un proprio modello di integrazione regionale, e percepiscono l’altro come una minaccia per la propria egemonia. Mosca teme un ulteriore allargamento dell’Occidente nei territori di sua competenza, nonostante tutte le parti coinvolte siano consapevoli che l’accesso di uno dei sei Paesi orientali nell’Unione non sia una prospettiva realistica.

L’Unione non può contare solamente sul suo potenziale economico per attrarre a sé i Paesi del Partenariato. Partendo dalle numerose critiche mosse dagli specialisti nel settore, Bruxelles può migliorare il proprio approccio verso la regione e aumentare il proprio soft power.

Sfide future

Un primo passo avanti riguarda il già positivo aspetto economico. L’utilità degli accordi commerciali stipulati dovrebbe essere messa in evidenza, così come il bisogno di approfondirne ulteriormente il contenuto. Inoltre, l’approfondimento della cosiddetta “connettività leggera” (architettura legale, adozione dei medesimi standard) garantirebbe migliori investimenti infrastrutturali veri e propri.

A livello di rapporti regionali, l’Unione dovrebbe allontanarsi dall’approccio meramente istituzionale e burocratico mantenuto finora, che risulta efficace solo nel momento in cui gli apparati istituzionali che si cerca di esportare siano perfettamente accettati. Un’assunzione difficile da fare nel contesto del Partenariato Orientale, ancora piagato dalla debolezza dello Stato e dalle dinamiche prettamente realiste che ne caratterizzano la politica. Inoltre, come spesso accade, Bruxelles è vista come una potenza che impone la propria visione e i propri interessi. Gli attori orientali dovrebbero invece essere più coinvolti nell’ideazione delle politiche e i differenti interessi di ciascuno di essi dovrebbero essere tenuti maggiormente in considerazione.

La poca assertività europea nella zona è irrimediabilmente legata alla sua generale debolezza e incoerenza in politica estera. Tale problema esula dal singolo caso del Partenariato Orientale e la sua risoluzione richiederebbe una profonda revisione dei Trattati. Ad ogni modo, è chiaro che l’impossibilità di Bruxelles di agire in modo rapido ed efficace diano vita facile a un attore come la Russia, che vede il potere centralizzato nella figura di Putin, il quale non esita a usare la propria forza militare per difendere i propri interessi.

L’unico modo che l’Unione ha per attirare a sé i vicini orientali, al momento, risiede nel suo soft power, nella sua attrattiva a livello economico e sociale. Politiche più coerenti e precise, spesso compromesse dalla “bizantina” gestione del potere e degli interessi all’interno della macchina burocratica di Bruxelles, servirebbero allo scopo. Risulterà infine da vedere quanto la nuova Commissione, una volta pienamente avviata, considererà la questione del Partenariato Orientale una priorità.

Fondi e approfondimenti

Blockmans, Steven, The Eastern Partnership at 10, CEPS, 06/05/2019.

Commissione europea, Eastern Partnership, EC official website.

Korosteleva, Elena, Eastern Partnership: Bringing “the political” back in, East European Politics, 2017.

Christou, George, European Union security logics to the east: the European Neighbourhood Policy and the Eastern Partnership, European Security, 2010.

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