Dopo la fine della guerra civile nel 1865, con il Paese spaccato a metà, gli Stati Uniti entrarono in una fase cruciale, da cui dipenderà il futuro della nazione e che avrà ripercussioni su buona parte della sua storia successiva: l’era della Ricostruzione.
Abolito il sistema schiavista nel Sud statunitense, la cui economia era in massima parte basata sull’utilizzo di schiavi provenienti dall’Africa, i neri furono per la prima volta persone libere sul suolo nordamericano. I soldati nordisti occuparono militarmente gli Stati ex confederati sconfitti, mentre Washington muoveva i primi passi verso una reale cessazione delle ostilità fra nord e sud.
Fu in questo contesto che vennero firmati tre fondamentali emendamenti della Costituzione: il XIII, che aboliva la schiavitù, il XIV, che nel 1868 estendeva la cittadinanza a tutti gli schiavi liberati, dotandoli di altri importanti diritti come quello a un giusto processo e il diritto di voto. Infine, il XV emendamento, di cui quest’anno ricorre il 150° anniversario da quel 3 febbraio 1870 in cui fu ratificato, che più degli altri riesce a raccontarci come dovevano apparire gli Stati Uniti in quel frangente storico. Esso prevede che:
“Il diritto di voto dei cittadini statunitensi non potrà essere negato o abrogato dagli Stati Uniti o da uno degli Stati federali sulla base della razza, del colore della pelle o di una precedente condizione di servitù”
Quando il diritto è scritto con i “not”
Gli afroamericani votarono per la prima volta in occasione delle presidenziali del 1868. Poterono farlo grazie ai diritti sanciti dal XIV emendamento, ratificato quello stesso anno allo scopo di far confluire presso il Partito Repubblicano i voti degli schiavi liberati dal precedente emendamento, che negli Stati del Sud costituivano una buona fetta della popolazione totale. Allora che bisogno c’era di un XV emendamento che proteggesse il diritto di voto dei neri, se potevano esercitarlo liberamente?
La necessità di una legge di questo tipo divenne subito chiara, in realtà. Dopo la fine della guerra civile era cominciata una serie di tentativi atti a impedire ai neri di votare: intimidazioni, linciaggi, violenze di ogni tipo diventarono eventi all’ordine del giorno negli ex Stati confederati. Gli esponenti bianchi del Partito Democratico (allora antiabolizionista) erano preoccupati di perdere il potere accumulato per via della presenza massiccia di schiavi liberati in quei territori. È importante ricordare, infatti, che in quel momento nel sud degli Stati Uniti la popolazione era composta in larga parte da afroamericani, masse di lavoratori sfruttati fino a pochi anni prima, ora importante bacino elettorale per i Repubblicani.
Ma il XV emendamento non conferì espressamente agli schiavi liberati il diritto di voto, si limitò soltanto a chiarire che esso non poteva essere limitato, e non ebbe l’effetto previsto. La frustrazione degli abitanti del Sud, rinforzata da una partecipazione sempre più attiva dei neri nella piazza politica ed esacerbata dai gruppi armati come il Ku Klux Klan, sfociò in un inasprimento ulteriore del conflitto fra bianchi e neri. A poco valsero gli sforzi del presidente Repubblicano Grant di sradicare il Klan: i suprematisti bianchi erano decisi a restaurare con ogni mezzo l’ordine sociale basato sulle discriminazioni razziali. Col passare degli anni le violenze crebbero ancora. Esemplare è l’evento passato alla storia come il massacro di Colfax, Louisiana, dove nel 1873 si stima che persero la vita circa 81 afroamericani.
Quando a Grant succedette Rutherford B. Hayes, egli ritirò le truppe dell’Unione che mantenevano l’ordine negli ex Stati confederati. Nel 1877 la Ricostruzione terminò senza aver trovato una soluzione a problemi strutturali quali il razzismo, che da quel momento sarebbe ulteriormente peggiorato. Iniziò l’era della segregazione razziale, delle leggi Jim Crow, dei test di alfabetizzazione a cui sottoporsi per registrarsi ai seggi, delle tasse elettorali volte a escludere i più poveri dalle votazioni. Fu il principio di un circolo vizioso di violenza suprematista ed esclusione politica che fino agli anni Sessanta del secolo successivo, con la lotta per i diritti civili, non avrebbe più permesso agli afroamericani di esercitare liberamente il loro diritto di voto o di essere eletti.
