Un bilancio del voto in Uruguay

Voto Uruguay
@PalaciodoPlanalto - Wikimedia Commons - CC BY 2.0

Lo scorso 27 ottobre è stata una giornata di importanti votazioni in Uruguay: le elezioni parlamentari e presidenziali (secondo il sistema del voto contemporaneo) e il referendum sulla securizzazione del Paese.
I risultati hanno confermato molti dei pronostici pre-elettorali e allo stesso tempo hanno ufficializzato la storicità di questa tornata.

La coalizione di centro-sinistra, il Frente Amplio, perde le prime elezioni dopo 15 anni di governo ininterrotto. Il FA è il soggetto di governo più longevo della storia repubblicana del Paese e ha garantito un grado di prosperità e sviluppo senza paragoni rispetto alla maggior parte della Regione latinoamericana.

Il baluardo progressista del Sudamerica, l’isola felice secondo gli analisti internazionali, con questo voto si allinea al clima favorevole per le destre, ma evita (per ora) la deriva populista e semi-autoritaria. Il vincitore Lacalle Pou, 46 anni, è figlio di un ex presidente e pur con posizioni nazionaliste e liberiste non può essere paragonato a Jair Bolsonaro o a Sebastián Piñera. Inoltre, a conferma della tendenza ancora sostanzialmente moderata, il referendum che voleva di fatto militarizzare il Paese, soffiando sulle paure dei cittadini, non è riuscito a sfondare la soglia minima dei voti necessari.  

Il nuovo presidente: Luis Lacalle Pou

Il primo turno delle elezioni presidenziali si è svolto in un clima abbastanza disteso, soprattutto relativamente al  contesto regionale. Tra i vari candidati, i quattro su cui si era concentrata l’opinione pubblica nella campagna elettorale sono poi gli unici che effettivamente hanno ottenuto una percentuale di voti decisiva per il secondo turno.

Daniel Martínez, candidato del Frente Amplio,  ha ottenuto in prima battuta il 39,02% dei voti, posizionandosi in testa. Il frenteamplista ha confermato  le previsioni degli analisti e, pur vincendo il turno, si è trovato in una posizione molto difficile da ribaltare. Non ha raggiunto la soglia-garanzia del 40% e, soprattutto, non è riuscito ad accordarsi con nessuno degli avversari in vista del ballottaggio, ritrovandosi in pericoloso isolamento.

In questo senso, è apparso molto più avvantaggiato il secondo classificato, Luis Lacalle Pou del Partido Nacional. Già “secondo” dell’ex presidente Tabaré Vazquez, si è ripresentato alla tornata elettorale ottenendo un ampio consenso, pari al 28.62% dei voti. Il candidato di centro-destra ha avuto dalla sua parte il sostegno, prevedibile e immediatamente esplicitato, dei candidati posizionatisi terzo e quarto al primo turno. Da una parte Ernesto Talvi del Partido Colorado e dall’altra l’ex capo dell’esercito Guido Manini Ríos di Cabildo Abierto, la neonata formazione di estrema destra.
Il 12.38% del PC e l’11.04% di CB uniti al 28.62% del PN totalizzavano oltre il 52% contro il 39% dell’avversario: un vantaggio di circa 8 punti percentuali, che tutti gli analisti davano per certo.  

Il secondo turno si è svolto domenica 24 novembre e ha registrato, ancora una volta, un dato anomalo: per la prima volta nella storia elettorale del Paese, la Corte elettorale ha annunciato di non essere in grado di ufficializzare immediatamente il nome del vincitore delle elezioni presidenziali a causa dell’esiguo margine che divideva i due candidati.
Con il 100% dei voti scrutinati, Luis Lacalle Pou si trovava in vantaggio rispetto all’avversario Daniel Martínez, ma contro ogni aspettativa con un distacco esiguo di soli 28.665 voti

Conclusa questa fase di scrutinio primario, martedì 26 novembre ha avuto inizio lo scrutinio definitivo ossia il controllo da parte della Corte Elettorale delle 35.229 schede sotto osservazione. Le speranze del Frente Amplio di confermare la presidenza erano poche: supponendo che tra le schede in questione non ve ne fosse alcuna annullata o bianca, Martínez avrebbe dovuto ottenere il 90,69% dei voti restanti.

Il secondo scrutinio, iniziato martedì, ha confermato quasi subito la tendenza dei risultati, tanto che già giovedì Martínez ha riconosciuto la sconfitta e il Partido Nacional festeggiava la vittoria della coppia Lacalle Pou-Argimon.

