Di Beatrice Fanucci
Negli anni successivi alle guerre jugoslave (1991-2001), omofobia e transfobia si sono fatte molto frequenti nei nuovi Paesi emersi dopo i conflitti. Le società dello spazio jugoslavo inizialmente non sembravano pronte ad accettare le differenze all’interno dei propri confini, specialmente perché ricercavano la legittimazione dell’esistenza del proprio Stato nell’omogeneità, intesa in senso etnico. Così, i diritti della comunità LGBTQ+ si sono ritrovati al centro di uno scontro tra chi si opponeva al loro avanzamento e chi, determinato a riflettere i valori europei, si batteva invece per la loro tutela.
Nei dibattiti di politica internazionale, infatti, sta prendendo sempre più spazio la correlazione tra i diritti LGBTQ+ e l’idea di Europa, che in questo caso non rappresenta il continente intero, ma piuttosto le istituzioni dell’Unione europea, i valori democratici e il rispetto dei diritti fondamentali di cui si fanno paladine. I diritti delle minoranze sessuali e di genere sembrano essere diventati un simbolo potente dell’identità europea. Tale connessione è legata al fatto che l’UE è una dei pionieri nell’avanzamento dei diritti LGBTQ+ e che è determinata ad aumentarne la protezione anche al di là degli Stati membri. L’esempio principale di come l’Unione sia in grado di diffondere le proprie norme e i propri valori al di fuori dei propri confini è sicuramente l’allargamento, ovvero il processo tramite il quale l’UE accoglie nuovi Stati fra i suoi membri. Il processo di allargamento prevede che i Paesi candidati all’adesione rispettino alcuni criteri di ingresso prima di poter entrare a far parte dell’Unione. Sebbene la protezione dei diritti LGBTQ+ non sia esplicitamente menzionata fra i Criteri di Copenaghen (ovvero i requisiti di ingresso), le istituzioni dell’UE hanno trovato altri modi per farli entrare fra le condizioni d’accesso.
Diritti LGBTQ+ nel processo di allargamento
Lo spazio che i diritti della comunità LGBTQ+ si sono presi all’interno del processo di allargamento è andato espandendosi con il passare del tempo. Inizialmente, avevano un’importanza marginale ed erano inseriti solamente come effetto di un requisito di più ampia portata. Infatti, una delle condizioni presenti fra i Criteri di Copenaghen è che i Paesi candidati siano membri del Consiglio d’Europa e tale adesione comporta anche la decriminalizzazione dell’omosessualità e l’uniformazione dell’età del consenso a quella prevista per le relazioni eterosessuali. Questo ha rappresentato un primo passo, seppur piccolo, verso la protezione dei diritti delle persone LGBTQ+, che i Paesi candidati devono garantire se intendono progredire nel processo di allargamento.
In seguito, l’adozione della direttiva 2000/78/CE da parte del Consiglio dell’Unione europea segnò un punto di svolta, poiché introdusse il divieto di discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale nell’ambito lavorativo. Era la prima volta che un documento contenente un tale divieto entrava a far parte del corpo della legislazione dell’UE e sanciva in maniera ufficiale l’entrata dei diritti LGBTQ+ nel processo di allargamento.
Nel 2005, la Commissione europea modificò la policy di allargamento introducendo un nuovo capitolo tematico all’acquis (corpo della legislazione dell’UE), cioè il capitolo 23 sul sistema giudiziario e i diritti fondamentali. Questo capitolo, che è considerato ora uno dei più importanti ed è fra i primi a essere aperti durante i negoziati, ha reso esplicito il requisito di protezione dei diritti LGBTQ+ nel processo di adesione all’UE.
In più, con la Strategia di allargamento e sfide principali per il periodo 2013-2014, la Commissione europea focalizzò l’attenzione sulla necessità di espandere le leggi anti discriminazione già presenti nei Paesi dei Balcani occidentali per includere identità di genere e orientamento sessuale tra le caratteristiche protette. Inoltre, la Commissione rese nota la mancanza nella maggioranza di questi Paesi di legislazione per proteggere le minoranze sessuali e di genere dai crimini d’odio, oltre alla carenza di una formazione adeguata delle forze di polizia, di giudici e di professionisti della comunicazione nella gestione di episodi di violenza motivati dall’odio omo-transfobico.
L’importanza delle relazioni annuali
La nuova strategia adottata dalla Commissione europea nel 2018, Una prospettiva di allargamento credibile e un maggiore impegno dell’UE per i Balcani Occidentali, non menziona invece esplicitamente la necessità di incrementare la tutela dei diritti LGBTQ+ in questi Paesi. Questo però non significa che l’impegno delle istituzioni dell’UE nel promuovere tali diritti si sia esaurito del tutto.