Un’eredità complessa
Oggi, centocinquant’anni dopo la promulgazione del XV emendamento, la questione non è ancora del tutto risolta. Alcune indagini sostengono che, durante le elezioni presidenziali del 2016, appena poco più della metà degli statunitensi con età superiore al minimo per poter votare si è effettivamente recata alle urne, e come ciò non sia soltanto un problema di affluenza. Anche se le principali barriere che i neri hanno incontrato all’ingresso dei seggi durante la loro storia sono state abolite, altre – come le tasse ingiuste, la segregazione razziale e la violenza – non sono realmente scomparse dagli Stati Uniti moderni: sono state soltanto rese più discrete. La situazione, dopo un apparente miglioramento grazie al Voting Rights Act del 1965, è di nuovo peggiorata a partire dai primi anni del XXI secolo.
Aveva fatto molto discutere l’introduzione di una legge in Arizona che, nel 2004, aveva reso obbligatorio dimostrare di essere cittadini statunitensi per potersi registrare alle urne. A questa era seguita un’altra decisione, in Indiana, che dall’anno successivo richiedeva a chi volesse registrarsi per votare di portare con sé un documento di riconoscimento con una fotografia, vale a dire il passaporto o la patente di guida, gli unici documenti che appartengono a questa categoria. Oggi gli Stati federali in cui sono in vigore regolamenti simili a questo sono, in totale, diciannove.
Queste leggi, secondo i loro sostenitori, dovrebbero aiutare a prevenire il verificarsi di brogli, anche se i casi effettivi in cui si sono verificati nella storia degli USA sono molto pochi. Di certo c’è che l’obbligo di avere con sé documenti particolari per poter votare causa l’esclusione di molte persone, le quali vengono perciò tagliate fuori dalla partecipazione politica nazionale. Si tratta perlopiù di uomini e di donne a reddito basso, degli anziani e delle minoranze. Fra queste ci sono soprattutto gli afroamericani di cui, secondo uno studio del 2015, il 13% non possiede un documento come quelli richiesti.
Elezioni alle porte
Nonostante l’esistenza del XV emendamento, da allora la quantità di restrizioni è persino aumentata. In base allo Stato in cui si risiede, oggi può risultare molto complicato accedere ai seggi per via di veri e propri intralci operati dalla macchina burocratica statale, come la chiusura di sezioni elettorali, riduzioni del tempo di apertura delle stesse o a causa di forti limitazioni al voto via posta in uso negli USA.
Le restrizioni colpiscono in modo sproporzionato gli afroamericani, pur non essendo esplicitamente dirette a loro. Si pensi alla privazione del diritto di voto per i detenuti e per gli ex carcerati che, pur avendo scontato il proprio debito con la società, non possono riacquistare la possibilità di votare per molto tempo, a volte per tutta la vita. Questa misura, di per sé, è rivolta esclusivamente a coloro i quali subiscono condanne penali, ma non bisogna dimenticare che sono proprio i neri a essere maggiormente puniti e incarcerati.
In un Paese ancora travagliato da antiche discriminazioni, dai diritti calpestati, dalla violenza e da disuguaglianze strutturali, è giusto domandarsi cosa succederà a novembre. Il rischio è infatti quello di vedere ripetersi, con le prossime presidenziali, lo stesso schema di sistematica esclusione dei neri dalla vita politica che si verifica da decenni. Ancora una volta allora il XV emendamento, al suo 150° compleanno, non riuscirebbe a proteggere il voto degli afroamericani, costantemente messo in discussione da un sistema legislativo e sociale iniquo.
Fonti e approfondimenti
La Costituzione americana: emendamenti da 11 a 27
Alexander Manevitz, “The failures of Reconstruction have never been more evident — or relevant — than today”, The Washington Post 11/06/2020
Rick Jervis, “Black Americans got the right to vote 150 years ago, but voter suppression still a problem”, USA today 03/02/2020
David W. Blight, “Trump Reveals the Truth About Voter Suppression”, The New York Times 11/04/2020
German Lopez, “7 specific ways states made it harder for Americans to vote in 2016”, Vox 07/11/2016
Anita Rao, Pat Dillon, Kim Kelly, Zak Bennet, “Is America a democracy? If so, why does it deny millions the vote?”, The Guardian 07/11/2019
Grafica: Marta Bellavia – Instagram: illustrazioninutili_