La crisi ambientale, sociale ed economica che stiamo vivendo richiede un cambiamento urgente del nostro modo di fare economia, nel senso etimologico del termine, ovvero di “gestione domestica” delle nostre risorse. L’attuale modello di gestione contribuisce infatti a problemi come inquinamento, surriscaldamento globale e aumento delle disuguaglianze. È naturale quindi chiedersi: come potremmo rendere il nostro sistema economico più sostenibile per le persone e il pianeta? È una domanda complessa per un problema complesso a cui sarebbe impossibile trovare una risposta semplice e univoca. Tuttavia, un primo importante passo è sicuramente quello di trasformare il modo tradizionale di fare impresa. Immaginiamo quindi un’impresa che non estragga valore dai territori in cui opera, ma crei valore sociale, ambientale ed economico; un’impresa che non si ponga come unico obiettivo quello del profitto, ma che sia in grado di coniugare quest’ultimo con un impatto positivo sulla società, sulla collettività e sull’ambiente; un’impresa che non sacrifichi il benessere dei propri stakeholder (ovvero dipendenti, fornitori, le comunità nei territori in cui essi operano) ma che crei valore per ognuno di essi.
Questo tipo di imprese in Italia oggi esistono, sono legalmente riconosciute, e hanno un nome ben preciso: Società Benefit. Introdotte ufficialmente nel nostro Paese con la Legge di stabilità del 2016, esse sono legalmente tenute a valutare l’impatto delle loro decisioni sui propri stakeholders, a comunicare, nell’ambito del proprio progetto sociale, il beneficio comune che intendono perseguire con le proprie attività svolte e a presentare i risultati raggiunti con una relazione annuale. La forma giuridica di Società Benefit è equivalente alla Benefit Corporation introdotta nel 2010 negli Stati Uniti e l’Italia è stata il primo Paese in Europa – e nel mondo dopo gli USA – ad adottarla. Dal 2016 a oggi in Italia sono emerse circa 500 realtà che si sono riconosciute nel modello di Società Benefit, come un abito su misura che consentisse loro di affermare la propria identità di imprese responsabili, legate al proprio territorio e attente alle generazioni future. Per garantire uno sviluppo sostenibile nel nostro Paese e nel resto del mondo, questo tipo di impresa non dovrà solamente costituire un’alternativa al modo tradizionale di fare impresa, ma dovrà sostituirla completamente. Grazie alla crescente attenzione della finanza verso le Società Benefit all’evoluzione del sistema regolatorio in questa direzione, diventerà infatti sempre più difficile per le imprese non incorporare i principi di responsabilità nella propria governance e statuto. Le nuove imprese, quindi, dovranno essere sempre più in grado di proporsi sul mercato non solo per la qualità dei propri prodotti ma anche per la qualità del suo agire nei confronti di tutti gli stakeholders. Di conseguenza, anche noi consumatori dovremo abituarci a valutare il prodotto o servizio erogato dall’impresa insieme all’impresa stessa.
L’Italia oggi si trova ai vertici di questa rivoluzione, grazie alle tante realtà “ibride” (tra profit e no-profit) già presenti in diversi territori, con una sensibilità per l’impatto positivo e il bene comune già presente nella loro governance e nella loro storia. L’economia civile si propone quindi di trasformare questa rivoluzione in norma, e di promuovere una generazione di imprenditori più ambiziosa, più felice e generativa grazie all’impatto positivo e alla ricchezza di senso dei propri progetti.
Durante il Festival dell’Economia Civile le start-up, imprese, scuole e comuni che presenteranno i loro progetti, racconteranno le storie delle buone pratiche e degli impatti positivi che possono generarsi quando ci si pone l’obiettivo di creare valore oltre i confini della propria piccola realtà.
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