Rinnovo del Parlamento

La composizione del Parlamento per la legislatura 2020-2025 riflette i cambiamenti e l’instabilità dello scenario politico più generale. Finita l’egemonia del Frente Amplio e nonostante la sua vittoria in termini relativi al primo turno, nessun partito dell’arco costituzionale ha ottenuto la maggioranza in una delle due Camere.

Ecco i numeri: il Frente Amplio ha ottenuto 41 seggi su 99 alla Camera (9 in meno) e 13 su 30 al Senato. Il Partido Nacional 31 alla Camera e 10 al Senato. 13 e 4 per il Partido Colorado, 11 e 3 per Cabildo Abierto. Alla Camera gli ultimi 3 posti sono occupati da un deputato ciascuno per, rispettivamente, il Partito Indipendente (PI), il Partito della gente (PG)  e il PERI (Partito ecologista radicale intransigente).

Appare evidente la grande contraddizione. Nonostante il risultato del ballottaggio e la sconfitta a livello presidenziale, è il Frente Amplio ad aver ottenuto il maggior numero di seggi in entrambi i rami del Parlamento (fatto che non avrebbe comunque garantito a Martínez la stabilità in caso di vittoria).

Lacalle Pou dovrà ora destreggiarsi nella formazione dell’esecutivo per ricambiare adeguatamente l’appoggio al secondo turno e garantire posizioni governative al Partido Colorado e Cabildo Abierto. Oltre a queste due formazioni il sostegno è arrivato anche dal Partido de la Gente e dal Partido Indipendentista. Sulla carta, quindi, il neo-presidente ha la maggioranza in entrambe le Camere, ma deve trasformare quei numeri in una coalizione di governo molto ampia che potrebbe minare l’equilibrio dell’esecutivo.

Se analizziamo i dati disgregati per liste notiamo che il grande sconfitto Frente Amplio ha rafforzato il consenso della sua ala di sinistra. In particolare,  la lista “Movimiento de Participación Popular” guidato dall’ex presidente José Mujica è stata la più votata della “coalizione” con circa il 34% dei consensi interni.

Per quanto riguarda il vincitore finale, il partito di centro-destra è egemonizzato dalla corrente nazionalista del neo-presidente (Todos Hacia Adelante) che ha totalizzato il 65,5% dei consensi interni. “Alianza Nacional”, lista del senatore Larrañaga, si è fermata invece al 14%.

È interessante notare il risultato di Cabildo Abierto,  la nuova formazione di estrema destra capitanata dal neo-senatore ed ex generale dell’esercito, Guido Manini Ríos. CA rappresenta un unicum nel sistema partitico uruguayano, una novità in linea con la nuova destra regionale, pur essendo imparagonabile per forza elettorale ed eccesso delle posizioni ai partiti “fratelli”. 

Il Referendum 

Il referendum popolare aveva come oggetto la riforma costituzionale “Vivir Sin Miedo”. Una proposta del senatore Jorge Larrañaga, apertamente appoggiata solo dal suo partito di appartenenza (Partido Nacional).
Si basava su tre punti: inasprimento e certezza delle pene, autorizzazione delle irruzioni notturne e creazione di una Guardia Nacional con compiti relativi alla sicurezza pubblica. I tre quesiti si votavano congiuntamente e avevano l’obiettivo implicito di  militarizzare il Paese, facendo leva sulla paura dei cittadini e sul clima favorevole a livello regionale e internazionale. 

Il “plebiscito” non ha raggiunto per poco la soglia minima di voti necessari, fermandosi comunque alla importante quota di 46,83% di voti a favore.

Il forte consenso nei confronti della riforma rappresenta un segnale che, unito alla sconfitta del centrosinistra storico nel Paese, fa pensare che anche l’Uruguay sia stato contagiato dalla “febbre di destra” della Regione.
Infatti, se non ci soffermiamo al dato assoluto del plebiscito, ma ci inoltriamo nell’analisi dei risultati per dipartimento è evidente l’ampio e trasversale consenso rispetto alla questione. Solo in 6 dipartimenti i voti a favore della riforma sono risultati inferiori al 50% e nel “Rivera” si è toccato il picco del 60%.

Sebbene la Corte Elettorale non raccolga dati incrociati in merito, le stime de La Diaria segnalano che l’83% degli elettori del Partido Nacional abbia sostento anche il referendum, subito seguiti da Cabildo Abierto con circa l’81%. Se il primo dato è comprensibile considerando che la riforma stessa ha avuto origine dal senatore nazionalista Jorge Larrañga, militante del PN, il secondo dato è più insolito. Guido Manini Ríos aveva apertamente dichiarato di essere contrario la riforma, ma il suo elettorato di riferimento (estrema destra) ha dimostrato un certo grado di coerenza e autonomia e ha sostenuto convintamente la riforma dall’impostazione securitaria.

 

Fonti e approfondimenti

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