Il personaggio dell’anno: Abubacarr Tambadou

Abubacarr
Grafica di Valerio Angiolillo

Abubacarr Marie Tambadou, o Ba Tambadou come lo chiamano amici e parenti, voleva fare il calciatore e non era nemmeno male, a suo dire. Oggi è il cancelliere del Meccanismo residuale dei tribunali penali internazionali (MICT), nominato da Antonio Guterres nel luglio di quest’anno. 

Tambadou è apparso nella classifica delle 100 persone più influenti del 2020 redatta dal Time per il suo impegno nel portare alla luce la gravità della questione dei Rohingya. Catapultato in un campo profughi in Bangladesh quasi per caso, si è fatto portavoce del popolo Rohingya e ne ha denunciato il genocidio, così simile a quello del Ruanda, del quale aveva per anni perseguito gli esecutori.

Voleva fare il calciatore, ma ci fu una “deviazione di carriera”

Lo sport era la sua passione, ma suo padre, esponente della classe media gambiana, sperava che studiasse e si laureasse. Abubacarr non voleva deluderlo: non aveva mai pensato di studiare legge, ma gli offrirono un posto ed ebbe quella che lui definisce una “deviazione di carriera”. 

Cresciuto a Banjul, la capitale del Gambia, in una famiglia musulmana tradizionale e poligama, Abubacarr è figlio di Alhaji Marie Tambadou e una delle sue tre mogli. Più fortunato della maggior parte dei ragazzi e delle ragazze suoi connazionali, grazie alle possibilità economiche della famiglia, ebbe il privilegio di studiare in Gran Bretagna. Qui ottenne una laurea in legge a Warwick e seguì un master in International law of human rights alla SOAS dell’Università di Londra. 

Nonostante l’amore per il suo Paese e la forte volontà di cambiarlo, gli studi, i consigli della famiglia e gli impegni lavorativi hanno spesso spinto Tambadou a trasferirsi all’estero. 

Nel 1997, dopo la conclusione degli studi, tornò in Gambia e per due anni lavorò come pubblico ministero. Ma, nel frattempo, il governo di Jammeh si era fatto più violento nei confronti dell’opposizione e Tambadou era uno di quelli che mal sopportava le violenze e i soprusi da esso perpetrati. Nel 2000, quando le forze di sicurezza di Jammeh aprirono il fuoco su una schiera di manifestanti pacifici uccidendo studenti, giornalisti e volontari di organizzazioni non governative, la famiglia iniziò a fargli pressione perché cercasse opportunità di lavoro all’estero. Si convinse, e fu proprio nel 2000 che tornò in Gran Bretagna per frequentare il master alla SOAS. 

Il Ruanda

Il soggiorno inglese non durò più del tempo del master.  Tornato in Gambia, lavorò per un paio d’anni per uno studio di avvocati come esperto di diritti umani, ma nel 2003 lasciò di nuovo il Paese per andare ad Arusha, Tanzania, al Tribunale penale internazionale per il Ruanda. Tambadou fu uno dei protagonisti delle condanne dei maggiori esponenti Hutu accusati di aver organizzato ed eseguito il genocidio. Tra questi Augustin Bizimungu, comandante delle forze armate ruandesi (FAR) tra aprile e luglio 1994, condannato nel 2011 a 30 anni di reclusione. 

Tra il 2012 e il 2017 ebbe la sua prima esperienza nel Meccanismo residuale dei tribunali penali internazionali (MICT) – avente il compito di portare a termine le operazioni inconcluse dei tribunali internazionali del Ruanda e dell’ex-Jugoslavia – dove ricoprì il ruolo di assistente speciale del cancelliere. 

Il ritorno in Gambia di Abubacarr

Nel frattempo il Gambia era cambiato. Il regime di Jammeh, iniziato con un colpo di stato nel 1994, si era concluso alla fine del 2016 con la vittoria elettorale dello sfidante, Adama Barrow, alle elezioni presidenziali del dicembre 2015. La transizione non fu semplice: Jammeh inizialmente chiese nuove elezioni e solo dopo l’intervento militare dell’ECOWAS accettò di lasciare il posto a Barrow.  

Fu proprio il nuovo presidente a richiamare Tambadou in patria per ricoprire il ruolo di ministro della Giustizia. Barrow lo definì un uomo che ha dimostrato di amare il proprio Paese, di voler lavorare con il popolo e di essere anche bravo a farlo; un uomo che avrebbe dato un contributo importante alla ricostruzione del sistema giudiziario. 