Una testimonianza di ciò si trova nelle relazioni annuali pubblicate dalla Commissione europea per monitorare il procedere dei negoziati in ognuno dei Paesi attualmente parte del processo di allargamento. Infatti, nei commenti al capitolo 23, la Commissione riporta la condizione che la comunità LGBTQ+ si trova ad affrontare in ciascuno dei Paesi, includendo la situazione dal punto di vista legislativo, ma anche la capacità dei singoli Stati di garantire la possibilità di organizzare eventi per il Pride ogni anno. La questione dei Pride è divenuta particolarmente rilevante perché è considerata la “cartina tornasole” dello stato dei diritti LGBTQ+ nei Paesi che desiderano accedere all’UE. Le marce del Pride sono fondamentali per la tutela dei diritti di minoranze sessuali e di genere, in primis perchè sono una forma di libertà di espressione e di assemblea cui ogni individuo ha diritto. Ma c’è anche un altro motivo per cui sono così rilevanti: permettono di far uscire le persone LGBTQ+ dalla condizione di invisibilità cui sono sempre state relegate e di concentrare l’attenzione pubblica sulla precaria situazione dei loro diritti. Per queste ragioni, l’abilità di uno Stato di assicurare che il Pride venga organizzato regolarmente e si svolga senza incidenti è ritenuta una delle prove necessarie a dimostrazione del rispetto per i diritti umani delle persone LGBTQ+.
La menzione del Pride nelle relazioni annuali dimostra che le istanze della Commissione per quanto riguarda i diritti LGBTQ+ vanno oltre quanto contenuto nell’acquis. Nelle relazioni, infatti, si parla spesso della necessità di aumentare la protezione dei diritti delle persone transgender tramite un’adeguata legislazione e dell’esigenza di incrementare la visibilità delle persone intersex all’interno del quadro normativo di ogni Stato.
Contraddizioni all’interno dell’Unione
Le ambizioni della Commissione per quanto riguarda la protezione dei diritti LGBTQ+ sembrano puntare molto più in alto di quanto offerto in molti dei Paesi membri. Sebbene l’Unione europea nella sua interezza si presenti come un modello da imitare per quanto riguarda i diritti di minoranze sessuali e di genere, è anche vero che all’interno dei singoli Stati membri le condizioni della comunità LGBTQ+ sono ben diverse tra loro. Basti pensare all’enorme discrepanza che c’è tra due casi, estremamente rappresentativi.
Da un lato, Malta consente alle coppie formate da partner dello stesso sesso di accedere sia al matrimonio egualitario sia alle adozioni e nel 2015 ha approvato il Gender Identity, Gender Expression and Sex Characteristics Act, una legislazione rivoluzionaria per quanto riguarda i diritti delle persone transgender e intersex. Dall’altro lato, in Polonia negli ultimi due anni, la comunità LGBTQ+ è stata oggetto di pesanti attacchi da parte di politici e di esponenti del clero, fino ad arrivare alle cosiddette “zone LGBT-free”, ovvero piccole città in cui sono state emanate dichiarazioni e carte che vietano “l’ideologia LGBTQ+” e che, di fatto, costringono le persone non-eterosessuali o transgender a vivere nel segreto o a emigrare. Di recente, Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione, ha condannato le “zone LGBT-free” dichiarandole zone senza umanità che non possono avere alcuno spazio all’interno dell’Unione europea.
Omofobia e transfobia dopo l’adesione
Il caso della Polonia è emblematico perché ci porta a focalizzare l’attenzione su un altro aspetto fondamentale dell’avanzamento dei diritti LGBTQ+ nell’ambito dell’allargamento dell’UE. Si tratta della tendenza all’esplodere di reazioni omofobiche e transfobiche una volta che lo Stato ha completato il processo di adesione. Tali circostanze si sono presentate già dopo le ondate di allargamento del 2004 e 2007, il cosiddetto Big Bang europeo, in Polonia, Ungheria e Lituania, e qualcosa di simile è successo anche in Croazia subito dopo il suo ingresso nel 2013. Reazioni di questo tipo contro i diritti LGBTQ+ sono spesso collegate a come essi siano considerati incompatibili con l’identità nazionale del Paese e il fatto che vengano posti come requisiti d’accesso dall’UE conduce alla percezione che siano un’imposizione occidentale e una minaccia alla sovranità nazionale.
Episodi del genere sono più frequenti una volta che i Paesi sono entrati a far parte nell’Unione europea, poiché non sono più motivati ad adempiere ai criteri d’ingresso dalla prospettiva di divenire membri. Infatti, l’influenza dell’UE sulla diffusione delle norme europee è efficace nel processo di allargamento perché opera in un contesto di asimmetria di potere. I Paesi candidati fanno molto affidamento sui benefici che trarranno dall’adesione all’UE, perciò una volta ottenuti, è probabile che il processo che porta all’adozione di norme e valori europei rallenti o, addirittura, si arresti del tutto. Una dimostrazione di questo meccanismo è stata offerta da paesi come Polonia e Ungheria, in cui l’ascesa di élites politiche che hanno tentato di concentrare i poteri nelle loro mani sta minacciando la democrazia e la rule of law. Il fatto che in questo processo vengano trascinati anche i diritti LGBTQ+ rende lampante come l’azione di queste élites rappresenti un pericolo anche per i diritti umani di molti cittadini europei.
Fonti e approfondimenti
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Editing a cura di Carolina Venco