Fu infatti una delle voci a favore della creazione della Commissione per la verità la riconciliazione e le riparazioni, un’istituzione indipendente con il compito di rilevare e registrare le violazioni dei diritti umani perpetrate dal governo di Jammeh tra il 1994 e il 2016. 

Tambadou entrò a far parte del High Level Group on Justice for Women, costituito nel 2018 da UN Women, che ha come obiettivo quello di eradicare le differenze di genere nell’accesso alla giustizia. Il suo supporto a tale mission è stato evidente anche a livello nazionale. Quando nell’estate del 2019 Fatou Jallow – vincitrice di un concorso nazionale di bellezza qualche anno prima – denunciò di essere stata stuprata da Yahya Jammeh per aver rifiutato la sua proposta di matrimonio, Tambadou si schierò in sua difesa e chiese a tutte le donne che avevano subito violenze da Barrow di farsi avanti e di denunciare, perché “prima o poi l’ex presidente sarà processato, in Gambia o altrove”, per tutti i crimini pendenti a suo carico. 

I Rohingya e l’importanza di essere visti

Nel 2018, quasi per caso, Tambadou si ritrovò in Bangladesh – dove si  era recato per sostituire il ministro degli Esteri alla conferenza annuale dell’Organizzazione della cooperazione islamica – e potè visitare un campo profughi Rohingya e raccogliere testimonianze. Gli raccontarono di villaggi rasi al suolo, bambini bruciati vivi, donne stuprate e uomini uccisi dalle forze armate. 

Tambadou sapeva bene cosa fosse un genocidio, avendo passato molti anni a perseguire i colpevoli dello sterminio dei Tutsi, e sapeva altrettanto bene cosa significa essere invisibili. Nei 22 anni di governo di Yammeh, il Gambia era invisibile al mondo e Tambadou avrebbe voluto che qualcuno portasse agli occhi dell’opinione pubblica internazionale tutta quella violenza.

Allora decise di far diventare il suo Paese il portavoce dei Rohingya. Alla domanda dei giornalisti sul perché proprio il Gambia, ha sempre risposto “perchè no?!”. Perchè oltre ad essere mosso dal senso di giustizia, per Tambadou è una questione personale. Perché, parafrasando le sue parole, il diritto internazionale non è dominio esclusivo dei Paesi ricchi e potenti. 

E ce l’ha fatta. Il Gambia che con lui ministro della Giustizia, a novembre 2019, ha portato la questione dei Rohingya davanti alla Corte internazionale di giustizia, accusando il Myanmar di genocidio. Lo scorso gennaio il primo grande successo: la Corte ha dichiarato di avere l’autorità per rilevare il carattere genocidario delle violenze e ha ordinato al Myanmar di prendere tutte le misure possibili per evitare che le azioni criminali proseguano. 

 

 

Fonti e approfondimenti

BBC, Rohingya crisis: The Gambian who took Aung San Suu Kyi to the world court, 23/01/2020.

BBC, Rwanda genocide: Ex-army chief given 30-year sentence, 17/05/2011.

Dionne Searcey and Jaime Yaya Barry, Gambian Minister Calls on All Women With Accusations Against Ex-President to Come Forward, The New York Times, 26/06/2019.

Human Rights Watch, Gambia: US Charges Alleged ‘Death Squad’ Member with Torture. Correa Indictment is Major Advance for Victims of Abuses during Jammeh Rule, 12/05/2020.

Mucahid Durmaz, Abubacarr Tambadou: the man taking on Myanmar’s Aung San Suu Kyi, TRTWORLD, 11/12/2019.

Par Stéphanie Maupas, Le Gambien Abubacarr Tambadou, « pionnier » de la justice internationale, Le Monde, 19/11/2020.

Reed Brody, Giving Gambia a Big Voice on Human Rights. Abubacarr Tambadou Pushed for Justice at Home and Abroad, Human Rights Watch, 26/05/2020.

Samantha Power, The 100 Most Influential People 2020 – Aboubacarr Tambadou, Time, 22/09/2020.

United Nation – Meeting Coverages and Press Releases, Secretary-General Appoints Abubacarr Marie Tambadou Registrar of International Residual Mechanism for Criminal Tribunals, 02/07/2020.

United Nations – International Residual Mechanism forr Criminal Tribunals, UN Secretary-General appoints Mr. Abubacarr Marie Tambadou as registrar of the Mechanism, Press Release, Arusha, The Hague, 02/02/2020.

 

Editing a cura di Giulia Lamponi.

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